Parafrasi e Analisi: "Canto XXVII" - Purgatorio - Divina Commedia - Dante Alighieri

1) Scheda dell'Opera
2) Introduzione
3) Testo e Parafrasi
4) Riassunto
5) Figure Retoriche
6) Analisi ed Interpretazioni
7) Passi Controversi
Scheda dell'Opera
Autore: Dante Alighieri
Prima Edizione dell'Opera: 1321
Genere: Poema
Forma metrica: Costituita da tre versi di endecasillabi. Il primo e il terzo rimano tra loro, il secondo rima con il primo e il terzo della terzina successiva.
Introduzione
Il Canto XXVII del Purgatorio segna un momento cruciale nel viaggio di Dante attraverso la seconda cantica della Divina Commedia, poiché rappresenta il passaggio simbolico e spirituale verso la completa purificazione. In questo canto, l'attenzione è rivolta al tema della rinascita morale e del superamento delle ultime resistenze interiori, necessarie per accedere alla piena libertà dell'anima. Attraverso immagini fortemente simboliche e richiami alla dottrina cristiana, Dante esplora il significato del pentimento, della grazia divina e della redenzione, ponendo il pellegrino dinanzi alla soglia dell'Eden, luogo che rappresenta la condizione originaria dell'uomo, in armonia con Dio. Questo canto è quindi una meditazione sulla purificazione definitiva, intesa come condizione necessaria per il ritorno alla purezza primigenia e all'unione con il divino.
Testo e Parafrasi
Sì come quando i primi raggi vibra là dove il suo fattor lo sangue sparse, cadendo Ibero sotto l'alta Libra, e l'onde in Gange da nona rïarse, sì stava il sole; onde 'l giorno sen giva, come l'angel di Dio lieto ci apparse. Fuor de la fiamma stava in su la riva, e cantava 'Beati mundo corde!' in voce assai più che la nostra viva. Poscia «Più non si va, se pria non morde, anime sante, il foco: intrate in esso, e al cantar di là non siate sorde», ci disse come noi li fummo presso; per ch'io divenni tal, quando lo 'ntesi, qual è colui che ne la fossa è messo. In su le man commesse mi protesi, guardando il foco e imaginando forte umani corpi già veduti accesi. Volsersi verso me le buone scorte; e Virgilio mi disse: «Figliuol mio, qui può esser tormento, ma non morte. Ricorditi, ricorditi! E se io sovresso Gerïon ti guidai salvo, che farò ora presso più a Dio? Credi per certo che se dentro a l'alvo di questa fiamma stessi ben mille anni, non ti potrebbe far d'un capel calvo. E se tu forse credi ch'io t'inganni, fatti ver' lei, e fatti far credenza con le tue mani al lembo d'i tuoi panni. Pon giù omai, pon giù ogne temenza; volgiti in qua e vieni: entra sicuro!». E io pur fermo e contra coscïenza. Quando mi vide star pur fermo e duro, turbato un poco disse: «Or vedi, figlio: tra Bëatrice e te è questo muro». Come al nome di Tisbe aperse il ciglio Piramo in su la morte, e riguardolla, allor che 'l gelso diventò vermiglio; così, la mia durezza fatta solla, mi volsi al savio duca, udendo il nome che ne la mente sempre mi rampolla. Ond' ei crollò la fronte e disse: «Come! volenci star di qua?»; indi sorrise come al fanciul si fa ch'è vinto al pome. Poi dentro al foco innanzi mi si mise, pregando Stazio che venisse retro, che pria per lunga strada ci divise. Sì com' fui dentro, in un bogliente vetro gittato mi sarei per rinfrescarmi, tant' era ivi lo 'ncendio sanza metro. Lo dolce padre mio, per confortarmi, pur di Beatrice ragionando andava, dicendo: «Li occhi suoi già veder parmi». Guidavaci una voce che cantava di là; e noi, attenti pur a lei, venimmo fuor là ove si montava. 