Parafrasi e Analisi: "Canto XVII" - Purgatorio - Divina Commedia - Dante Alighieri

1) Scheda dell'Opera
2) Introduzione
3) Testo e Parafrasi
4) Riassunto
5) Figure Retoriche
6) Analisi ed Interpretazioni
7) Passi Controversi
Scheda dell'Opera
Autore: Dante Alighieri
Prima Edizione dell'Opera: 1321
Genere: Poema
Forma metrica: Costituita da tre versi di endecasillabi. Il primo e il terzo rimano tra loro, il secondo rima con il primo e il terzo della terzina successiva.
Introduzione
Il Canto XVII del Purgatorio rappresenta un momento centrale nella struttura e nel pensiero della Divina Commedia. Qui, Dante affronta uno dei nodi fondamentali del poema: il tema delle passioni umane e delle loro conseguenze morali. Il canto si distingue per la sua riflessione filosofica e teologica, volta a spiegare l'origine e la natura dei peccati derivanti dall'amore disordinato, che rappresenta la causa prima di ogni deviazione morale. Questo approfondimento si colloca all'interno di una cornice simbolica e pedagogica, che mira a educare il lettore sulla necessità di una corretta direzione dell'amore, inteso come forza vitale e spirituale. In questo contesto, l'oscurità e il buio fisico in cui si muovono Dante e Virgilio assumono una valenza allegorica, simboleggiando l'ignoranza e la confusione da cui l'anima deve liberarsi per ascendere verso la luce della verità.
Testo e Parafrasi
Ricorditi, lettor, se mai ne l'alpe ti colse nebbia per la qual vedessi non altrimenti che per pelle talpe, come, quando i vapori umidi e spessi a diradar cominciansi, la spera del sol debilemente entra per essi; e fia la tua imagine leggera in giugnere a veder com' io rividi lo sole in pria, che già nel corcar era. Sì, pareggiando i miei co' passi fidi del mio maestro, usci' fuor di tal nube ai raggi morti già ne' bassi lidi. O imaginativa che ne rube talvolta sì di fuor, ch'om non s'accorge perché dintorno suonin mille tube, chi move te, se 'l senso non ti porge? Moveti lume che nel ciel s'informa, per sé o per voler che giù lo scorge. De l'empiezza di lei che mutò forma ne l'uccel ch'a cantar più si diletta, ne l'imagine mia apparve l'orma; e qui fu la mia mente sì ristretta dentro da sé, che di fuor non venìa cosa che fosse allor da lei ricetta. Poi piovve dentro a l'alta fantasia un crucifisso, dispettoso e fero ne la sua vista, e cotal si moria; intorno ad esso era il grande Assüero, Estèr sua sposa e 'l giusto Mardoceo, che fu al dire e al far così intero. E come questa imagine rompeo sé per sé stessa, a guisa d'una bulla cui manca l'acqua sotto qual si feo, surse in mia visïone una fanciulla piangendo forte, e dicea: «O regina, perché per ira hai voluto esser nulla? Ancisa t'hai per non perder Lavina; or m'hai perduta! Io son essa che lutto, madre, a la tua pria ch'a l'altrui ruina». Come si frange il sonno ove di butto nova luce percuote il viso chiuso, che fratto guizza pria che muoia tutto; così l'imaginar mio cadde giuso tosto che lume il volto mi percosse, maggior assai che quel ch'è in nostro uso. I' mi volgea per veder ov' io fosse, quando una voce disse «Qui si monta», che da ogne altro intento mi rimosse; e fece la mia voglia tanto pronta di riguardar chi era che parlava, che mai non posa, se non si raffronta. Ma come al sol che nostra vista grava e per soverchio sua figura vela, così la mia virtù quivi mancava. «Questo è divino spirito, che ne la via da ir sù ne drizza sanza prego, e col suo lume sé medesmo cela. Sì fa con noi, come l'uom si fa sego; ché quale aspetta prego e l'uopo vede, malignamente già si mette al nego. Or accordiamo a tanto invito il piede; procacciam di salir pria che s'abbui, ché poi non si poria, se 'l dì non riede». Così disse il mio duca, e io con lui volgemmo i nostri passi ad una scala; e tosto ch'io al primo grado fui, senti'mi presso quasi un muover d'ala e ventarmi nel viso e dir: 'Beati pacifici, che son sanz' ira mala!'. Già eran sovra noi tanto levati li ultimi raggi che la notte segue, che le stelle apparivan da più lati. 