Parafrasi e Analisi: "Canto XXIX" - Purgatorio - Divina Commedia - Dante Alighieri

1) Scheda dell'Opera
2) Introduzione
3) Testo e Parafrasi
4) Riassunto
5) Figure Retoriche
6) Analisi ed Interpretazioni
7) Passi Controversi
Scheda dell'Opera
Autore: Dante Alighieri
Prima Edizione dell'Opera: 1321
Genere: Poema
Forma metrica: Costituita da tre versi di endecasillabi. Il primo e il terzo rimano tra loro, il secondo rima con il primo e il terzo della terzina successiva.
Introduzione
Nel Canto XXIX del Purgatorio, Dante introduce una delle scene più suggestive e simboliche di tutto il poema, carica di elementi allegorici e visioni celestiali. Ci troviamo nella foresta dell'Eden, un luogo di straordinaria bellezza e armonia, che rappresenta la condizione originaria dell'uomo prima del peccato. Qui la narrazione si arricchisce di immagini potenti e solenni, che riflettono il passaggio definitivo dalla purificazione terrena alla contemplazione divina. Il canto prepara il lettore a una dimensione spirituale più elevata, offrendo una rappresentazione maestosa del mistero della salvezza e della rivelazione divina attraverso un linguaggio poetico di rara intensità.
Testo e Parafrasi
Cantando come donna innamorata, continüò col fin di sue parole: 'Beati quorum tecta sunt peccata!'. E come ninfe che si givan sole per le salvatiche ombre, disïando qual di veder, qual di fuggir lo sole, allor si mosse contra 'l fiume, andando su per la riva; e io pari di lei, picciol passo con picciol seguitando. Non eran cento tra ' suoi passi e ' miei, quando le ripe igualmente dier volta, per modo ch'a levante mi rendei. Né ancor fu così nostra via molta, quando la donna tutta a me si torse, dicendo: «Frate mio, guarda e ascolta». Ed ecco un lustro sùbito trascorse da tutte parti per la gran foresta, tal che di balenar mi mise in forse. Ma perché 'l balenar, come vien, resta, e quel, durando, più e più splendeva, nel mio pensier dicea: 'Che cosa è questa?'. E una melodia dolce correva per l'aere luminoso; onde buon zelo mi fé riprender l'ardimento d'Eva, che là dove ubidia la terra e 'l cielo, femmina, sola e pur testé formata, non sofferse di star sotto alcun velo; sotto 'l qual se divota fosse stata, avrei quelle ineffabili delizie sentite prima e più lunga fïata. Mentr' io m'andava tra tante primizie de l'etterno piacer tutto sospeso, e disïoso ancora a più letizie, dinanzi a noi, tal quale un foco acceso, ci si fé l'aere sotto i verdi rami; e 'l dolce suon per canti era già inteso. O sacrosante Vergini, se fami, freddi o vigilie mai per voi soffersi, cagion mi sprona ch'io mercé vi chiami. Or convien che Elicona per me versi, e Uranìe m'aiuti col suo coro forti cose a pensar mettere in versi. Poco più oltre, sette alberi d'oro falsava nel parere il lungo tratto del mezzo ch'era ancor tra noi e loro; ma quand' i' fui sì presso di lor fatto, che l'obietto comun, che 'l senso inganna, non perdea per distanza alcun suo atto, la virtù ch'a ragion discorso ammanna, sì com' elli eran candelabri apprese, e ne le voci del cantare 'Osanna'. Di sopra fiammeggiava il bello arnese più chiaro assai che luna per sereno di mezza notte nel suo mezzo mese. Io mi rivolsi d'ammirazion pieno al buon Virgilio, ed esso mi rispuose con vista carca di stupor non meno. Indi rendei l'aspetto a l'alte cose che si movieno incontr' a noi sì tardi, che foran vinte da novelle spose. La donna mi sgridò: «Perché pur ardi sì ne l'affetto de le vive luci, e ciò che vien di retro a lor non guardi?». Genti vid' io allor, come a lor duci, venire appresso, vestite di bianco; e tal candor di qua già mai non fuci. L'acqua imprendëa dal sinistro fianco, e rendea me la mia sinistra costa, s'io riguardava in lei, come specchio anco. Quand' io da la mia riva ebbi tal posta, che solo il fiume mi facea distante, per veder meglio ai passi diedi sosta, e vidi le fiammelle andar davante, lasciando dietro a sé l'aere dipinto, e di tratti pennelli avean sembiante; sì che lì sopra rimanea distinto di sette liste, tutte in quei colori onde fa l'arco il Sole e Delia il cinto. Questi