'Venite, benedicti Patris mei', sonò dentro a un lume che lì era, tal che mi vinse e guardar nol potei. «Lo sol sen va», soggiunse, «e vien la sera; non v'arrestate, ma studiate il passo, mentre che l'occidente non si annera». Dritta salia la via per entro 'l sasso verso tal parte ch'io toglieva i raggi dinanzi a me del sol ch'era già basso. E di pochi scaglion levammo i saggi, che 'l sol corcar, per l'ombra che si spense, sentimmo dietro e io e li miei saggi. E pria che 'n tutte le sue parti immense fosse orizzonte fatto d'uno aspetto, e notte avesse tutte sue dispense, ciascun di noi d'un grado fece letto; ché la natura del monte ci affranse la possa del salir più e 'l diletto. Quali si stanno ruminando manse le capre, state rapide e proterve sovra le cime avante che sien pranse, tacite a l'ombra, mentre che 'l sol ferve, guardate dal pastor, che 'n su la verga poggiato s'è e lor di posa serve; e quale il mandrïan che fori alberga, lungo il pecuglio suo queto pernotta, guardando perché fiera non lo sperga; tali eravamo tutti e tre allotta, io come capra, ed ei come pastori, fasciati quinci e quindi d'alta grotta. Poco parer potea lì del di fori; ma, per quel poco, vedea io le stelle di lor solere e più chiare e maggiori. Sì ruminando e sì mirando in quelle, mi prese il sonno; il sonno che sovente, anzi che 'l fatto sia, sa le novelle. Ne l'ora, credo, che de l'orïente prima raggiò nel monte Citerea, che di foco d'amor par sempre ardente, giovane e bella in sogno mi parea donna vedere andar per una landa cogliendo fiori; e cantando dicea: «Sappia qualunque il mio nome dimanda ch'i' mi son Lia, e vo movendo intorno le belle mani a farmi una ghirlanda. Per piacermi a lo specchio, qui m'addorno; ma mia suora Rachel mai non si smaga dal suo miraglio, e siede tutto giorno. Ell' è d'i suoi belli occhi veder vaga com' io de l'addornarmi con le mani; lei lo vedere, e me l'ovrare appaga». E già per li splendori antelucani, che tanto a' pellegrin surgon più grati, quanto, tornando, albergan men lontani, le tenebre fuggian da tutti lati, e 'l sonno mio con esse; ond' io leva'mi, veggendo i gran maestri già levati. «Quel dolce pome che per tanti rami cercando va la cura de' mortali, oggi porrà in pace le tue fami». Virgilio inverso me queste cotali parole usò; e mai non furo strenne che fosser di piacere a queste iguali. Tanto voler sopra voler mi venne de l'esser sù, ch'ad ogne passo poi al volo mi sentia crescer le penne. Come la scala tutta sotto noi fu corsa e fummo in su 'l grado superno, in me ficcò Virgilio li occhi suoi, e disse: «Il temporal foco e l'etterno veduto hai, figlio; e se' venuto in parte dov' io per me più oltre non discerno. Tratto t'ho qui con ingegno e con arte; lo tuo piacere omai prendi per duce; fuor se' de l'erte vie, fuor se' de l'arte. Vedi lo sol che 'n fronte ti riluce; vedi l'erbette, i fiori e li arbuscelli che qui la terra sol da sé produce. Mentre che vegnan lieti li occhi belli che, lagrimando, a te venir mi fenno, seder ti puoi e puoi andar tra elli. Non aspettar mio dir più né mio cenno; libero, dritto e sano è tuo arbitrio, e fallo fora non fare a suo senno: per ch'io te sovra te corono e mitrio». |
Nella stessa posizione da cui vibra i suoi primi raggi (all'alba) là, su Gerusalemme, dove il suo creatore vide sparso sulla terra il proprio sangue (di Gesù) quando il fiume spagnolo Ebro si trova sotto la costellazione della Bilancia, e le onde del Gange ardono invece a mezzogiorno, nella nona ora del giorno, allo stesso modo stava allora il sole; il giorno se ne andava, era l'ora del tramonto, quando ci apparve l'Angelo di Dio, con atteggiamento gioioso. Stava sul bordo esterno della cornice, fuori dalle fiamme che lambivano il monte, e cantava "beati i puri di cuore!" con una voce molto più piena di vitalità della nostra. Poi: "Non potete procedere oltre, senza prima avere provato su di voi, oh voi anime sante, il fuoco che avvolge le anime di questa cornice: entrateci dentro e prestate bene ascolto al canto che proviene dall'altra parte", ci disse non appena fummo giunti vicino a lui; perciò io, quando intesi le sue parole, divenni pallido, simile