'O virtù mia, perché sì ti dilegue?', fra me stesso dicea, ché mi sentiva la possa de le gambe posta in triegue. Noi eravam dove più non saliva la scala sù, ed eravamo affissi, pur come nave ch'a la piaggia arriva. E io attesi un poco, s'io udissi alcuna cosa nel novo girone; poi mi volsi al maestro mio, e dissi: «Dolce mio padre, dì, quale offensione si purga qui nel giro dove semo? Se i piè si stanno, non stea tuo sermone». Ed elli a me: «L'amor del bene, scemo del suo dover, quiritta si ristora; qui si ribatte il mal tardato remo. Ma perché più aperto intendi ancora, volgi la mente a me, e prenderai alcun buon frutto di nostra dimora». «Né creator né creatura mai», cominciò el, «figliuol, fu sanza amore, o naturale o d'animo; e tu 'l sai. Lo naturale è sempre sanza errore, ma l'altro puote errar per malo obietto o per troppo o per poco di vigore. Mentre ch'elli è nel primo ben diretto, e ne' secondi sé stesso misura, esser non può cagion di mal diletto; ma quando al mal si torce, o con più cura o con men che non dee corre nel bene, contra 'l fattore adovra sua fattura. Quinci comprender puoi ch'esser convene amor sementa in voi d'ogne virtute e d'ogne operazion che merta pene. Or, perché mai non può da la salute amor del suo subietto volger viso, da l'odio proprio son le cose tute; e perché intender non si può diviso, e per sé stante, alcuno esser dal primo, da quello odiare ogne effetto è deciso. Resta, se dividendo bene stimo, che 'l mal che s'ama è del prossimo; ed esso amor nasce in tre modi in vostro limo. È chi, per esser suo vicin soppresso, spera eccellenza, e sol per questo brama ch'el sia di sua grandezza in basso messo; è chi podere, grazia, onore e fama teme di perder perch' altri sormonti, onde s'attrista sì che 'l contrario ama; ed è chi per ingiuria par ch'aonti, sì che si fa de la vendetta ghiotto, e tal convien che 'l male altrui impronti. Questo triforme amor qua giù di sotto si piange: or vo' che tu de l'altro intende, che corre al ben con ordine corrotto. Ciascun confusamente un bene apprende nel qual si queti l'animo, e disira; per che di giugner lui ciascun contende. Se lento amore a lui veder vi tira o a lui acquistar, questa cornice, dopo giusto penter, ve ne martira. Altro ben è che non fa l'uom felice; non è felicità, non è la buona essenza, d'ogne ben frutto e radice. L'amor ch'ad esso troppo s'abbandona, di sovr' a noi si piange per tre cerchi; ma come tripartito si ragiona, tacciolo, acciò che tu per te ne cerchi». |
Prova a ricordarti, tu, lettore, se ti è mai successo, mentre ti trovavi in montagna, di trovarti avvolto da una nebbia tanto fitta da non poterci vedere attraverso meglio di quanto possa fare una talpa attraverso la pellicina che le copre gli occhi, ricorda come, quando i vapori umidi e densi che ti avvolgevano iniziano a diradarsi, il disco del sole cominci ad apparire debolmente attraverso di essi; se lo fai, la tua immaginazione sarebbe poi veloce nell'arrivare a vedere, nel comprendere come io alla fine rividi il sole cominciare ad apparire, mentre era già prossimo al tramonto. Così, sincronizzando i miei passi con i passi sicuri del mio maestro, uscì infine fuori da quella nube di fumo andando incontro alla luce del sole, oramai spenta dietro le spiaggie alla base del monte. O capacità di immaginazione, che alle volte ci sottrati talmente alla realtà esterna, oggettiva, che un uomo potrebbe non accorgersi nemmeno che intorno a lui suonino migliaia di trombe, chi ti muove, chi ti fa nascere, se nemmeno i sensi possono stimolarti? Ti muove infine una luce che prende forma nel cielo, per propria virtù o per volere di Dio, che la accompagna fin sulla terra. Della crudeltà di colei, Progne, che venne trasformata in un usignolo, l'uccello al quale piace cantare più di tutti, apparve l'immagine nella mia fantasia; ed a questo punto la mia immaginazione si concentrò così tanto dentrò di sé, che dal di fuori, dal mondo esterno, non poteva arrivare nessuno stimolo che potesse essere da lei percepito. Subito dopo, dentro la mia profonda immaginazione, mi