Parafrasi e Analisi: "Canto XXVIII" - Purgatorio - Divina Commedia - Dante Alighieri


Immagine Dante Alighieri
1) Scheda dell'Opera
2) Introduzione
3) Testo e Parafrasi
4) Riassunto
5) Figure Retoriche
6) Analisi ed Interpretazioni
7) Passi Controversi

Scheda dell'Opera


Autore: Dante Alighieri
Prima Edizione dell'Opera: 1321
Genere: Poema
Forma metrica: Costituita da tre versi di endecasillabi. Il primo e il terzo rimano tra loro, il secondo rima con il primo e il terzo della terzina successiva.



Introduzione


Il Canto XXVIII del Purgatorio di Dante Alighieri si apre con un'atmosfera di straordinaria bellezza e pace, in netto contrasto con le asperità dei canti precedenti. Siamo giunti nel Paradiso Terrestre, la cima del monte del Purgatorio, un luogo di purezza originaria e armonia perfetta, che rappresenta il compimento del percorso di purificazione dell'anima. Qui la natura, incontaminata e ricca di simbolismi, diventa protagonista, offrendosi come riflesso tangibile della divina perfezione. Il canto esplora temi legati alla sacralità della creazione, all'innocenza perduta e alla possibilità di una rinnovata comunione con il divino. In questo contesto si colloca l'incontro con un personaggio emblematico che incarna la sapienza e il legame tra l'umano e il trascendente, offrendo una profonda riflessione sulle verità spirituali e sulla redenzione.


Testo e Parafrasi


Vago già di cercar dentro e dintorno
la divina foresta spessa e viva,
ch'a li occhi temperava il novo giorno,

sanza più aspettar, lasciai la riva,
prendendo la campagna lento lento
su per lo suol che d'ogne parte auliva.

Un'aura dolce, sanza mutamento
avere in sé, mi feria per la fronte
non di più colpo che soave vento;

per cui le fronde, tremolando, pronte
tutte quante piegavano a la parte
u' la prim' ombra gitta il santo monte;

non però dal loro esser dritto sparte
tanto, che li augelletti per le cime
lasciasser d'operare ogne lor arte;

ma con piena letizia l'ore prime,
cantando, ricevieno intra le foglie,
che tenevan bordone a le sue rime,

tal qual di ramo in ramo si raccoglie
per la pineta in su 'l lito di Chiassi,
quand' Ëolo scilocco fuor discioglie.

Già m'avean trasportato i lenti passi
dentro a la selva antica tanto, ch'io
non potea rivedere ond' io mi 'ntrassi;

ed ecco più andar mi tolse un rio,
che 'nver' sinistra con sue picciole onde
piegava l'erba che 'n sua ripa uscìo.

Tutte l'acque che son di qua più monde,
parrieno avere in sé mistura alcuna
verso di quella, che nulla nasconde,

avvegna che si mova bruna bruna
sotto l'ombra perpetüa, che mai
raggiar non lascia sole ivi né luna.

Coi piè ristetti e con li occhi passai
di là dal fiumicello, per mirare
la gran varïazion d'i freschi mai;

e là m'apparve, sì com' elli appare
subitamente cosa che disvia
per maraviglia tutto altro pensare,

una donna soletta che si gia
e cantando e scegliendo fior da fiore
ond' era pinta tutta la sua via.

«Deh, bella donna, che a' raggi d'amore
ti scaldi, s'i' vo' credere a' sembianti
che soglion esser testimon del core,

vegnati in voglia di trarreti avanti»,
diss' io a lei, «verso questa rivera,
tanto ch'io possa intender che tu canti.

Tu mi fai rimembrar dove e qual era
Proserpina nel tempo che perdette
la madre lei, ed ella primavera».

Come si volge, con le piante strette
a terra e intra sé, donna che balli,
e piede innanzi piede a pena mette,

volsesi in su i vermigli e in su i gialli
fioretti verso me, non altrimenti
che vergine che li occhi onesti avvalli;

e fece i prieghi miei esser contenti,
sì appressando sé, che 'l dolce suono
veniva a me co' suoi intendimenti.

Tosto che fu là dove l'erbe sono
bagnate già da l'onde del bel fiume,
di levar li occhi suoi mi fece dono.

Non credo che splendesse tanto lume
sotto le ciglia a Venere, trafitta
dal figlio fuor di tutto suo costume.