a chi, oramai morto, viene calato nella fossa. Rivolsi verso l'alto, verso il cielo, le mani unite, guardando fisso il fuoco e con la mente dominata da immagini di corpi umani che avevo visto bruciare sulla terra. Virgilio e Stazio, le mie due buone guide, si rivolsero a quel punto verso di me; ed il primo di disse: "Mio figliolo, qui dove ci troviamo è possibile soltanto provare sofferenza, ma non è possibile morire. Ricordatelo, ricordatelo bene! Se io sono riuscito a portarti in salvo persino sul dorso del mostro volante Gerione, che cosa pensi che possa fare ora, che siamo anche più vicini a Dio? Considera pure cosa certa che se tu stessi proprio nel bel mezzo di queste fiamme anche per mille anni, il fuoco non potrebbe toglierti, farti bruciare nemmeno un capello. E se per caso credi invece che io ti stia ingannando, avvicinati adesso alle fiamme, e renditi conto da solo di quello che dico mettendo tu stesso con le tue mani un lembo dell'abito nel fuoco. Abbandona ora, abbandona adesso ogni paura; voltati verso il fuoco ed incamminati: entra sicuro tra le fiamme!" Ma io continuavo a stare ferso, opponendomi alla mia stessa coscienza. Quando vide che continuavo a stare fermo e rigido, Virgilio, un poco preoccupato, disse: "Renditi adesso conto, figliolo: questo muro di fiamme si trova tra te e Beatrice." Come, sentendo il nome di Tisbe, aprì i suo occhi Piramo, oramai sul punto di morire, e la guardò per una ultima volta, in quel momento in cui i frutti del gelso diventarono rossi; allo stesso modo, scomparsa un poco la mia rigidità, mi volsi verso la mia saggia guida, non appena sentii quel nome (di Beatrice) che non smette mai di germogliare nella mia mente. Virgilio scosse pertanto la testa e disse: "Quindi! Vogliamo ancora stare fermi da questa parte del muro di fiamme?"; poi sorrise come si usa fare con un bambino che è stato convinto con la promessa di un frutto. Subito dopo si mise davanti a me per entrare nel fuoco pregando Stazio di mettersi invece in fondo alla fila, Stazio che, prima, per un lungo tratto di strada, era stato invece al centro dividendoci. Non appena fui dentro al fuoco, mi sarei anche gettato nel vetro fuso per riuscire a rinfrescarmi, tanto era smisurato il bruciore che si provava al suo interno. Il mio caro padre Virgilio, per darmi un poco di conforto, continuava a parlare ininterrottamente di Beatrice, dicendomi: "Mi sembra già di vedere i suoi occhi". ci faceva da guida, indicandoci la strada, una voce che cantava dall'altra parte del fuoco; e noi, prestando attenzione sempre su di lei, uscimmo infine fuori, nel punto in cui si saliva (all'Eden). L'invito "Venite, uomini benedetti dal padre mio", risuonò dentro ad una luce che si trovava lì, tanto luminosa da vincere la mia volontà ed impedirmi di guardarla. "Il solo sta per andarsene, sta per tramontare", aggiunse, "ed arriva la sera; non vi fermate, ma affrettate il vostro passo, fintanto che non cala il buio della notte ad Occidente." La scala scavata nella roccia saliva dritta dritta verso quella direzione, verso Oriente, che mi faceva impedire ai raggi del sole, già basso all'orizzonte, di cadere davanti a me. Avevamo salito appena pochi scalini quando capimmo, vedendo la mia ombra spegnersi, che il sole era tramontato dietro di noi, alle spalle mie e dei due saggi poeti al mio seguito. E prima che tutte le infinite parti dell'orizzonte fossero diventate di un unico colore uniforme, e prima anche che la notte si fosse diffusa in tutte le regioni celesti, ciascuno di noi fece di un gradino il suo letto dove dormire; perché la legge naturale del monte ci tolse completamente la forza e la volontà di salire oltre. Così come rimangono mansuete a ruminare le caprete, dopo essersi mosse rapide e superbe sopra le punte delle rocce prima di essere riuscite