apparve comparire dall'alto l'immagine di un uomo crocifisso, sdegnoso e crudele nella sua espressione, e lo vidi sul punto di morte; intorno a lui si trovavano il grande re Assuero, sua moglie Ester e l'onesto Mardocheo, che fu sempre incorruttibile sia nelle parole che nelle azioni. E non appena questa immagine svanì, si dileguò da sola, allo stesso modo in cui scompare una bolla d'aria quando, salendo in superficie, le manca intorno l'acqua dentra la quale si è formata, mi apparve nella visione l'immagine di una ragazza che piangeva disperatamente e diceva: "O regina, perché hai voluto distruggerti, ucciderti, solo a causa della tua ira? Ti sei uccisa per non perdere me, Lavinia; ed adesso mi hai perduta per sempre! Sono proprio io che piango, madre, la tua morte prima di quella di qualcun altro." Come si interrompe il sonno quando ad un tratto una luce improvvisa colpisce gli occhi chiusi, e, una volta interrotto, va e viene prima di cessare del tutto; allo stesso modo la mia immaginazione si dileguò di colpo non appena il mio viso fu colpito da una luce intensa, molto più forte di quella a cui siamo abituati nel mondo terreno. Mi stavo ancora guardando intorno, confuso, per capire dove mi trovassi, quanto una voce mi disse: "Si sale da questa parte", parole che distolsero la mia attenzione da qualunque altra cosa; e mi fecero provare una tale voglia di guardare chi era stato a pronunciare quell'invito, che non sarei mai riuscito a farla cessare se non soddisfacendola. Ma come il sole ci rendere difficile la vista con il suo bagliore e con un eccesso di luce ci nasconde la sua figura, allo stesso modo io non ero in grado di guardare quella persona. "Questo è uno spirito divino, mandato da Dio, che verso la via per salire alla prossima cornice ci indirizza senza bisogno di chiedere, e si nasconde alla nostra vista con la sua stessa luce. si comporta con noi come l'uomo fa con sé stesso; perché chi aspetta che venga richiesta una cosa pur vedendone la necessità, si prepara già malignamente a dare poi un rifiuto. Ora, muoviamo i passi verso la scala per accettare un invito così importante; facciamo in modo di salire alla cornice successiva prima che sia buio, perché non lo potremo poi più fare finché non arriverà il nuovo giorno. La mia guida Virgilio usò queste parole, ed insieme indirizzammo quindi i nostri passi verso una scala; e non appena mi trovai presso al primo dei gradini, sentii accanto a me un lieve battito d'ali ed una soffio d'aria sul viso, e sentii anche dire: "Beate le persone pacifiche, che non conoscono l'ira malvagia!" Si erano già tanto innalzati sopra di noi gli ultimi raggi del sole, seguiti dalla notte, che già da più parti cominciavano ad apparire le stelle. "O mia energia, perché stai diminuendo così tanto?" chiesi a me stesso, perché sentivo venire meno la forza nelle mie gambe. Noi eravamo già saliti in cima alla scala, nel punto oltre il quale si poteva andare, e stavamo fermi, immobili, proprio come una nave che è infine giunta a una spiaggia. Ed io rimasi un poco in silenzio, aspettai a parlare, per cercare di cogliere con l'udito qualsiasi suono potesse provenire dal nuovo cerchio; mi voltai infine verso il mio maestro, e chiesi: "Mio caro padre, dimmi, quale peccato viene espiato nel cerchio in cui ci troviamo adesso? Se i nostri piedi devono rimanere immobili, non facciano lo stesso le tue parole. E lui a me: "Dal giusto amore, rivolto correttamente ma privo della dovuta energia, ci si purifica in questo posto; qui si batte di nuovo e più velocemente il remo che in vita era stato troppo lento. Ma perché tu possa ancora più chiaramente comprendere le mie parole, rivolgi bene a me la tua attenzione, e potrai così ottenere qualche buon frutto, ottenere vantaggio dalla nostra sosta." "Né il creatore e nemmeno nessuna sua creatura", riprese a dire Virgilio, "figliolo mio, sono stati mai privi di amore, o del tipo naturale, istintivo, o del tipo scelto dall'animo e quindi razionale; e questo tu lo sai. L'amore naturale, istintivo, non