Parafrasi e Analisi: "Canto XXII" - Purgatorio - Divina Commedia - Dante Alighieri


Immagine Dante Alighieri
1) Scheda dell'Opera
2) Introduzione
3) Testo e Parafrasi
4) Riassunto
5) Figure Retoriche
6) Analisi ed Interpretazioni
7) Passi Controversi

Scheda dell'Opera


Autore: Dante Alighieri
Prima Edizione dell'Opera: 1321
Genere: Poema
Forma metrica: Costituita da tre versi di endecasillabi. Il primo e il terzo rimano tra loro, il secondo rima con il primo e il terzo della terzina successiva.



Introduzione


Il Canto XXII del Purgatorio si colloca nella cornice dei golosi pentiti e rappresenta un momento di riflessione poetica e morale, in cui il dialogo tra Dante, Virgilio e l'anima di Stazio diviene occasione per approfondire temi centrali quali la redenzione, il valore della poesia e il rapporto tra fede e virtù. L'episodio si distingue per la sua intensità intellettuale e spirituale, mettendo in luce il ruolo dell'arte e della letteratura nella crescita dell'anima. La centralità della figura di Stazio, poeta convertito al cristianesimo, consente a Dante di esaminare il potere trasformativo della fede e della grazia, creando un ponte tra la cultura classica e l'ideale cristiano. L'intero canto si sviluppa in un clima di serena elevazione, sottolineando il cammino verso la purificazione interiore e la progressiva acquisizione di una consapevolezza etica e spirituale più profonda.


Testo e Parafrasi


Già era l'angel dietro a noi rimaso,
l'angel che n'avea vòlti al sesto giro,
avendomi dal viso un colpo raso;

e quei c'hanno a giustizia lor disiro
detto n'avea beati, e le sue voci
con 'sitiunt', sanz' altro, ciò forniro.

E io più lieve che per l'altre foci
m'andava, sì che sanz' alcun labore
seguiva in sù li spiriti veloci;

quando Virgilio incominciò: «Amore,
acceso di virtù, sempre altro accese,
pur che la fiamma sua paresse fore;

onde da l'ora che tra noi discese
nel limbo de lo 'nferno Giovenale,
che la tua affezion mi fé palese,

mia benvoglienza inverso te fu quale
più strinse mai di non vista persona,
sì ch'or mi parran corte queste scale.

Ma dimmi, e come amico mi perdona
se troppa sicurtà m'allarga il freno,
e come amico omai meco ragiona:

come poté trovar dentro al tuo seno
loco avarizia, tra cotanto senno
di quanto per tua cura fosti pieno?».

Queste parole Stazio mover fenno
un poco a riso pria; poscia rispuose:
«Ogne tuo dir d'amor m'è caro cenno.

Veramente più volte appaion cose
che danno a dubitar falsa matera
per le vere ragion che son nascose.

La tua dimanda tuo creder m'avvera
esser ch'i' fossi avaro in l'altra vita,
forse per quella cerchia dov' io era.

Or sappi ch'avarizia fu partita
troppo da me, e questa dismisura
migliaia di lunari hanno punita.

E se non fosse ch'io drizzai mia cura,
quand' io intesi là dove tu chiame,
crucciato quasi a l'umana natura:

'Per che non reggi tu, o sacra fame
de l'oro, l'appetito de' mortali?',
voltando sentirei le giostre grame.

Allor m'accorsi che troppo aprir l'ali
potean le mani a spendere, e pente'mi
così di quel come de li altri mali.

Quanti risurgeran coi crini scemi
per ignoranza, che di questa pecca
toglie 'l penter vivendo e ne li stremi!

E sappie che la colpa che rimbecca
per dritta opposizione alcun peccato,
con esso insieme qui suo verde secca;

però, s'io son tra quella gente stato
che piange l'avarizia, per purgarmi,
per lo contrario suo m'è incontrato».

«Or quando tu cantasti le crude armi
de la doppia trestizia di Giocasta»,
disse 'l cantor de' buccolici carmi,

«per quello che Clïò teco lì tasta,
non par che ti facesse ancor fedele
la fede, sanza qual ben far non basta.

Se così è, qual sole o quai candele
ti stenebraron sì, che tu drizzasti
poscia di retro al pescator le vele?».