ostendali in dietro eran maggiori che la mia vista; e, quanto a mio avviso, diece passi distavan quei di fori. Sotto così bel ciel com' io diviso, ventiquattro seniori, a due a due, coronati venien di fiordaliso. Tutti cantavan: «Benedicta tue ne le figlie d'Adamo, e benedette sieno in etterno le bellezze tue!». Poscia che i fiori e l'altre fresche erbette a rimpetto di me da l'altra sponda libere fuor da quelle genti elette, sì come luce luce in ciel seconda, vennero appresso lor quattro animali, coronati ciascun di verde fronda. Ognuno era pennuto di sei ali; le penne piene d'occhi; e li occhi d'Argo, se fosser vivi, sarebber cotali. A descriver lor forme più non spargo rime, lettor; ch'altra spesa mi strigne, tanto ch'a questa non posso esser largo; ma leggi Ezechïel, che li dipigne come li vide da la fredda parte venir con vento e con nube e con igne; e quali i troverai ne le sue carte, tali eran quivi, salvo ch'a le penne Giovanni è meco e da lui si diparte. Lo spazio dentro a lor quattro contenne un carro, in su due rote, trïunfale, ch'al collo d'un grifon tirato venne. Esso tendeva in sù l'una e l'altra ale tra la mezzana e le tre e tre liste, sì ch'a nulla, fendendo, facea male. Tanto salivan che non eran viste; le membra d'oro avea quant' era uccello, e bianche l'altre, di vermiglio miste. Non che Roma di carro così bello rallegrasse Affricano, o vero Augusto, ma quel del Sol saria pover con ello; quel del Sol che, svïando, fu combusto per l'orazion de la Terra devota, quando fu Giove arcanamente giusto. Tre donne in giro da la destra rota venian danzando; l'una tanto rossa ch'a pena fora dentro al foco nota; l'altr' era come se le carni e l'ossa fossero state di smeraldo fatte; la terza parea neve testé mossa; e or parëan da la bianca tratte, or da la rossa; e dal canto di questa l'altre toglien l'andare e tarde e ratte. Da la sinistra quattro facean festa, in porpore vestite, dietro al modo d'una di lor ch'avea tre occhi in testa. Appresso tutto il pertrattato nodo vidi due vecchi in abito dispari, ma pari in atto e onesto e sodo. L'un si mostrava alcun de' famigliari di quel sommo Ipocràte che natura a li animali fé ch'ell' ha più cari; mostrava l'altro la contraria cura con una spada lucida e aguta, tal che di qua dal rio mi fé paura. Poi vidi quattro in umile paruta; e di retro da tutti un vecchio solo venir, dormendo, con la faccia arguta. E questi sette col primaio stuolo erano abitüati, ma di gigli dintorno al capo non facëan brolo, anzi di rose e d'altri fior vermigli; giurato avria poco lontano aspetto che tutti ardesser di sopra da' cigli. E quando il carro a me fu a rimpetto, un tuon s'udì, e quelle genti degne parvero aver l'andar più interdetto, fermandosi ivi con le prime insegne. |
Cantando come può fare solo una donna innamorata, aggiunse al termine delle sue parole il salmo: "Beati coloro i cui peccati sono stati coperti dal perdono!" E come le ninfe che si aggiravano solitarie all'ombra delle foreste, desiderando alcune di vedere, altre di evitare invece il sole, Matelda si rimise allora in cammino in direzione contraria al corso del fiume, proseguendo lungo la riva; ed io camminavo al suo fianco, con il mio più piccolo passo, riuscendo solo a seguirla. Non avevamo ancora fatto cento passi complessivi, contando i suoi ed i miei, quando entrambre le rive fecero, in misura uguale, una brusca curva, tanto che alla fine mi ritrovai rivolto verso Est. Né proseguimmo il nostro cammino ancora di molto, quando la donna di girò completamente per rivolgersi verso di me, dicendo: "Fratello mio, osserva ed ascolta bene". Ed ecco all'improvviso un bagliore attraversare ogni luogo, ogni parte di quella foresta, tanto veloce e lucente da farmi nascere il dubbio che fosse un lampo. Ma siccome il lampo, non appena appare, scompare anche tanto velocemente, mentre il bagliore che vidi, rimanendo visibile, diventava anche sempre più lucente, pensai tra me: "Che cosa è questa luce?" Una dolce melodia correva intanto attraverso quell'aria luminosa; tanto che un giusto scrupolo mi fece