può che essere sempre corretto, mentre l'altro, quello razionale potrebbe anche sbagliare perché rivolto verso un oggetto sbagliato oppure per eccessiva o scarsa forza. Fintanto che l'amore naturale è rivolto correttamente verso il primo bene, Dio, e sa moderarsi negli altri beni, quelli materiali, non può assolutamente essere la causa di un piacere cattivo; ma quando invece si rivolge verso il male oppure verso il bene ma con una energia superiore o inferiore a quella con cui dovrebbe rivolgersi, l'uomo agisce infine contro il suo creatore. Dalle mie parole puoi ora facilmente comprendere quanto sia importante che l'amore sia per ogni uomo il principio di ogni virtù ed anche di ogni vizio che meriti una punizione. Ora, poiché l'amore non può mai distogliere il suo sguardo dal bene di colui che ama, tutte le cose create sono al sicuro dall'odio verso sé stesse; e poiché nessuna creatura può essere concepita separata dal Primo Essere, da Dio, e quindi avere una esistenza propria, non è nemmeno possibile odiare Dio. La conclusione, se ho giudicato correttamente, è che l'unico male che si può amare è quello del prossimo; e questo amore nasce di tre tipi nel fango in cui voi uomini siete stati formati. C'é chi spera, grazie al fatto che il suo vicino venga calpestato, di poter primeggiare, e solo per questo desidera ardentemente che il suo prossimo cada, perda la sua posizione elevata. c'é poi chi teme di perdere il potere, il favore, l'onore e la fama per il fatto che qualcun altro lo superi, cosa per cui si dispiace fino ad arrivare ad amare il contrario (che gli altri scendano in basso); e c'é poi anche chi si mostra sdegnato per una offesa ricevuta, tanto da diventare avido di farsi vendetta e, in tale condizione, è inevitabile che finisca per procurare un danno agli altri. Queste tre differenti forme dell'amore male diretto vengono punite in questa cornice: ma ora voglio che tu impari qualcosa anche sull'altro tipo di amore, rivolto verso il giusto bene ma non in modo appropriato. Ciascun uomo viene a sapere in modo vago che esiste un bene supremo con il quale può riuscire ad appagare il suo animo, e lo desidera; e ciascun uomo si impegna pertanto per riuscire a raggiungerlo. Ma se l'uomo è spinto da una amore troppo debole a raggiungere questo bene, allora questa cornice, dopo il giusto pentimento, gli permette di purificarsi di tale peccato. Oltre a quello supremo, c'é un altro bene che non rende l'uomo felice; non può dare la falicità non essendo l'essenza del bene, effetto ed origine di ogni bene. L'amore che verso esso viene indirizzato con troppa energia, viene punito in ben tre cornici sopra di noi; ma come sia suddiviso in tre diverse forme, non te lo voglio dire, afinché tu possa comprenderlo da solo. |
Riassunto
Uscita dal Fumo (vv. 1-12)
Dante e Virgilio lasciano il denso velo di fumo e tornano a vedere il sole, ormai prossimo al tramonto. Il momento viene paragonato, in un'evocativa riflessione rivolta al lettore, a ciò che accade in montagna quando la nebbia comincia a diradarsi sotto i raggi del sole.
Esempi di Ira Punita (vv. 13-39)
Si presentano esempi significativi di ira punita, tratti da diverse fonti. Dal mito emerge la figura di Progne, trasformata in usignolo. Dalla Bibbia, si racconta la vicenda di Aman, ministro del re persiano Assuero, giustiziato sulla croce che egli stesso aveva preparato per Mardocheo, lo zio di Ester. Infine, dalla tradizione romana narrata nell'Eneide, si cita la regina Amata: disperata per la falsa notizia della morte di Turno e convinta che ciò avrebbe sancito le nozze tra Lavinia ed Enea, si toglie la vita impiccandosi.
L'Angelo della Mansuetudine e la Salita (vv. 40-69)
Con la fine dell'ultima visione, Dante viene colpito da una luce intensa e ode una voce che lo invita a proseguire verso la cornice successiva prima che sopraggiunga la notte. Virgilio spiega che si tratta dell'angelo che veglia sul passaggio. L'angelo cancella un'altra delle "P" dalla fronte di Dante e intona il canto dei "Beati pacifici".