Ed elli a lui: «Tu prima m'invïasti
verso Parnaso a ber ne le sue grotte,
e prima appresso Dio m'alluminasti.

Facesti come quei che va di notte,
che porta il lume dietro e sé non giova,
ma dopo sé fa le persone dotte,

quando dicesti: 'Secol si rinova;
torna giustizia e primo tempo umano,
e progenïe scende da ciel nova'.

Per te poeta fui, per te cristiano:
ma perché veggi mei ciò ch'io disegno,
a colorare stenderò la mano.

Già era 'l mondo tutto quanto pregno
de la vera credenza, seminata
per li messaggi de l'etterno regno;

e la parola tua sopra toccata
si consonava a' nuovi predicanti;
ond' io a visitarli presi usata.

Vennermi poi parendo tanto santi,
che, quando Domizian li perseguette,
sanza mio lagrimar non fur lor pianti;

e mentre che di là per me si stette,
io li sovvenni, e i lor dritti costumi
fer dispregiare a me tutte altre sette.

E pria ch'io conducessi i Greci a' fiumi
di Tebe poetando, ebb' io battesmo;
ma per paura chiuso cristian fu'mi,

lungamente mostrando paganesmo;
e questa tepidezza il quarto cerchio
cerchiar mi fé più che 'l quarto centesmo.

Tu dunque, che levato hai il coperchio
che m'ascondeva quanto bene io dico,
mentre che del salire avem soverchio,

dimmi dov' è Terrenzio nostro antico,
Cecilio e Plauto e Varro, se lo sai:
dimmi se son dannati, e in qual vico».

«Costoro e Persio e io e altri assai»,
rispuose il duca mio, «siam con quel Greco
che le Muse lattar più ch'altri mai,

nel primo cinghio del carcere cieco;
spesse fïate ragioniam del monte
che sempre ha le nutrice nostre seco.

Euripide v'è nosco e Antifonte,
Simonide, Agatone e altri piùe
Greci che già di lauro ornar la fronte.

Quivi si veggion de le genti tue
Antigone, Deïfile e Argia,
e Ismene sì trista come fue.

Védeisi quella che mostrò Langia;
èvvi la figlia di Tiresia, e Teti,
e con le suore sue Deïdamia».

Tacevansi ambedue già li poeti,
di novo attenti a riguardar dintorno,
liberi da saliri e da pareti;

e già le quattro ancelle eran del giorno
rimase a dietro, e la quinta era al temo,
drizzando pur in sù l'ardente corno,

quando il mio duca: «Io credo ch'a lo stremo
le destre spalle volger ne convegna,
girando il monte come far solemo».

Così l'usanza fu lì nostra insegna,
e prendemmo la via con men sospetto
per l'assentir di quell' anima degna.

Elli givan dinanzi, e io soletto
di retro, e ascoltava i lor sermoni,
ch'a poetar mi davano intelletto.

Ma tosto ruppe le dolci ragioni
un alber che trovammo in mezza strada,
con pomi a odorar soavi e buoni;

e come abete in alto si digrada
di ramo in ramo, così quello in giuso,
cred' io, perché persona sù non vada.

Dal lato onde 'l cammin nostro era chiuso,
cadea de l'alta roccia un liquor chiaro
e si spandeva per le foglie suso.

Li due poeti a l'alber s'appressaro;
e una voce per entro le fronde
gridò: «Di questo cibo avrete caro».

Poi disse: «Più pensava Maria onde
fosser le nozze orrevoli e intere,
ch'a la sua bocca, ch'or per voi risponde.

E le Romane antiche, per lor bere,
contente furon d'acqua; e Danïello
dispregiò cibo e acquistò savere.

Lo secol primo, quant' oro fu bello,
fé savorose con fame le ghiande,
e nettare con sete ogne ruscello.

Mele e locuste furon le vivande
che nodriro il Batista nel diserto;
per ch'elli è glorïoso e tanto grande

quanto per lo Vangelio v'è aperto».
Ci eravamo oramai già lasciati alle nostre spalle l'Angelo,
l'Angelo che ci aveva indirizzati verso la sesta cornice del Purgatorio,
dopo avermi cancellato dalla fronte uno dei segni, delle P incise;

e di quelli che desiderano la giustizia
aveva elogiato la beatitudine, ed il suo discorso
con la parola "sitiunt", senza aggiungere altro, era terminato.