rimproverare il comportamento sconsiderato di Eva, che nel luogo dove terra e cielo entrano in armonia tra loro donna, sola ed appena creata, appena venuta al mondo, non sopportò di stare sotto un velo, il velo che ne limitava la conoscenza; se fosse stata sotto quel velo, con devozione al suo creatore, allora io, quelle indescrivibili delizie, le avrei potute assaporare molto prima e molto più a lungo. Mentre proseguivo il mio cammino attraverso tutte quelle anticipazioni dell'eterna beatitudine, completamente assordo in esse, e desideroso di provare gioie ancora più grandi, davanti a noi, simile ad un fuoco acceso divenne l'aria sotto a quei verdi rami; e la dolce melodia di prima iniziò a diventare distinguibile come un insieme di canti. O Muse, Vergini sante, se fame, freddo o notti insonni ho mai sopportato per voi, ho un buon motivo che mi spinge a chiedervi ora un aiuto. Conviene adesso che Elicona versi le acque delle sue fonti, e Urania mi aiuti con il coro delle altra Muse e mettere in versi argomenti difficili da capire. Poco oltre, ci apparvero delle figure simili a sette alberi d'oro, pur non essendolo, a causa della grande distanza del tragitto che si trovava ancora tra di noi e loro; ma non appena fui arrivato tanto vicino a loro, che l'oggetto reale, che poteva ingannare i sensi dell'uomo, non lasciava sfuggire nessun suo particolare a causa della distanza, la capacità percettiva, la virtù che fornisce alla ragione materia di giudizio, comprese alla fine che non si trattava di alberi ma bensì di candelabri, e riuscì anche ad identificare che Osanna era ciò che cantavano le voci. Ogni candelabro diffondeva in alto, con le sue fiammelle, una luce molto più chiara di quella diffusa dalla luna in un cielo sereno quando a mezzanotte e quando è piena. Io mi rivolsi, pieno di stupore, verso il buon Virgilio, ed egli, in tutta risposta, rivolse verso di me uno sguardo non meno carico di stupore. Ritornai quindi con gli occhi alle altre cose che si muovevano verso di noi tanto lentamente, che sarebbero state battute in una gara di velocità da delle neo spose. Matelda a quel punto mi sgridò: "Perché ti limiti ad ardere tanto dal desiderio di guardare l'effetto generato dalle luci, e non guardi invece ciò che le segue?" Vidi allora diverse persone che, come se fossero le loro guide, seguivano i candelabri accesi, tutte vestite di bianco; ed una tale candore, un bianco tanto puro, non fu mai visto di qua, nel mondo terreno. L'acqua del fiume Lete risplendeva alla mia sinistra, e mi mostrava l'immagine del mio fianco sinistro, se la guardavo, come può fare uno specchio. Quando raggiunsi, sulla riva dove mi trovavo, una postazione tale che solo il fiume mi separava da quella processione, per riuscire ad osservare meglio mi fermai, diedi una sosta ai miei piedi, e vidi così che le fiammelle dei candelabri procedevano lasciando l'aria colorata dietro di sé, e sembravano delle bandiere, degli stendardi spiegati al vento; così che sopra a quella processione rimanevano distinte nell'aria sette striscie, tutte in quei colori (dell'arcobaleno) con cui il sole dipinge il suo arco nel cielo e Diana la sua cintura. Questi stendardi si allungavano dietro alla processione per una distanza maggiore di quella che la mia vista poteva coprire; e, per quanto potevo vedere, quelli esterni distavano tra loro dieci passi. Sotto un cielo tanto bello come l'ho appena descritto, ventiquattro anziani, in fila due a due, venivano avanti con la testa coronata con fiori di giglio. Tutti cantavano: "Tu sia benedetta tra tutte le donne (tra tutte le figlie di Adamo), e benedetta sia in eterno la tua bellezza!" Dopo che i fiori e tutte le altre fresche erbette presenti sull'altra sponda, di fronte a me, furono libere dal passaggio di tutte quelle persone beate, così come nel cielo ad un astro luminoso ne segue un altro, alle persone seguirono quattro animali, ognuno di loro coronato con un rame verde. Ogni animale aveva sei ali; le penne erano piene di occhi; e gli occhi del pastore Argo, se fosse ancora in vita, sarebbero simili