Ella ridea da l'altra riva dritta,
trattando più color con le sue mani,
che l'alta terra sanza seme gitta.

Tre passi ci facea il fiume lontani;
ma Elesponto, là 've passò Serse,
ancora freno a tutti orgogli umani,

più odio da Leandro non sofferse
per mareggiare intra Sesto e Abido,
che quel da me perch' allor non s'aperse.

«Voi siete nuovi, e forse perch' io rido»,
cominciò ella, «in questo luogo eletto
a l'umana natura per suo nido,

maravigliando tienvi alcun sospetto;
ma luce rende il salmo Delectasti,
che puote disnebbiar vostro intelletto.

E tu che se' dinanzi e mi pregasti,
dì s'altro vuoli udir; ch'i' venni presta
ad ogne tua question tanto che basti».

«L'acqua», diss' io, «e 'l suon de la foresta
impugnan dentro a me novella fede
di cosa ch'io udi' contraria a questa».

Ond' ella: «Io dicerò come procede
per sua cagion ciò ch'ammirar ti face,
e purgherò la nebbia che ti fiede.

Lo sommo Ben, che solo esso a sé piace,
fé l'uom buono e a bene, e questo loco
diede per arr' a lui d'etterna pace.

Per sua difalta qui dimorò poco;
per sua difalta in pianto e in affanno
cambiò onesto riso e dolce gioco.

Perché 'l turbar che sotto da sé fanno
l'essalazion de l'acqua e de la terra,
che quanto posson dietro al calor vanno,

a l'uomo non facesse alcuna guerra,
questo monte salìo verso 'l ciel tanto,
e libero n'è d'indi ove si serra.

Or perché in circuito tutto quanto
l'aere si volge con la prima volta,
se non li è rotto il cerchio d'alcun canto,

in questa altezza ch'è tutta disciolta
ne l'aere vivo, tal moto percuote,
e fa sonar la selva perch' è folta;

e la percossa pianta tanto puote,
che de la sua virtute l'aura impregna
e quella poi, girando, intorno scuote;

e l'altra terra, secondo ch'è degna
per sé e per suo ciel, concepe e figlia
di diverse virtù diverse legna.

Non parrebbe di là poi maraviglia,
udito questo, quando alcuna pianta
sanza seme palese vi s'appiglia.

E saper dei che la campagna santa
dove tu se', d'ogne semenza è piena,
e frutto ha in sé che di là non si schianta.

L'acqua che vedi non surge di vena
che ristori vapor che gel converta,
come fiume ch'acquista e perde lena;

ma esce di fontana salda e certa,
che tanto dal voler di Dio riprende,
quant' ella versa da due parti aperta.

Da questa parte con virtù discende
che toglie altrui memoria del peccato;
da l'altra d'ogne ben fatto la rende.

Quinci Letè; così da l'altro lato
Eünoè si chiama, e non adopra
se quinci e quindi pria non è gustato:

a tutti altri sapori esto è di sopra.
E avvegna ch'assai possa esser sazia
la sete tua perch' io più non ti scuopra,

darotti un corollario ancor per grazia;
né credo che 'l mio dir ti sia men caro,
se oltre promession teco si spazia.

Quelli ch'anticamente poetaro
l'età de l'oro e suo stato felice,
forse in Parnaso esto loco sognaro.

Qui fu innocente l'umana radice;
qui primavera sempre e ogne frutto;
nettare è questo di che ciascun dice».

Io mi rivolsi 'n dietro allora tutto
a' miei poeti, e vidi che con riso
udito avëan l'ultimo costrutto;

poi a la bella donna torna' il viso.
Ormai desideroso di esplorare in ogni suo luogo
la foresta divina, fitta e rigogliosa,
che filtrava la luce del nuovo giorno attraverso i suoi rami,

senza aspettare oltre mi staccai dal bordo dell'altopiano,
incamminandomi lentamente
lungo il terreno pianeggiante, che ovunque emanava profumi.