Ed io, più leggero di quanto ero mai stato prima negli altri passaggi,
proseguivo nella salita, tanto che senza alcuna grossa fatica
seguivo verso l'alto i due spiriti, Virgilio e Stazio, più veloci di me;

quando Virgilio cominciò a dire: "L'Amore,
acceso dalla virtù, dal bene, ha sempre poi acceso altri fuochi d'amore,
a condizione però che la sua fiamma originaria venisse in questi manifestata;

pertanto, dal momento in cui discese tra di noi
nel Limbo dell' Inferno il poeta Giovenale,
che mi manifestò apertamente la sua devozione nei miei confronti,

la mia benevolenza nei tuoi confronti raggiunse una intensità tale
da non essere stata mai provata prima per una persona mai incontrata,
così che adesso queste scale che stiamo salendo mi sembrano troppo corte.

Ma dimmi, e da amico perdonami
se uso troppa confidenza, se non mantengo il giusto distacco,
e oramai da amico dialoga anche con me:

come ha potuto trovare spazio nella tua anima
l'avidità, tra tutta quella saggezza
della quale sei sempre stato ricco per tuo merito?"

Queste parole di Virgilio spinsero Stanzio
a sorridere un poco prima di rispondere; subito dopo disse:
"Ogni tua parola è per me un chiaro segno del tuo amore.

È allora proprio vero che molte volte ci appaiono cose
che danno un cattivo motivo di dubitare
perché le ragioni vere rimango invece nascoste alle nostre menti.

La tua domanda rende evidente che tu credi
che io sono stato avido nella vita terrena, da vivo,
lo credi forse per la cornice dove mi trovavo.

Sappi ora che il vizio dell'avarizia è invece sempre stato
troppo lontano da me, ed è stata anzi questa eccessiva lontananza
ad essere punita per migliaia di mesi in quella cornice.

E se non avessi corretto questa mia predisposizione, nel momento
in cui compresi finalmente un passo della tua opera, l'Eneide, dove gridi
quasi arrabbiato contro la natura umana:

"A che cosa non sai spingere tu, detestabile ardente desiderio
di ricchezza, la voglia degli uomini?", (se non mi fossi corretto)
adesso proverei nell'Inferno il crudele gioco tra avari e prodighi.

In quel momento mi accorsi che troppo si potevano aprire
le mie mani nello spendere, e mi pentii
di quello come di tutti gli altri miei peccati.

Quanti (prodighi) risorgerano con i loro capelli tagliati
per l'ignoranza di non avere compreso il loro peccato, ingoranza che
gli ha tolto la possibilità di pentirsi sia in vita che sul punto di morte.

E sappi anche che la colpa che è
diametralmente opposta ad un certo peccato,
viene qui espiata insieme con esso (avidi e prodighi vengono puniti insieme);

pertanto, se io mi sono trovato nella cornice dove stanno le anime (avare)
che piangono per il loro essere stati avidi in vita, per purificarmi,
il motivo è che ho commesso un peccato contrario (prodigo) al loro."

"Ora, quanto tu hai cantato la crudele guerra che arrecò
una doppia tristezza a Giocasta (entrambi i suoi figli morirono)
", disse Virgilio, il cantore dei componimenti poetici bucolici,

"almeno, da ciò che si legge nel tuo poema, da ciò che la musa Clio tratta,
non sembra che fosse ancora riuscita e renderti un vero cristiano
la fede, senza la quale non è sufficiente il solo comportarsi bene.

E se è come dico, quale luce, generata dal sole e da candele,
ti ha sottratto alle tenebre tanto da farti subito issare
le tue vele per stare dietro al pescatore (di uomini) Pietro?"

E Stazio gli rispose: "Tu per primo mi ha avviato alla poesia, mi hai
avviato al monte Parnasio (sede delle Muse) per bere l'acqua che sgorga
nelle sue grotte, e per primo, dopo Dio, mi hai anche tolto da quelle tenebre.

Ti sei comportato come chi cammina di notte tenendo una laterna
alle sue spalle, così da non poterne trarre vantaggio personalmente ma da
essere d'aiuto alle persone che lo seguono, facendogli conoscere la strada,

quando ha detto: "Il secolo si rinnova;
ritorna la giustizia e la prima età dell'uomo,
ed una nuova generazione scende dal cielo".