a quelli per perspicacia. Alla descrizione delle forme di questi animali non dedico altre rime, lettore; perché un altro impegno mi incalza tanto che non posso prolungarmi troppo in questo racconto; ma leggi Ezechiele, che li descrive nei dettagli quando li vide giungere dal Nord, dalla parte fredda, accompagnati dal vento, dalle nuvole e dal fuoco; e come li troverai descritti nei suoi scritti, tali e quali erano lì nel Paradiso terrestre, ad eccezione del dettaglio delle penne, sulle quali Giovanni è d'accordo con me e non invece con Ezechiele. Lo spazio delimitato da questi quattro animali conteneva un carro, un carro su due ruote, un carro trionfale, che avanzava trainato da un grifone. Il grifone tendeva verso l'alto, verso il cielo, l'una e l'altra ala tenendole tra la striscia luminosa centrale ed i due gruppi da tre laterali, così che a nessuna, fendendo l'aria, poteva recare danno. Si innalzavano in cielo tanto da non poter essere viste per intere; il suo corpo era di colore oro nella parte a forma di uccello, e per la restante parte, dove è simile ad un leone, di colore bianco misto a rosso. Non fu solo Roma a non onorare di un carro tanto bello Scipione l'Africano, e nemmeno Augusto, ma persino quello del sole sembrerebbe più povero rispetto a quello; carro del sole che, deviando dalla rotta, venne incenerito, in ascolto ad una preghiera intonata dagli abitanti devoti della terra, da Giove che in quell'occasione si mostrò misteriosamente giusto. Tre donne intorno alla ruota destra del carro venivano avanti danzando; una (Carità) di un colore rosso tanto acceso che a fatica si sarebbe potuta distinguere se fosse stata dentro ad un fuoco; l'altra (Speranza) era verde, come se la carne e le sue ossa fossero state di smeraldo; la terza (Fede) era di un bianco come fosse neve appena caduta ora sembravano guidate nella danza dalla donna bianca, ora invece dalla rossa; e dal canto di questa ultima le altre prendevano il loro ritmo, rallentandolo o velocizzandolo. Sul lato sinistro del carro facevano invece festa quattro altre donne, con indosso un vestito color porpora, seguendo i movimenti di una di loro (Prudenza) che aveva in fronte tre occhi. Subito dietro al gruppo appena descritto vidi passare due anziani con indosso abiti diversi, ma simili tra loro nell'atteggiamento, dignitoso e solenne. L'uno (un medico) appariva come uno dei seguaci di quell'illustre Ippocrate che la natura creò a tutto vantaggio degli esseri viventi che ha più cari, gli uomini; l'altro mostrava invece un interesse contrario (non di curare ma di ferire) portando con sé una spada lucida ed accuminata, che mi fece provare paura pur essendo dalla parte opposta del fiume. Vidi poi passare quattro anziani di aspetto umile; e dietro a tutti, infine, un vecchio che avanzava da solo, dormiente, ma con lo sguardo acuto. E questi sette anziani similmente alla prima schiera di ventiquattro erano vestiti, ma non avevano i gigli intorno al capo a formare un cespuglietto, ma avevano rose ed altri fiori di colore rosso; chi li avesse visti da poco lontano avrebbe giurato di vedere delle fiammelle ardere sopra ai loro occhi. E quando il carro si trovò proprio di fronte a me, si udì un tuono, e quelle persone elette sembrarono non essere in grado di proseguire oltre, tanto che si fermarono sul posto insieme ai candelabri. |
Riassunto
La Luce e il Canto lungo il Letè. Invocazione alle Muse (vv. 1-42)
Concluso il discorso, Matelda riprende a cantare mentre si muove lungo la riva del fiume Letè, procedendo in direzione opposta rispetto alla corrente. Dante, situato sull'altra sponda, avanza parallelamente a lei, seguendo il fiume fino a quando questo curva improvvisamente a sinistra, orientandolo nuovamente verso est. A un tratto, una luce radiosa si manifesta nella foresta, accompagnata da una melodia celestiale. La bellezza di questa visione spinge Dante a riflettere sul peccato di Eva, che privò l'umanità del paradiso terrestre e della sua magnificenza. In questo momento solenne, il poeta invoca le Muse, chiedendo il loro sostegno.