Un'aria leggera, piacevole, senza mutamenti
di direzione e di intensità, mi sfiorava la fronte
col tocco di un vento piacevole;

abbandonati alla spinta di quest'aria, i rami degli alberi,
oscillando, si piegavano tutti verso Ovest, dalla parte dove
il monte del Purgatorio proietta l'ombra del primo mattino;

non allontanandosi però dalla loro direzione naturale tanto che
gli uccellini sulle cime degli alberi smettessero di svolazzare
e cantare, abbandonando l'esercizio di ogni loro arte;

gli uccellini, al contrario, accoglievano con piena felicità
le prime ore del mattino cantando tra le foglie,che a loro volta
facevano da sottofondo musicale ai loro cinguettii,

simile a quello prodotto tra un ramo e l'altro
nella pineta che cresce lungo la spiaggia di Classe,
quando Eolo, dio dei venti, libera lo scirocco.

I miei lenti passi mi aveva già condotto
tanto all'interno dei quell'antichissima foresta, da non
riuscire più a distinguere il punto da cui vi ero entrato;

ad un certo punto mi chiuse la strada un corso d'acqua,
che, scorrendo verso sinistra, con le sue piccole onde
piegava l'erba che cresceva sulle sue rive.

Le acque più limpide del nostro mondo terreno
sembrerebbero alquanto torbide in confronto a quella,
così trasparente da lasciare vedere tutto il fondo,

nonostante appaia scura a causa del suo scorrere
sotto una eterna ombra, data da quelle fronde che mai
lasciano irradiare la luce del sole o della luna.

Fermai lì i miei lassi e con lo sguardo osservai
l'altra riva di quel ruscello, per ammirare
la grande varietà dei teneri rami fioriti;

e in quel punto mi apparve, così come appare a volte
improvvisamente qualcosa che ci distoglie
per lo stupore da qualsiasi altro pensiero,

una donna che camminava tutta sola,
cantando e cogliendo i fiori più belli,
con cui era tutto ornato il sentiero da lei seguito.

"Ti prego, bella donna, che ti scaldi con i raggi dell'amore
divino, se devo credere all'espressione del tuo volto,
che di solito è fedele testimone dei sentimenti del cuore,

di avere il piacere di venire in avanti",
dissi a lei, "verso questo ruscello,
così che possa comprendere le parole della tua canzone.

Tu mi ricordi il luogo dove si trovava ed il modo in cui si
muoveva Proserpina, quando fu persa dalla madre e
perse lei poi a sua volta la possibilità di vedere la Primavera."

Come si volta, con le piante fisse
a terra ed unite tra di loro, una donna che danza,
e avanza poi mettendo un piede dinnanzi all'altro,

si voltò quella donna (Matelda) muovendosi sui fiori rossi e
gialli verso di me, non diversamente da una vergine
che proceda tenendo pudicamente lo sguardo a terra;

ed accontentò così la mia richiesta,
avvicinandosi a me tanto che la dolce melodia del suo canto
poteva giungere a me insieme alle sue parole.

Non appena giunse là dove l'erba del prato
viene bagnata dall'acqua del limpido fiumiciattolo,
Matelda mi fede dono del suo sguardo.

Non credo fossero altrettanto splendenti
gli occhi di Venere, quando fu trafitta
accidentalmente da una delle frecce dal figlio Cupido.

Stando ritta in piedi sull'altra sponda, la donna rideva,
intrecciando intanto con le mani dei fiori colorati che la terra
in cima al Purgatorio produce senza bisogno di semi.

Il ruscello ci separava di poco, di soli tre passi;
eppure l'Ellesponto, nel punto in cui lo oltrepassò re Serse,
ancora oggi freno per l'orgoglio umano,

non fu odiato meno da Leandro per il fatto di essere
in tempesta fra Sesto e Abido, di quando fu da me odiato
quel ruscello, perché non si aprì così da lasciarmi passare.

"Forse il mio riso di felicità, poiché siete nuovi",
cominciò lei a dire, "in questo luogo scelto
come sede naturale dell'umanità,

vi meraviglia e vi lascia dubbiosi;
ma illuminerà le vostre menti il salmo Delectasti,
che è in grado di liberarvi dalla nebbia del dubbio.

E tu che sei davanti agli altri e mi hai rivolto la preghiera,
dimmi se c'è altro che vuoi sapere; perché sono venuta
subito per poter rispondere adeguatamente ad ogni tua domanda."

Le dissi allora io: "L'acqua ed il cinguettio tra i rami
contraddicono la mia nuova convinzione in una legge
del Purgatorio che mi sembra in realtà contraria a ciò che vedo e sento.

Mi disse allora Matelda: "Ti dirò adesso come
ciò che ti fa meravigliare abbia origine da una precisa causa,
e dileguerò così il dubbio che ti disturba.