La Struttura Morale del Purgatorio (vv. 70-139)
Raggiunta la sommità della scala, i due poeti sono costretti a fermarsi poiché il sole è ormai calato, e in Purgatorio non è consentito salire al buio. Dante, cercando di cogliere segni del luogo in cui si trovano, chiede a Virgilio di spiegargli quale peccato venga purificato in quella cornice. Virgilio risponde che è il regno dell'accidia, ossia dell'indolenza nel compiere il bene. Approfittando della sosta, il maestro illustra al discepolo l'ordinamento morale del Purgatorio, basato, come l'intera Commedia, sull'idea centrale dell'amore.
Figure Retoriche
vv. 5-6: "La spera / del sol": Enjambement.
v. 13: "O imaginativa": Apostrofe.
v. 14-15: "Ch'om non s'accorge perché dintorno suonin mille tube": Iperbole.
v. 16: "Chi move te": Anastrofe.
v. 21: "Ne l'imagine mia": Anastrofe.
vv. 23-24: "Non venìa cosa": Enjambement.
v. 26: "Dispettoso e fero": Endiadi.
vv. 31-33: "Rompeo sé per sé stessa, a guisa d'una bulla cui manca l'acqua sotto qual si feo": Similitudine.
v. 37: "Ancisa t'hai": Anastrofe.
vv. 40-45: "Come si frange il sonno ove di butto nova luce percuote il viso chiuso, che fratto guizza pria che muoia tutto; così l'imaginar mio cadde giuso tosto che lume il volto mi percosse, maggior assai che quel ch'è in nostro uso": Similitudine.
v. 41: "Il viso chiuso": Sineddoche.
vv. 52-54: "Ma come al sol che nostra vista grava e per soverchio sua figura vela, così la mia virtù quivi mancava": Similitudine.
v. 55: "Divino spirito": Anastrofe.
vv. 55-56: "Ne la / via": Enjambement.
v. 58: "Sì fa con noi, come l'uom si fa sego": Similitudine.
v. 61: "Or accordiamo a tanto invito il piede": Metonimia.
v. 66: "Al primo grado fui": Anastrofe.
vv. 68-69: "Beati / pacifici": Enjambement.
v. 71: "Che la notte segue": Anastrofe.
v. 73: "O virtù mia": Apostrofe.
v. 78: "Ed eravamo affissi pur come nave ch'a la piaggia arriva": Similitudine.
v. 81: "Maestro mio": Anastrofe.
v. 82: "Dolce mio padre": Anastrofe.
vv. 85-86: "Scemo / del suo dover": Enjambement.
v. 97: "Nel primo ben diretto": Perifrasi Per dire "verso Dio, il bene supremo".
v. 103: "Comprender puoi": Anastrofe.
v. 120: "'l contrario ama": Anastrofe.
vv. 134-135: "Buona / essenza": Enjambement.
v. 135: "Frutto e radice": Endiadi.
Analisi ed Interpretazioni
Il Canto XVII e l'Ordine Morale del Purgatorio
Il Canto XVII del Purgatorio occupa una posizione centrale nella seconda cantica e nell'intera Commedia, collegandosi strettamente sia al canto precedente che al successivo. Questa collocazione strategica riflette la trattazione di temi fondamentali come il libero arbitrio, la natura dell'amore e le radici della corruzione morale e politica. I tre canti centrali, inoltre, sintetizzano i temi principali delle tre cantiche: il XVI richiama l'Inferno attraverso analogie e riferimenti al buio morale e fisico, il XVII esplora l'ordine morale e la purificazione dell'anima nel Purgatorio, e il XVIII preannuncia il Paradiso con richiami a Beatrice e riflessioni sull'amore divino.
La Struttura del Canto XVII
Il canto si divide in due parti principali: una narrativa e una didascalica. Nella prima, Dante e Virgilio escono dalla terza cornice, lasciandosi alle spalle il fumo denso che simboleggia l'ira, per entrare nella quarta cornice al calare della sera. Questo passaggio è descritto con una suggestiva similitudine: il ritorno alla luce è paragonato a un viandante che, perso nella nebbia, intravede il sole. Durante questo cammino, Dante viene nuovamente rapito da una visione, che gli mostra tre esempi di ira punita, speculari a quelli di mansuetudine del Canto XV.