a saziarsi, stando silenziose all'ombra, nelle ore in cui arde il sole, sotto lo sguardo del pastore, che sta appoggiato al suo bastone e sorveglia il loro sonno; e come il guardiano della mandria passa la notte all'aperto, rimanendo a dormire tranquillo presso al suo gregge, avendo cura che non arrivi nessuna bestia feroce a disperderlo; allo stesso modo stavamo noi tre in quel momento, io nei panni della capra e loro due in quelli dei pastori, circondati dall'una e dall'altra parte dall'alta roccia. Da dove ci trovavamo potevamo vedere ben poco dell'esterno; ma, per quel poco, riuscivo comunque a vedere le stelle, più brillanti ed anche più grandi di quanto lo fossero di solito. Così preso dai pensieri e con lo sguardo rivolto alle stelle, alla fine fui preso dal sonno, mi addormentai; il sonno che spesso, prima ancora che un fatto accada, conosce delle notizie in merito. Nell'ora, almeno credo, in cui dall'Oriente mandò i suoi primi raggi sul monte del Purgatorio il pianeta Venere, che sembra sempre bruciare del fuoco dell'amore, mi apparve in sogno una donna giovane e bella che camminava lungo una valle raccogliendo fiori; e cantando diceva: "Chiunque chieda il mio nome, sappia che io sono Lia, e sto muovendo intorno a me le mie belle mani per farmi una ghirlanda di fiori. Per piacermi quando mi guardo allo specchio, mi abbellisco con questa ghirlanda; ma mia sorella Rachele non si allontana mai dal suo specchio, e sta seduta tutto il giorno. Lei ha un così grande desiderio di ammirare i suoi stessi occhi quanto io l'ho di farmi un ornamento con le mani; lei trova appagamento nel guardare, io invece nel fare." E già per i primi bagliori che precedono la luce del sole, che ai viaggiatori risultano tanto più graditi quanto, di ritorno verso casa, si trovano a dormire meno lontani dalla stessa, le tenebre inziavano a scoparire da ogni punto del cielo, ed il mio sonno scomparve insieme a loro; pertanto mi alzai subito in piedi, vedendo che i miei due illustri maestri si erano già tirati su. "Quel dolce frutto (la vera felicità) che gli uomini vanno ricercano con ansia tra tanti rami, oggi stesso andrà a saziare il tuo desiderio." Virgilio rivolse a me queste stesse parole; e mai ci furono regali capaci di dare tanta gioia quanta me ne diedero loro. Un tale desiderio si aggiunse al desiderio che già avevo di raggiungere la cima del monte, che in ogni mi passo da quel momento sentii crescere l'energia per la salita. Non appena fu percorsa e fu sotto noi tutta la scalinata e raggiunsimo quindi il più alto gradino, Virgilio fissò i suoi occhi sui miei, e disse: "Le pene temporanee del Purgatorio e quelle eterne dell' Inferno le hai viste, figlio mio; e sei infine giunto nel luogo dove io, con le mie sole forze, non riesco a vedere più oltre. Ti ho condotto fino a qui con l'ingegno e con l'azione; prendi adesso come tua guida ciò che vuoi; sei fuori sia dalle vie ripide che da quelle strette. Vedi il sole che splende davanti alla tua fronte; vedi l'erba fresca, i fiori e gli alberelli che qui la terra produce da sola, spontaneamente. Mentre aspettiamo che gioiosamente arrivino quei bei occhi che, con le lacrime, mi avevano spinto a venire in tuo soccorso, ti puoi adesso sedere e puoi anche andare tra la natura. Non aspettare più una mia parola né un mio cenno; libera, giusta e rivolta verso il bene è adesso la tua volontà, e sarebbe sbagliato non fare quello che decide: per questo motivo ti proclamo ora unica guida di te stesso." |
Riassunto
vv. 1-15: L'Angelo della Purezza
Con il sole ormai prossimo al tramonto, l'angelo della purezza intona la sesta delle beatitudini evangeliche (Beati mundo corde) e invita i tre poeti ad attraversare le fiamme della settima cornice. Questo passaggio è indispensabile per continuare il loro cammino spirituale.