Dio, il supremo bene che ha piacere solo di se stesso,
creò l'uomo buono e propenso al bene, e gli diede questo luogo
come anticipo della beatitudine eterna.

Per suo errore ci rimase però poco tempo in questo luogo;
per suo errore trasformò in disperazione ed in sofferenza
la giusta felicità e la piacevole facilità di vita.

Perché le perturbazioni atmosferiche, provocate nel mondo
terreno dai vapori rilasciati dall'acqua e dalla terra,
che tendono il più possibile verso il calore del sole,

non turbassero in alcun modo la vita dell'uomo, questo monte
si innalzò così tanto verso il cielo, ed è quindi immune
da tali perturbazioni dal punto in cui c'è la porta che lo chiude.

Ora, poiché tutta quanta
l'atmosfera ruota insieme al primo mobile,
se la sua rotazione non è interrotta in nessun punto,

anche sulla cima del monte, che è completamente libera
nell'aria in movimento, si ripercuote tale movimento, facendo
rumoreggiare i rami degli alberi, dei quali è fitta la foresta;

e le piante dell'Eden, colpite dall'atmosfera, hanno tanto
potere generativo da impregnare l'aria con la loro virtù,
e l'aria poi, nella sua rotazione, la diffonde infine ovunque;

e la terra dove vivono gli uomini, secondo la
propria fertilità ed il proprio clima, fa attecchire
e quindi crescere piante diverse di qualità diverse.

Non ci si dovrebbe quindi meravigliare sulla terra,
ascoltato ciò che ti ho appena detto, quando alcune piante
mettono radici senza che apparentemente ci sia un seme.

Devi inoltre sapere che la terra divina
dove ti trovi è piena di ogni tipo di seme,
ed è ricca anche di frutti che non si trovano sulla terra.

Il ruscello che vedi non nasce da una sorgente
alimentata dal vapore acqueo che il gelo trasforma in acqua,
come un fiume terreno che acquista o perde in portata;

ma nasce invece da una fonte immobile ed inesauribile,
che per volontà divina riacquista tanta acqua
quanto ne riversa fuori, aprendosi in due rami distinti.

Quell'acqua discende da questa parte dotata del potere
di cancellare nell'anima la memoria del peccato; dall'altra parte
con il potere di restituire il ricordo di ogni bene compiuto.

Questo suo ramo si chiama Lete; l'altro ramo della sorgente
si chiama Eunoè, e il suo potere non ha effetto
se non si beve prima l'acqua da questo ruscello:

il suo sapore è superiore per bontà a qualunque altro.
E sebbene possa ora essere ben sazia
la tua sete di conoscenza, perché io non ti riveli altro,

ti voglio comunque regalare per mia volontà una informazione
aggiuntiva; non credo infatti che le mie parole ti saranno
meno gradite, se vanno oltre ciò che ti avevo promesso.

Gli antichi poeti che cantarono dell'età dell'oro
e della condizione di felicità con cui si viveva in essa,
forse videro questo luogo nei loro sogni poetici.

Qui le radici della stirpe umana conobbero l'innocenza;
qui c'è l'eterna primavera e matura ogni tipo di frutto;
questo è il nettare di cui ognuno parla."

Mi volsi allora completamente indietro verso
i miei poeti (Stazio e Virgilio), e vidi che con un sorriso
avevano ascoltato l'ultima frase di Matelda;

tornai poi con lo sguardo alla bella donna.



Riassunto


La foresta dell'Eden (vv. 1-21)
Dante, accompagnato da Virgilio e Stazio, si trova sulla sommità della montagna del Purgatorio, nel Paradiso terrestre.

Incoraggiato da Virgilio, si addentra nella foresta senza incontrare difficoltà, in netto contrasto con le asperità affrontate nel primo canto dell'Inferno. Qui non vi è più l'urgenza che aveva contraddistinto il viaggio fino a quel momento: Dante può finalmente godere della serenità di un luogo che Dio ha creato per la felicità dell'uomo.

Un vento gentile e costante fa ondeggiare i rami degli alberi verso occidente, ma senza disturbare il canto degli uccelli, i cui cinguettii si mescolano al suono delle foglie mosse dal vento, evocando l'atmosfera della pineta di Classe, presso Ravenna, quando il vento di Scirocco soffia libero.