Questi esempi includono Progne, trasformata in rondine dopo essersi vendicata del marito Tereo; Aman, il ministro di Assuero crocifisso per il suo complotto contro Mardocheo; e Amata, regina suicida dell'Eneide, che si toglie la vita sopraffatta dal rimorso. Questi episodi, tratti sia dalla tradizione classica che biblica, sottolineano come l'ira conduca alla distruzione, sia degli altri che di sé stessi.
L'Ordine Morale del Purgatorio
La seconda parte del canto introduce una riflessione dottrinale di Virgilio sull'ordinamento morale del Purgatorio, strettamente legato alla teologia cristiana di San Tommaso d'Aquino. Mentre nell'Inferno i peccati sono classificati secondo l'etica aristotelica, qui si fondano sulla dottrina dell'amore. Ogni azione, virtuosa o peccaminosa, è determinata dall'amore, che può essere diretto al male, debole nel perseguire il bene o eccessivo verso beni terreni. Questo schema tripartito si riflette nei peccati capitali: superbia, invidia e ira derivano da un amore rivolto al male; l'accidia da un amore fiacco; avarizia, gola e lussuria da un amore smodato per beni terreni.
Virgilio spiega come solo i peccati d'amore possano essere purificati nel Purgatorio, poiché rappresentano un traviamento che può essere redento. Questo contrasta con i peccati di malizia e frode puniti nell'Inferno, che derivano dall'odio e non dall'amore. La spiegazione si interrompe lasciando spazio alla riflessione personale di Dante, preparando il terreno al discorso sull'amore e sul libero arbitrio che sarà approfondito nel Canto XVIII.
L'Amore come Motore della Commedia
L'amore emerge come il principio fondamentale del Purgatorio e dell'intera Commedia. È l'amore che muove ogni creatura verso il Creatore, fonte di ogni bene. Questa centralità è ribadita nella conclusione del poema, dove l'universo stesso è descritto come mosso dall'amore divino. Lungo il cammino del monte, Dante compie una revisione delle proprie concezioni sull'amore, collegandole alla grazia divina simboleggiata da Beatrice e culminando nell'esaltazione dell'amore perfetto nel Paradiso.
Passi Controversi
Al verso 3, "talpe" è un termine arcaico che indica il singolare "talpa". Al verso 7, il termine "imagine" si riferisce alla capacità dell'immaginazione, un concetto ribadito anche da "imaginativa" al verso 13 e "fantasia" al verso 25. Questa idea richiama la filosofia scolastica, in particolare il pensiero di San Tommaso d'Aquino (Summa Theologiae, I, qq. 12 e 78).
L'episodio di Progne, che per vendicarsi di Tereo, il quale aveva violentato sua sorella Filomela, uccise il figlio Iti e servì le sue carni al padre, è menzionato anche nel Canto IX (vv. 13-15). Nel mito, Progne viene trasformata in rondine e Filomela in usignolo, ma Dante sembra invertire i ruoli, probabilmente a causa delle fonti (come Ovidio e Virgilio), che non erano del tutto chiare.
Il personaggio di Aman (vv. 25-30) è ispirato al ministro del re persiano Assuero, identificato con Serse I. Aman, adirato con Mardocheo, zio di Ester, progettò di farlo crocifiggere. Tuttavia, Ester svelò i suoi intenti al re, che punì Aman con la stessa sorte. Questo episodio, tratto dal Libro di Ester (capitoli III-VII), presenta alcune modifiche: Dante attribuisce al re il titolo di "grande" e descrive Mardocheo come "giusto", elementi non presenti nella Vulgata.
Il verbo "lutto" al verso 38 significa "piangere" o "essere in lutto", ma il suo uso è poco comune. La rima "ne la" al verso 55 è definita composta (si veda Inf., VII, 28), mentre "sego" al verso 58 equivale a "con se stesso" (da "seco").
I versi 68-69 richiamano la settima beatitudine evangelica: Beati pacifici, quoniam filii Dei vocabuntur ("Beati i mansueti, perché saranno chiamati figli di Dio"). Dante rielabora il testo introducendo una distinzione tra ira buona e cattiva, seguendo San Tommaso (Summa Theologiae, II-II, q. 168).
Infine, il "primo ben" citato al verso 97 si riferisce a Dio, mentre i "beni" del verso 98 rappresentano i valori materiali.
Fonti: libri scolastici superiori