La Processione Mistica (vv. 43-105)
Proseguendo, Dante scorge una fiamma e si rende conto che il canto che ascolta è un'osanna. Inizialmente, gli appare come se stesse osservando sette alberi dorati, ma ben presto capisce che si tratta di sette maestosi candelabri di luce, i quali proiettano lunghe scie dai colori dell'arcobaleno. A seguire, appaiono ventiquattro figure vestite di bianco, con corone di gigli sul capo, che rappresentano i libri dell'Antico Testamento. Questi intonano canti in onore della Vergine. Dopo di loro, avanzano quattro esseri simbolici, con corone di foglie verdi e sei ali ricoperte di occhi: essi rappresentano i quattro Vangeli.
Il Carro e il Grifone (vv. 106-154)
Al centro della scena si colloca un carro trionfale a due ruote, emblema della Chiesa, che si fonda sull'Antico e sul Nuovo Testamento. Il carro è trainato da un grifone dalle ali dorate, simbolo della duplice natura di Cristo: umana e divina, rappresentata dai suoi colori bianco e rosso. Alla destra del carro danzano tre donne, vestite rispettivamente di bianco, verde e rosso, che simboleggiano le virtù teologali (fede, speranza e carità). Sul lato sinistro, si trovano quattro figure in abiti porpora, rappresentanti le virtù cardinali: giustizia, fortezza, temperanza e prudenza, quest'ultima raffigurata con tre occhi.
Seguono due anziani: uno con abiti da medico, simbolo degli Atti degli Apostoli, e l'altro con una spada luminosa, che rappresenta le Lettere di san Paolo. Dietro di loro camminano quattro figure umili, corrispondenti alle Epistole di Giacomo, Pietro, Giovanni e Giuda, mentre un ultimo vecchio, solitario, chiude la processione, rappresentando l'Apocalisse di san Giovanni. Giunti davanti a Dante, un forte tuono segna l'arresto della processione allegorica.
Figure Retoriche
v. 1: "Cantando come donna innamorata": Similitudine.
vv. 4-6: "E come ninfe che si givan sole per le salvatiche ombre, disiando qual di veder, qual di fuggir lo sole allor si mosse contra 'l fiume, andando su per la riva": Similitudine.
v. 13: "Via molta": Anastrofe.
vv. 31-32: "Tra tante primizie / de l'etterno piacer": Enjambement.
v. 34: "Tal quale un foco acceso": Similitudine.
v. 37: "O sacrosante Vergini": Apostrofe.
v. 40: "Per me versi": Anastrofe.
v. 47: "Che 'l senso inganna": Sineddoche.
vv. 52-54: "Di sopra fiammeggiava il bello arnese più chiaro assai che luna per sereno di mezza notte nel suo mezzo mese": Similitudine.
v. 55: "D'ammirazion pieno": Anastrofe.
v. 57: "Carca di stupor non meno": Anastrofe.
v. 64: "Come a lor duci venire appresso": Similitudine.
vv. 68-69: "E rendea me la mia sinistra costa, s'io riguardava in lei, come specchio anco": Similitudine.
v. 75: "E di tratti pennelli avean sembiante": Similitudine.
vv. 76-77: "Distinto / di sette liste": Enjambement.
v. 84: "Coronati venien di fiordaliso": Iperbato.
v. 87: "Le bellezze tue": Anastrofe.
v. 91: "Sì come luce luce in ciel seconda": Similitudine.
vv. 97-98: "Non spargo / rime": Enjambement.
v. 101: "Da la fredda parte": Perifrasi. Per indicare il settentrione.