Matelda (vv. 22-84)
Mentre cammina, Dante arriva a un ruscello limpido che scorre tra l'erba. Sulla riva opposta compare improvvisamente una donna che canta mentre raccoglie fiori.

Dante si rivolge a lei con il titolo di "bella donna" e la invita ad avvicinarsi, desideroso di ascoltarla meglio. Nella sua figura, Dante rievoca l'immagine di Proserpina rapita da Plutone, un evento che segnò la perdita della primavera, simile alla caduta dell'umanità dal Paradiso terrestre. Questo paragone sottolinea la purezza e la gioia che si sono smarrite con il peccato originale.

La donna, avanzando con grazia e un sorriso pudico, trasmette amore spirituale. Spiegando la sua gioia, afferma che, nonostante il peccato di Adamo ed Eva abbia avuto origine in quel luogo, l'Eden rimane un'opera perfetta di Dio. Lei si dice pronta a rispondere alle domande di Dante.

Il vento e le acque dell'Eden (vv. 85-133)
Dante esprime meraviglia per il vento e l'acqua che osserva, ricordando che Stazio gli aveva spiegato che nella sommità del Purgatorio non vi sono fenomeni atmosferici.

La donna, Matelda, chiarisce che il vento è generato dal movimento dei cieli. L'aria, colpendo la foresta, diffonde semi che raggiungono l'altro emisfero, dando origine a piante diverse a seconda del luogo in cui si trovano. Non è dunque sorprendente, spiega Matelda, che nel mondo terrestre crescano piante apparentemente senza intervento umano. Inoltre, l'Eden contiene ogni specie vegetale presente sulla terra, insieme a piante uniche.

Quanto all'acqua, essa sgorga da una sorgente divina, non alimentata dalle piogge, e si divide in due fiumi: il Lete, che cancella il ricordo dei peccati, e l'Eunoè, che rafforza il ricordo delle azioni virtuose.

L'Eden e l'età dell'oro (vv. 134-148)
Matelda suggerisce che i poeti antichi, scrivendo dell'età dell'oro, potrebbero inconsapevolmente aver descritto l'Eden, il luogo perfetto creato da Dio per l'uomo, perduto a causa del peccato originale.

Dante si volta verso Virgilio e Stazio, che sorridono divertiti per l'accenno di Matelda alla capacità poetica degli antichi, allusione che li include. Tornando a guardare la donna, Dante si prepara a proseguire l'esperienza straordinaria di quel luogo.


Figure Retoriche


v. 2: "Spessa e viva": Endiadi.
v. 6: "Auliva": Latinismo.
vv. 7-9: "Un'aura dolce, sanza mutamento avere in sé, mi feria per la fronte non di più colpo che soave vento": Similitudine.
vv. 11-12: "Piegavano a la parte u' la prim'ombra gitta il santo monte": Perifrasi. Per indicare l'Occidente.
vv. 13-14: "Sparte / tanto": Enjambement.
v. 19: "Di ramo in ramo si raccoglie": Anastrofe.
vv. 16-20: "Con piena letizia l'ore prime, cantando, ricevieno intra le foglie, che tenevan bordone a le sue rime, tal qual di ramo in ramo si raccoglie per la pineta in su 'l lito di Chiassi, quand'Eolo scilocco fuor discioglie": Similitudine.
vv. 37-39: "M'apparve, sì com'elli appare subitamente cosa che disvia per maraviglia tutto altro pensare": Similitudine.
vv. 38-39: "Disvia / per maraviglia": Enjambement.
vv. 43-44: "A' raggi d'amore ti scaldi": Anastrofe.
vv. 43-44: "A' raggi d'amore ti scaldi": Metafora.
vv. 50-51: "Nel tempo che perdette la madre lei, ed ella primavera": Chiasmo.
vv. 52-57: "Come si volge, con le piante strette a terra e intra sé, donna che balli, e piede innanzi piede a pena mette, volsesi in su i vermigli e in su i gialli fioretti verso me, non altrimenti che vergine che li occhi onesti avvalli": Similitudine. vv. 55-56: "Gialli / fioretti": Enjambement.
v. 63: "Li occhi suoi": Anastrofe.
vv. 64-66: "Non credo che splendesse tanto lume sotto le ciglia a Venere, trafitta dal figlio fuor di tutto suo costume": Similitudine.
vv. 73-75: "Elesponto, là 've passò Serse, ancora freno a tutti orgogli umani, più odio da Leandro non sofferse per mareggiare intra Sesto e Abido, che quel da me perch'allor non s'aperse": Similitudine.
v. 78: "A l'umana natura per suo nido": Similitudine.
v. 87: "Di cosa ch'io udi' contraria a questa": Perifrasi. Per indicare la spiegazione di Stazio.
v. 91: "Sommo Ben": Perifrasi. Per indicare Dio.
v. 94-95: "Per sua difalta": Anafora.
v. 114: "Concepe e figlia di diverse virtù diverse legna": Metafora.
v. 123: "Come fiume ch'acquista e perde lena": Similitudine.
v. 124: "Salda e certa": Endiadi.
v. 126: "Da due parti aperta": Anastrofe.
vv. 127-129: "Discende che toglie altrui memoria del peccato; da l'altra d'ogne ben fatto la rende": Perifrasi. Per indicare il Lete e l'Eunoè.
v. 131: "Eunoè si chiama": Anastrofe.
v. 135: "La sete tua": Anastrofe.
v. 147: "Udito avean": Anastrofe.
v. 148: "La bella donna": Allegoria. Perché Matelda rappresenta la vita attiva moralmente e intellettualmente che conduce l'anima alla santità.