vv. 16-63: Attraversamento delle Fiamme
Dante, colto da un profondo timore, si rifiuta di attraversare il fuoco, nonostante Virgilio cerchi più volte di rassicurarlo. Solo quando il maestro gli ricorda che questo è l'ultimo ostacolo prima di raggiungere Beatrice, Dante si lascia convincere. Sopportando a fatica il calore, viene consolato da Virgilio, che lo sprona a pensare a lei. Guidati da una voce che proviene dall'altra parte, i poeti superano la barriera infuocata e vengono accolti da un angelo, il quale li esorta a salire rapidamente prima che cali la notte, quando il viaggio nel Purgatorio non può proseguire.
vv. 64-93: la salita e la Sosta Notturna
Dopo aver percorso un breve tratto, i tre poeti si fermano poiché il sole è tramontato. Si preparano quindi a trascorrere la notte: Dante si addormenta, mentre Virgilio e Stazio vegliano su di lui.
vv. 94-108: Il sogno di Dante
Nel sonno, Dante sogna una giovane donna che raccoglie fiori in una pianura. Cantando, la donna si presenta come Lia, moglie di Giacobbe, simbolo della vita attiva. Spiega di voler intrecciare una ghirlanda per adornarsi, mentre sua sorella Rachele, l'altra moglie di Giacobbe e simbolo della vita contemplativa, si trova sempre davanti a uno specchio, rapita nell'ammirare la propria immagine.
vv. 109-123: La Scalata verso il Paradiso Terrestre
Al risveglio, Virgilio ricorda a Dante che sono ormai prossimi al Paradiso terrestre, dove il poeta potrà raggiungere la felicità perfetta desiderata da tutti gli uomini. Queste parole accrescono il desiderio di Dante, che affronta la salita con rinnovata leggerezza, quasi come se volasse.
vv. 124-142: Le Ultime Parole di Virgilio
Raggiunta la sommità della scala, Virgilio si rivolge a Dante, dichiarando che il suo compito di guida è giunto al termine. Dante, ormai libero dal peccato, ha conquistato il pieno controllo di sé e non ha più bisogno del suo maestro, che lascia il posto a Beatrice.
Figure Retoriche
v. 2: "Là dove il suo fattor lo sangue sparse": Perifrasi.
v. 12: "Non siate sorde": Litote.
vv. 14-15: "Per ch'io divenni tal, quando lo 'ntesi, qual è colui che ne la fossa è messo": Similitudine.
v. 15: "Ne la fossa è messo": Anastrofe.
v. 18: "Umani corpi": Anastrofe.
v. 24: "Presso più": Anastrofe.
v. 34: "Fermo e duro": Endiadi.
vv. 37-42: "Come al nome di Tisbe aperse il ciglio Piramo in su la morte, e riguardolla, allor che 'l gelso diventò vermiglio; così, la mia durezza fatta solla, mi volsi al savio duca, udendo il nome che ne la mente sempre mi rampolla": Similitudine.
vv. 44-45: "Sorrise come al fanciul si fa ch'è vinto al pome": Similitudine.
v. 50: "Gittato mi sarei": Anastrofe.
v. 52: "Lo dolce padre mio": Anastrofe.
v. 59: "Che lì era": Anastrofe.