Grazie a te divenni poeta, grazie a te divenni anche cristiano:
ma perché tu riesca meglio a comprendere ciò che voglio dire,
inzierò a raccontarti più nei dettagli la mia storia.

Tutto il mondo era già a quel tempo pervaso
dalla vera fede, dal cristianesimo, diffusa
dagli Apostoli, i messaggeri del regno eterno, di Dio;

e le tue parole che ho poco fa citato
erano in armonia con quelle dei nuovi predicatori;
così che io iniziai a prendere l'abitudine di frequentarli.

Inziarono anche a sembrarmi santi a tal punto
che, quando Dominziano li perseguitò,
i loro pianti furono accompagnati anche dalle mie lacrime;

e fino all'ultimo giorno che trascorsi di là nel mondo terreno,
io li aiutati, ed il loro modo onesto di comportarsi
mi fece infine anche disprezzare qualunque altra setta religiosa.

E prima ancora di avere condotto l'esercito greco fino ai fiumi
di Tebe nella mia poesia, ricevetti il battesimo;
ma per paura delle persecuzioni tenni nascosta la mia fede cristiana,

e per lungo tempo feci credere di essere un pagano;
ed è a causa di questo mio tiepido amore che la quarta cornice
ho dovuto percorre in cerchio per più di quattro secoli.

E ora tu, che hai sollevato il coperchio
che mi nascondeva alla vista tutto quel bene di cui parlo,
fintanto che abbiamo ancora la salita da percorrere,

dimmi dove si trova il nostro antico collega Terenzio,
ed anche Cecilio e Plauto e Varrone, se lo sai:
dimmi se sono dannati, e, se lo sono, in quale regione dell' Inferno."

"Quelli che hai nominato insieme anche a Perseo, a me ed a molti altri",
rispose la mia guida Virgilio, "si trovano in compagnia di quel poeta Greco
che le Muse hanno allattato, hanno nutrito più di qualunque altro,

nel primo cerchio di quel carcere buio che è l'Inferno;
spesso discutiamo di quel monte, il monte Parnaso,
che da sempre ospita le nostre ispiratrici, le Muse.

Euripite si trova in mezzo a noi, così come Antifonte,
Simonide, Agatone e molti altri
poeti greci che in vita si sono potuti ornare la fronte con l'alloro.

In quel cerchio si possono anche vedere i protagonisti dei tuoi canti,
Antigone, Deifile e Argia,
ed anche Ismene, tanto triste come lo è stato in vita.

Si può vedere Isifile, colei che mostrò ai greci la fonte Langia;
c'è lì anche Manto, la figlia di Tiresia, e Teti,
e Deidamia con le sue sorelle."

Tacevano oramai entrambi i poeti,
di nuovo attenti a guardarsi tutt'intorno nella nuova cornice,
non più impegnati da gradini e stretti tra pareti di roccia;

e già le prime quattro ancelle del giorno, le prime quattro ore del giorno
erano passate, e la quinta si trovava ora al timone del carro,
indirizzando sempre verso l'alto la sua punta incandescente,

quando la mia guida: "Io credo che verso il lato esterno della cornice
ci conviene rivolgere e mantenere le nostre spalle destre,
così da girare intorno al monte come abbiamo fatto fino ad adesso."

Così in quella cornice la nostra abitudine ci diede l'indicazione,
e proseguimmo nel nostro cammino con minore timore,
rassicurati dal consenso di quell'anima beata, di Stazio.

Stazio e virgilio procedevano entrambi davanti a me, ed io tutto solo
dietro a loro, ed ascoltavo così i loro discorsi,
che mi offrivano insegnamenti sull'arte della poesia.

Ma improvvisamente i loro piacevoli discorsi furono interrotti
da un albero che si trovava proprio in mezzo alla strada,
ricco di frutti dal profumo gradevole ed appetitoso;

e così come un abete ha rami che diventano più corti procedendo
dal basso verso l'alto, così quello, al contrario, dall'alto verso il basso,
credo, con lo scopo di impedire alle persone di arrampicarsi.

Dal lato dove il nostro cammino era chiuso dalla parete del monte,
scendeva dall'alto della roccia un liquido chiaro
e si spandeva su per le foglie dell'albero.