Analisi ed Interpretazioni


Matelda è la protagonista indiscussa del Canto, una figura enigmatica che ha suscitato un intenso dibattito interpretativo, generando numerose ipotesi, nessuna delle quali del tutto convincente. Questo personaggio è strettamente legato all'Eden, il luogo in cui appare, descritto nella prima parte del Canto. Dopo che Virgilio invita Dante a seguire liberamente la propria volontà purificata dal peccato (alla fine del Canto XXVII), il poeta entra in una foresta divina, rigogliosa e viva, che si presenta come un luogo incantato: un vento costante piega i rami degli alberi verso occidente, mentre il canto degli uccelli e il fruscio delle fronde creano un'atmosfera armoniosa. La vegetazione, così fitta, filtra la luce solare, donando al luogo un'aura di pace e mistero.

Questo locus amoenus è attraversato dal fiume Lete, che scorre lento tra l'erba, un elemento che richiama sia la poesia classica, in particolare l'idea dell'età dell'oro, sia lo Stilnovo, richiamato proprio attraverso Matelda. Quest'ultima appare improvvisamente sulla sponda opposta del fiume: canta mentre raccoglie fiori per intrecciarne forse una ghirlanda, mostrando un atteggiamento che ricorda Lia, sognata da Dante nel Canto precedente, e le figure femminili celebrate dai poeti stilnovisti. Matelda viene paragonata a Proserpina di Ovidio, figura legata al mito della primavera eterna e dell'età dell'oro, ma il linguaggio usato richiama anche i versi di Cavalcanti, come in In un boschetto e Fresca rosa novella. Dante rielabora lo stile dello Stilnovo non più per cantare l'amore terreno, ma per celebrare l'amore divino, cui ora è completamente rivolto, in vista dell'arrivo di Beatrice, preannunciato in questo e nel Canto successivo.

Matelda, nella sua simbologia, rappresenta lo stato di felicità primordiale che l'uomo possedeva nell'Eden prima del peccato originale e che le anime, dopo il cammino di purificazione, possono riconquistare. Questo spiega il desiderio ardente di Dante di attraversare il Lete per raggiungerla. Il suo ruolo diventerà più chiaro in seguito: immergere le anime nei due fiumi dell'Eden per sottoporle all'ultimo rito di purificazione prima dell'ascesa al Paradiso. Il paragone tra Matelda e Proserpina anticipa quello tra il Paradiso Terrestre e l'età dell'oro della poesia classica, che Dante cristianizza, collegandola all'Eden biblico. Questa interpretazione è confermata dal sorriso di compiacimento di Virgilio e Stazio alle parole di Matelda.

Nella seconda parte del Canto, Matelda risponde ai dubbi di Dante sulla natura del Paradiso Terrestre e sull'origine del vento e dell'acqua, seguendo le spiegazioni fornite in precedenza da Stazio. L'Eden, spiega, si innalzò insieme al monte del Purgatorio al di sopra delle perturbazioni terrestri, restando immune ai fenomeni atmosferici. Questo luogo è descritto come una primavera eterna, un pegno della pace eterna che Dio ha destinato all'uomo, anche se il peccato originale ha interrotto la sua permanenza nell'Eden. Il vento, continua Matelda, è naturale, generato dal movimento delle sfere celesti, mentre l'acqua ha un'origine divina: sgorga per volere di Dio ed è destinata alla purificazione delle anime.