vv. 76-87: "Quali si stanno ruminando manse le capre, state rapide e proterve sovra le cime avante che sien pranse, tacite a l'ombra, mentre che 'l sol ferve, guardate dal pastor, che 'n su la verga poggiato s'è e lor di posa serve; e quale il mandrian che fori alberga, lungo il pecuglio suo queto pernotta, guardando perché fiera non lo sperga; tali eravamo tutti e tre allotta, io come capra, ed ei come pastori, fasciati quinci e quindi d'alta grotta": Similitudine.
v. 90: "Più chiare e maggiori": Endiadi.
v. 96: "Che di foco d'amor par sempre ardente": Similitudine.
vv. 106-108: "Ell'è d'i suoi belli occhi veder vaga com'io de l'addornarmi con le mani; lei lo vedere, e me l'ovrare appaga": Similitudine.
vv. 116-117: "Quel dolce pome che per tanti rami cercando va la cura de' mortali": Allegoria. Per indicare la felicità eterna.
vv. 136-137: "Li occhi belli che, lagrimando, a te venir mi fenno": Perifrasi. Per indicare Beatrice.
Analisi ed Interpretazioni
Il muro di fuoco e il passaggio verso l'Eden
Questo canto rappresenta un momento cruciale nel viaggio di Dante, segnando il passaggio dal Purgatorio all'Eden, luogo simbolico della felicità terrena. Qui, le fiamme che avvolgono la settima cornice svolgono una duplice funzione: da un lato, sono il mezzo di purificazione per i lussuriosi, inclusi poeti come Guido Guinizzelli e Arnaut Daniel, e, dall'altro, rappresentano la barriera finale che ogni anima deve attraversare per completare il proprio percorso di redenzione. Anche Dante, forse colpevole di un amore troppo terreno, affronta questo rito. Attraversare questo "muro di fuoco" simboleggia la prova più intensa del suo cammino penitenziale.
L'episodio assume un forte carattere rituale, collocandosi tra momenti simbolici come il giunco schietto e la cancellazione delle "P" sulla fronte, e anticipando il successivo battesimo nelle acque di Letè ed Eunoè. Questo passaggio segna inoltre l'inizio del distacco definitivo da Virgilio, guida e simbolo della ragione naturale, il cui compito volge al termine con l'avvicinarsi di Beatrice, emblema della grazia divina. Le parole finali di Virgilio sono un'investitura morale per Dante, ormai pronto a camminare guidato dalla propria volontà, libera dal peso del peccato.
L'ultimo sogno di Dante
Il canto ospita anche l'ultimo dei tre sogni di Dante, che si colloca nella notte prima dell'alba, un momento ritenuto di particolare veridicità nei sogni. In esso compare Lia, simbolo biblico della vita attiva, che anticipa la figura di Matelda, incontrata nel Paradiso terrestre. Lia, intenta a cogliere fiori per farne una ghirlanda, rappresenta l'operosità, mentre la sorella Rachele, associata alla contemplazione, simboleggia l'armonia spirituale. Questa contrapposizione allegorica tra azione e contemplazione è essenziale per il cammino di Dante, che culminerà nella conquista delle virtù cardinali e, quindi, della felicità terrena.
L'ascesa e la soglia del Paradiso terrestre
Dopo il passaggio attraverso le fiamme, Dante, Virgilio e Stazio iniziano l'ascesa verso il Paradiso terrestre. L'angelo della castità, figura custode delle fiamme, guida i poeti verso la scala che conduce all'Eden, dove la notte sopraggiunge e Dante è chiamato a riflettere sul suo viaggio. Il richiamo a Beatrice, che lo attende oltre il fuoco, ha un ruolo decisivo nel vincere le sue paure: è un invito a superare le debolezze umane e ad affidarsi alla grazia divina.
L'episodio richiama il passo biblico in cui Dio, dopo aver cacciato Adamo ed Eva dall'Eden, pose un cherubino con una spada fiammeggiante a custodia del giardino. Le fiamme del Purgatorio si configurano come un simbolo analogo, che circonda l'Eden e protegge il luogo sacro. Tuttavia, diversamente dal cherubino biblico, l'angelo che Dante incontra è una guida, che invita e rassicura.