I due poeti si avvicinarono all'albero;
ed una voce da dentro ai rami
gridò loro: "Di questo cibo voi avrete la mancanza".

Poi disse: "Maria si preoccupava di più
che le nozze fossero decorose e complete di tutto,
che al cibo per lei, alla sua bocca, che ora intercede per voi.

E le antiche donne di Roma, per poter bere,
si accontentavano dell'acqua; e Daniele
disprezzò il cibo e guadagnò in conoscenza.

La prima età dell'uomo fu bella quanto l'oro,
con la fame rese saporite le ghiande,
con la sete fece sembrare nettare l'acqua di qualunque ruscello.

Miele e cavallette furono gli alimenti
che nutrirono nel deserto Giovanni Battista;
per questo suo essere semplice egli è tanto glorioso e grande

quanto vi viene mostrato nel Vangelo."



Riassunto


Salita alla Sesta Cornice (vv. 1-9)
Dopo che l'angelo custode della quinta cornice, simbolo della giustizia, rimuove un altro dei segni P dalla fronte di Dante e intona la quarta Beatitudine evangelica, il poeta si sente più leggero. Con maggiore facilità, riesce a seguire Virgilio e Stazio, i suoi compagni di viaggio.

Il Peccato di Stazio (vv. 10-54)
Virgilio, ricambiando l'ammirazione che Stazio aveva per lui – appresa da Giovenale nel Limbo – si rivolge al poeta. Stazio spiega di trovarsi nella quinta cornice non per avarizia, ma per la prodigalità. Egli racconta di come riuscì a correggersi grazie a un passaggio dell'Eneide, che lo ispirò a cambiare vita.

La Conversione di Stazion al Cristianesimo (vv. 55-93)
Alla domanda di Virgilio su cosa lo avesse portato verso la fede cristiana, Stazio attribuisce nuovamente il merito al poeta latino. La lettura della quarta Ecloga lo spinse a riflettere sulla nuova fede, ma la paura delle persecuzioni lo indusse a dichiararsi pagano. Questa scelta lo condannò a trascorrere quattrocento anni nella cornice degli accidiosi.

Virgilio Parla del Limbo (vv. 94-114)
Virgilio informa Stazio che nel Limbo, insieme a lui, si trovano ora i grandi autori dell'antichità greca e latina, oltre a numerosi personaggi che Stazio stesso aveva celebrato nei suoi scritti.

La Sesta Cornice: L'Albero Particolare (vv. 115-154)
I tre poeti raggiungono la sesta cornice, riservata alle anime dei golosi. Qui, discutendo, giungono davanti a un albero dalla forma insolita, simile a un cono rovesciato, con frutti profumati ma impossibili da raggiungere. Da questo albero si leva una voce che offre una serie di esempi di temperanza.


Figure Retoriche


v. 5: "Detto n'avea": Anastrofe.
v. 19: "Mi perdona": Anastrofe.
v. 22: "Seno": Metonimia. Il concreto per l'astratto, il seno (inteso come petto o cuore) anziché l'animo.
v. 39: "L'umana natura": Anastrofe.
vv. 40-41: "O sacra fame de l'oro": Apostrofe.
vv. 40-41: "O sacra fame / de l'oro": Enjambement.
v. 44: "Pente'mi": Anastrofe.
v. 54: "Per lo contrario suo": Anastrofe.
v. 56: "De la doppia trestizia di Giocasta": Perifrasi. Per indicare la doppia sciagura di Giocasta, ovvero i due figli Eteocle e Polinice.
v. 57: "Buccolici carmi": Anastrofe.
v. 59-60: "Fedele la fede": Figura Etimologica.
v. 63: "Al pescator le vele": Perifrasi.
v. 67-69: "Facesti come quei che va di notte, che porta il lume dietro e sé non giova, ma dopo sé fa le persone dotte": Similitudine.
v. 73: "Poeta fui": Anastrofe.
v. 78: "Li messaggi de l'etterno regno": Perifrasi.
v. 79: "La parola tua": Sineddoche.
v. 79: "Parola tua": Anastrofe.
v. 84: "Sanza mio lagrimar non fur lor pianti": Metonimia.
vv. 88-89: "Fiumi / di Tebe": Enjambement.
v. 97: "Terrenzio nostro antico": Anastrofe.
v. 101: "Il duca mio": Anastrofe.
vv. 101-102: "Siam con quel Greco che le Muse lattar più ch'altri mai": Perifrasi. Per indicare Omero.
v. 103: "Carcere cieco": Perifrasi. Per indicare la prigione priva di luce, l'Inferno.
v. 109: "Le genti tue": Anastrofe.
v. 114: "Le suore sue": Anastrofe.
vv. 126-127: "Soletto / di retro": Enjambement.
v. 132: "Soavi e buoni": Endiadi.
vv. 133-134: "E come abete in alto si digrada di ramo in ramo, così quello in giuso": Similitudine.
v. 136: "Cammin nostro": Anastrofe.