Le spiegazioni di Matelda, che uniscono scienza, metafisica e dottrina, anticipano i dialoghi teologici che Dante avrà con Beatrice nella terza cantica, dove i misteri divini saranno ulteriormente approfonditi. La figura di Matelda, dunque, incarna un passaggio fondamentale tra la dimensione umana e quella divina, preparandoci all'atteso incontro con Beatrice.


Passi Controversi


I versi 10-12 descrivono come il vento pieghi le piante verso occidente, conseguenza del movimento dei cieli da oriente a occidente. Al verso 16, l'espressione ore prime può riferirsi ai primi venti del giorno (dove ore equivale ad aure), ma più probabilmente indica le prime ore del mattino. Nel verso 18, il termine bordone appartiene al lessico musicale e si riferisce a una corda supplementare della viella, che produceva un suono monotono di accompagnamento alla melodia. Questo stesso concetto si applicava al canto polifonico, dove il tenor fungeva da base sonora per il discanto, ovvero la parte melodica.

Nel verso 20, chiassi è una forma arcaica che indica Classe, l'antico porto ravennate situato nei pressi di una pineta. Il termine mai, nel verso 36, fa riferimento ai rami fioriti usati in contesti festivi o religiosi, derivati dal maio o maiella, ovvero rami adornati con fiori a grappolo. La descrizione di Matelda nei versi 40-42 richiama quella della pastorella nei versi di Guido Cavalcanti, in particolare In un boschetto (sola sola per lo bosco gìa e cantando come fosse 'namorata, ripresi anche da Dante in Purgatorio, XXIX, 1) e nella ballata Fresca rosa novella (per prata e per rivera / gaiamente cantando).

Il termine primavera al verso 51 non indica necessariamente la stagione, ma potrebbe riferirsi ai fiori raccolti da Proserpina al momento del rapimento da parte di Plutone. Dante stabilisce così un legame tra la perdita della primavera e il mito della dea. Al verso 66, l'espressione fuor di tutto suo costume può alludere sia a Cupido – che avrebbe colpito Venere per errore, come narrato nelle Metamorfosi di Ovidio (X, 525-526) – sia alla stessa Venere, per sottolineare come fosse stata presa da amore per Adone, a differenza della sua consueta posizione di dea che fa innamorare gli altri.

Nei versi 71-75 viene evocato il mito di Leandro ed Ero: Leandro attraversava ogni notte l'Ellesponto a nuoto per raggiungere l'amata, ma una tempesta gli fu fatale. Il riferimento a Serse (v. 71) richiama la traversata dell'Ellesponto durante la seconda guerra persiana (480 a.C.), quando il re persiano guidò il suo esercito contro la Grecia.

Il Salmo Delectasti citato da Matelda (v. 80) corrisponde al versetto XCI, 5-6, che recita: Quia delectasti me, Domine, in factura tua, et in operibus manuum tuarum exultabo. Quam magnificata sunt opera tua, Domine! Qui Matelda spiega che il suo sorriso nasce dalla gioia per la contemplazione delle opere divine nel giardino dell'Eden.

Le parole di Dante nei versi 85-87 richiamano l'esposizione di Stazio (XXI, 40-57). Il termine arr(a) nel verso 93 significa "caparra" o "anticipo" della beatitudine celeste, mentre difalta (v. 95) vuol dire "errore" e deriva dall'antico francese defalte. L'espressione la prima volta (v. 104) probabilmente indica il Primo Mobile, responsabile del moto di tutti i cieli, ma alcuni ritengono che si riferisca al cielo della Luna, più vicino alla Terra.

I versi 131-133 si riferiscono quasi certamente all'Eunoè, le cui acque donano dolcezza superiore a qualsiasi altra esperienza, agendo solo dopo che si sono bevute quelle del Lete. Infine, i versi 142-144 richiamano passi delle Metamorfosi di Ovidio, come la descrizione dell'età dell'oro (aetas aurea), l'eterna primavera (ver erat aeternum) e i fiumi di latte e nettare (flumina iam lactis, iam flumina nectaris ibant). Qui il riferimento è all'acqua del Lete, simbolo di un ritorno ideale all'età dell'oro.

Fonti: libri scolastici superiori

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