v. 102: "Con vento e con nube e con igne": Enumerazione.
v. 107: "Un carro, in su due rote, triunfale": Iperbato.
vv. 122-123: "L'una tanto rossa ch'a pena fora dentro al foco nota": Iperbole.
vv. 124-125: "L'altr'era come se le carni e l'ossa fossero state di smeraldo fatte": Similitudine.
v. 125: "Di smeraldo fatte": Anastrofe.
v. 126: "La terza parea neve testé mossa": Similitudine.
vv. 127-128: "E or parean da la bianca tratte, or da la rossa": Similitudine.
v. 135: "Onesto e sodo": Endiadi.
vv. 136-138: "L'un si mostrava alcun de' famigliari di quel sommo Ipocràte che natura a li animali fé ch'ell'ha più cari": Similitudine.
v. 139: "Mostrava l'altro": Anastrofe.
Analisi ed Interpretazioni
La Processione Simbolica e la Visione Provvidenziale della Storia nel Purgatorio
Il Canto XXIX del Purgatorio rappresenta una pausa didascalica di grande intensità mistica, che prepara sia l'apparizione di Beatrice nel Canto successivo sia gli eventi allegorici che coinvolgeranno il carro della Chiesa nel Canto XXXII. In questo contesto, Dante sintetizza la propria visione provvidenziale della storia, articolata intorno alla Redenzione e alle vicende della Chiesa. La narrazione, ispirata principalmente ai testi biblici di Ezechiele, Daniele e all'Apocalisse di Giovanni, si svolge nella divina foresta, dove ha luogo una solenne processione simbolica.
La Processione e i Simboli della Storia della Chiesa
La processione, concepita come una visione profetica, simboleggia il percorso della Chiesa nella storia umana, con al centro la venuta di Cristo, rappresentato dal grifone che traina il carro. Quest'ultimo è l'allegoria della Chiesa di Roma, mentre il grifone, con la duplice natura di aquila e leone, incarna Cristo nelle sue nature divina e umana. L'intera processione si suddivide in tre sezioni, rappresentando le vicende antecedenti, contemporanee e successive alla Redenzione.
Ad aprire il corteo sono i sette candelabri, che rappresentano il settemplice spirito di Dio e i sette doni dello Spirito Santo, derivati dall'Apocalisse giovannea. Dietro di essi si trovano i ventiquattro anziani, allegoria dei libri dell'Antico Testamento, con vesti bianche che simboleggiano la fede in Cristo venturo. Essi sono seguiti dai quattro Evangelisti, raffigurati secondo l'iconografia tradizionale come un angelo, un leone, un bue e un'aquila, che circondano il carro trionfale.
A fianco del carro, danzano sette figure femminili: tre a destra, che simboleggiano le virtù teologali (fede, speranza e carità), e quattro a sinistra, che rappresentano le virtù cardinali (prudenza, giustizia, fortezza e temperanza). Le virtù teologali sono guidate dalla carità, mentre le virtù cardinali seguono la prudenza, qui raffigurata con tre occhi, a significare memoria del passato, conoscenza del presente e preveggenza del futuro. Le due ruote del carro sono state oggetto di diverse interpretazioni, tra cui i due Testamenti o la vita attiva e contemplativa.
Il Nuovo Testamento e l'Attesa di Beatrice
A seguire il carro vi sono i personaggi che rappresentano i libri del Nuovo Testamento: un medico (gli Atti degli Apostoli), un uomo con una spada (le Lettere di Paolo) e quattro figure umili (le Lettere di Pietro, Giovanni, Giacomo e Giuda). Chiude la processione un vecchio solitario e pensoso, simbolo dell'Apocalisse, riconoscibile per l'espressione profetica e la corona di fiori rossi, emblema della carità.
Quando il carro si arresta di fronte a Dante, si crea un'atmosfera di sospensione: il tuono che segna l'interruzione del corteo prelude all'evento centrale dell'intero viaggio ultraterreno, ovvero l'apparizione di Beatrice. Questo momento simboleggia il culmine del percorso di purificazione di Dante e rappresenta la grazia santificante necessaria per la sua ascesa alle stelle.