Analisi ed Interpretazioni


La conversione di Stazio al cristianesimo e l'esaltazione della poesia virgiliana
Nel canto XXII del Purgatorio, Dante approfondisce il dialogo tra Stazio e Virgilio, proseguendo la celebrazione dell'opera e del magistero morale del poeta mantovano. Dopo aver presentato nel canto precedente la figura e l'ammirazione di Stazio per Virgilio, Dante introduce due aspetti non storicamente documentati riguardanti il poeta latino: la sua prodigalità, superata grazie alla lettura di un passo dell'Eneide (III, 56-57), e la sua conversione segreta al cristianesimo, ispirata dalla quarta Egloga di Virgilio. Questi episodi sono funzionali a esaltare Virgilio come figura cardine non solo della poesia, ma anche del percorso morale e spirituale, culminando nella dichiarazione di Stazio: "Per te poeta fui, per te cristiano".

La conversione di Stazio al cristianesimo, pur non avendo riscontri storici, si inserisce in una tradizione leggendaria diffusa nel Medioevo, narrata anche da Vincenzo di Beauvais nello Speculum historiale. Secondo questa tradizione, alcuni pagani avrebbero abbracciato la fede cristiana dopo aver letto la quarta Egloga, interpretata come una profezia della nascita di Cristo. Dante utilizza questa leggenda per creare un parallelismo tra il cammino spirituale di Stazio, dal paganesimo alla fede cristiana, e il proprio viaggio dalla selva del peccato alla grazia.

Nel dialogo, Virgilio chiede a Stazio chiarimenti sul suo peccato, che sembrerebbe incompatibile con la saggezza espressa nella Tebaide. Stazio spiega di essere stato colpevole non di avarizia, ma di prodigalità, un eccesso opposto ma altrettanto grave, punito nella stessa cornice del Purgatorio. Questo spunto permette a Dante di riflettere sull'etica aristotelica, che vede la virtù come un equilibrio tra opposti. Stazio racconta di aver compreso il suo errore leggendo il passo dell'Eneide in cui Virgilio condanna la auri sacra fames («esecranda fame dell'oro»). Dante interpreta erroneamente l'espressione, attribuendole il significato di un giusto desiderio dell'oro, inteso come equilibrio tra cupidigia e prodigalità. Questo fraintendimento, che potrebbe essere intenzionale, è un esempio delle libertà interpretative che Dante si concede nell'attribuire alla poesia classica un valore morale e profetico.

L'influenza di Virgilio su Stazio non si limita alla conversione cristiana, ma si estende alla sua riforma morale. Stazio riconosce in Virgilio una guida luminosa che, pur ignorando la verità ultima, ha saputo indicare la strada verso di essa. La celebrazione di Virgilio come maestro culmina nel suo ruolo di ispiratore, sottolineando il potere universale della poesia.

Nella seconda parte del canto, Virgilio descrive a Stazio il destino ultraterreno di poeti e personaggi del mondo classico, molti dei quali relegati nel Limbo. Tra questi, si trovano figure della Tebaide, come Manto, e altri personaggi classici, come Omero. Questo elenco, pur celebrando la grandezza della poesia classica, sottolinea al contempo i limiti della cultura pagana, incapace di raggiungere la salvezza. La contraddizione con la collocazione di Manto tra gli indovini dell'Inferno solleva interrogativi critici ancora irrisolti.

Il canto si conclude con l'ingresso nella sesta cornice, dove Dante descrive un albero capovolto, simbolo di temperanza, e le voci che recitano esempi biblici e classici di moderazione, come Maria, Daniele e san Giovanni Battista, accanto alle antiche Romane e al mito dell'età dell'oro. Questi esempi sono tratti da fonti bibliche e classiche, dimostrando ancora una volta l'abilità di Dante nel fondere tradizioni diverse per esaltare la superiorità della poesia cristiana.