Il Significato della Processione
La processione mistica non solo rappresenta la storia provvidenziale della Chiesa, ma allude anche al rinnovamento futuro, promesso da Beatrice, di monarchia e papato, i due poteri universali preposti da Dio per garantire giustizia e felicità terrena. L'intero episodio, pervaso da un linguaggio solenne e denso di riferimenti biblici, sottolinea la sacralità dell'evento e prepara il lettore all'attesa di ciò che avverrà nel Canto successivo, dove la comparsa di Beatrice segnerà un punto di svolta decisivo nel viaggio spirituale di Dante.
Passi Controversi
Il verso 3 riprende l'inizio del Salmo XXXI: Beati, quorum remissae sunt iniquitates / et quorum tecta sunt peccata («Beati coloro le cui iniquità sono state perdonate e i cui peccati sono stati coperti»).
Le primizie de l'etterno piacer (vv. 31-32) rappresentano le prime sensazioni che Dante prova delle meraviglie paradisiache.
Nel verso 41, Uranìe si riferisce a Urania, la Musa legata all'astronomia e alle scienze celesti. Dante potrebbe aver conosciuto l'origine del nome, derivante dal greco ouranós (cielo).
La virtù ch'a ragion discorso ammanna (v. 49) è la facoltà che elabora i dati percepiti dai sensi, fornendo così alla ragione gli elementi per formulare giudizi. Dante spiega che, avvicinandosi ai candelabri, la sua vista invia informazioni corrette a questa facoltà, che li riconosce per ciò che sono.
L'espressione bello arnese (v. 52) si riferisce ai sette candelabri, il cui splendore viene paragonato alla luce lunare. Anche se la scena si svolge di giorno, la densa vegetazione oscura i raggi del sole (cfr. XXVIII, 3, 31-33).
Nei versi 58-60, il lento avanzare dei candelabri è accostato al passo misurato delle spose novelle, come descritto anche nella tradizione letteraria fiorentina (ad esempio, Frezzi, Quadriregio, I, 16, vv. 64-65: E come va per via sposa novella / a passi radi, e porta gli occhi bassi...).
Nel verso 67, il termine imprendea, di origine settentrionale, significa «splendeva».
L'espressione tratti pennelli (v. 75) può essere interpretata sia come «pennellate», sia come «stendardi», entrambi adatti a evocare le strisce luminose simili ai colori dell'iride, che nel verso 79 vengono chiamate ostendali («stendardi»).
I versi 77-78 descrivono i colori dell'iride, prodotti dal sole nell'arco dell'arcobaleno e dalla luna (chiamata Delia, dal nome dell'isola di Delo, luogo di nascita di Diana, identificata con la luna) nel suo alone. Si discute se le sette strisce luminose rappresentino ciascuna un colore diverso o se ciascuna rifletta tutti i colori. La prima ipotesi appare più coerente, anche se al tempo di Dante non si aveva la certezza che i colori fossero sette.
I ventiquattro seniori del verso 83 simboleggiano probabilmente i libri dell'Antico Testamento, che nel Canone ebraico sono ventiquattro (diversi dalla divisione della Bibbia cattolica). Questa interpretazione trova supporto in San Girolamo, che nel Prologus galeatus della Bibbia identifica i viginti quattuor seniores di Apocalisse IV, 4 con i libri dell'Antico Testamento.
I versi 100-102 riprendono quasi letteralmente il passo di Ezechiele I, 4: Et vidi, et ecce ventus turbinis veniebat ab aquilone, et nubes magna, et ignis involvens («Vidi un vento tempestoso venire dal nord, una grande nube e un fuoco che vi si avvolgeva»). L'espressione da la fredda parte corrisponde a ab aquilone, mentre igne è un evidente latinismo.
I versi 118-120 fanno riferimento al mito di Fetonte, che, dopo aver ottenuto dal padre il permesso di guidare il carro del Sole, perse il controllo dei cavalli, uscendo dal percorso prestabilito, e venne folgorato da Giove. Qui si potrebbe leggere un'allusione al rischio di deviazione del carro della Chiesa dal suo cammino giusto, con l'implicazione di una possibile punizione divina imminente.
Infine, il termine brolo (v. 147) significa letteralmente «boschetto», ma qui assume il significato figurato di «ghirlanda».
Fonti: libri scolastici superiori