In questo canto, Dante non solo celebra il valore della poesia come guida morale e spirituale, ma propone una riflessione sulla funzione redentiva della letteratura, culminando nell'affermazione del primato della Divina Commedia rispetto alla tradizione poetica classica.


Passi Controversi


La beatitudine cantata dall'angelo nei versi 4-6 corrisponde alla quarta riportata nel Vangelo (Matteo 5,6): Beati qui esuriunt et sitiunt iustitiam, quoniam ipsi saturabuntur ("Beati coloro che hanno fame e sete di giustizia, perché saranno saziati"). In questo contesto, l'angelo sembra pronunciare solo Beati qui sitiunt iustitiam, sottolineando il contrasto tra la sete di giustizia e l'avidità di ricchezze punita in questa Cornice. Nella Cornice successiva, invece, sarà proclamata la beatitudine Beati qui esuriunt iustitiam (XXIV, 151-154).

Il poeta latino Decimo Giunio Giovenale (v. 14), vissuto tra il 47 e il 130 d.C. circa, fu contemporaneo di Stazio e ammiratore della sua Tebaide. Sebbene Dante lo citi frequentemente, non è certo che conoscesse direttamente le sue opere.

I versi 16-17 alludono all'amore che può nascere tra persone che non si sono mai incontrate, un tema ricorrente nella lirica provenzale e noto come amor de lonh.

L'espressione "migliaia di lunari" (v. 36) indica migliaia di mesi, ovvero secoli. Stazio, infatti, è rimasto nella quinta Cornice per più di 500 anni.

Il verso 46 (Quanti risurgeran coi crini scemi) richiama l'idea espressa in Inferno VII, 55-57, secondo cui i prodighi risorgeranno con i capelli tagliati, mentre gli avari con il pugno chiuso.

I versi 49-51 significano che i peccati opposti si estinguono insieme durante l'espiazione: la colpa contraria (rimbecca) si dissolve e appassisce (suo verde secca).

La doppia sofferenza di Giocasta si riferisce ai suoi figli, Eteocle e Polinice, che, secondo la Tebaide, si scontrarono in un duello fratricida.

Nel verso 58, Clio, Musa della poesia epica, accompagna il canto di Stazio con la sua lira.

L'espressione Appresso Dio (v. 66) è stata interpretata come "verso Dio", ma probabilmente significa "dopo Dio", indicando che Stazio fu prima illuminato dalla Grazia divina e poi da Virgilio.

I versi 70-72 riprendono letteralmente la IV Egloga di Virgilio (magnus ab integro saeclorum nascitur ordo...), che celebra il ritorno dell'età dell'oro.

Il termine centesmo (v. 93) indica l'ultimo anno di un secolo, e Stazio precisa che la sua permanenza nella quarta Cornice ha superato i 400 anni.

Gli scrittori citati da Stazio e Virgilio (vv. 97-108) come anime nel Limbo includono Terenzio, Cecilio Stazio, Plauto, Varrone Reatino (o forse Vario Rufo), Persio, Omero, i tragici greci Euripide e Antifonte, e i poeti lirici Simonide, Agatone e altri.

Nei versi 109-114, Virgilio menziona alcuni personaggi delle opere di Stazio, come Antigone, Deifile, Argia, Ismene, Isifile (che indicò la fonte Langia), Manto, Teti e Deidamia.

Le ancelle citate al verso 118 rappresentano le ore del giorno, raffigurate come giovani che si alternano alla guida del carro solare. La quinta è al timone, dirigendo il Sole verso il meridiano.

Nel verso 121, lo stremo indica il margine estremo della Cornice.

La voce al verso 141 (Di questo cibo avrete caro) richiama il passo biblico (Genesi 2,17) sul divieto di mangiare dall'albero della conoscenza del bene e del male, e alcuni suggeriscono che l'albero rappresenti quello dell'Eden.

Infine, i versi 146-147 si riferiscono all'episodio biblico di Daniele, che rifiutò i cibi della mensa di Nabucodonosor per nutrirsi di acqua e legumi, ottenendo così scienza e saggezza divine (Daniele 1,1-20).

Fonti: libri scolastici superiori

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