Infine, l'arrivo all'Eden è sottolineato dal solenne discorso di Virgilio, che dichiara concluso il proprio compito e celebra la libertà interiore di Dante, ora libero dal peccato e pronto a incontrare Beatrice. Questa scena, ricca di simbolismo, riprende l'immagine dell'alba già vista nel prologo dell'Inferno, quando Dante, impedito dalle tre fiere, era ancora lontano dalla luce della grazia. Ora, il sole illumina il suo cammino, preludio all'incontro con Beatrice, che rappresenta il punto di svolta verso il Paradiso.
Passi Controversi
I versi 1-5 del canto rappresentano una complessa descrizione astronomica che indica il tramonto in Purgatorio, corrispondente alle sei di sera. Dante utilizza un riferimento ai punti cardinali: Gerusalemme, dove sorge il sole; Cadice (indicata con "Ibero", nome poetico del fiume Ebro), dove è mezzanotte e sopra cui si trova la costellazione della Bilancia; e il Gange, dove è mezzogiorno, espresso con l'"ora nona" (tradizionalmente compresa tra le 12 e le 15). Secondo le conoscenze medievali, questi quattro punti erano situati a circa 90 gradi di longitudine l'uno dall'altro.
L'angelo della castità intona la beatitudine «Beati i puri di cuore» (verso 8), tratta dal Vangelo di Matteo (5,8). Nel verso 16, l'espressione "in su le man commesse mi protesi" è stata interpretata in vari modi, ma l'ipotesi più plausibile è che Dante stenda le mani giunte verso il fuoco, con i palmi rivolti a esso, in segno di protezione.
Il verso 27 («non ti potrebbe far d'un capel calvo») richiama un passo del Vangelo di Luca (21,18): «dal vostro capo non cadrà un solo capello». Nei versi 37-39, Dante si riferisce al mito di Piramo e Tisbe, narrato nelle Metamorfosi di Ovidio (IV, 55-166). Si tratta della tragica storia di due giovani amanti babilonesi che, ostacolati dalle famiglie, comunicavano attraverso una fessura in un muro e si incontravano sotto un gelso. L'equivoco causato da un velo insanguinato porta Piramo a togliersi la vita, credendo che Tisbe sia morta. Lei, trovandolo morente, si uccide a sua volta. I versi di Dante ricalcano fedelmente quelli ovidiani: «Al nome di Tisbe, Piramo aprì gli occhi gravati dalla morte e, dopo averla vista, li richiuse per sempre» (Met., IV, 145-146).
Il verbo "rampolla" (v. 42) può indicare sia lo sgorgare come acqua di sorgente, sia il rifiorire. L'espressione "volenci" (v. 44) si traduce con "ci vogliamo", ovvero "vogliamo". Il termine "pome" al verso 45 allude al modo in cui un adulto persuade un bambino con una promessa allettante. Lo stesso termine compare al verso 115 ("dolce pome") per indicare la felicità terrena rappresentata dall'Eden.
Le parole pronunciate dall'angelo al di là delle fiamme («Venite, benedicti Patris mei», v. 58) sono tratte dal Vangelo di Matteo (25,34) e saranno quelle che Cristo rivolgerà agli eletti nel Giorno del Giudizio. I versi 64-66 indicano che la scala è orientata verso est, e quindi il sole, al tramonto, si trova alle spalle di Dante, la cui ombra si proietta in avanti.
Il termine "dispense" (v. 72) è stato interpretato in modi diversi: potrebbe indicare "parti" (prima che la notte si estendesse a tutte le sue porzioni) o "dispensazioni" (prima che la notte fosse libera di diffondere le sue tenebre ovunque).
La similitudine nei versi 76-87 paragona Dante al bestiame che riposa o rumina tranquillamente, sotto la custodia di pastori rappresentati da Virgilio e Stazio. Le capre «rapide e proterve» richiamano Virgilio (Georgiche, IV, 10: «oves haedique petulci»). Tuttavia, nella tradizione cristiana, la capra è spesso contrapposta alla pecora, rappresentando il fedele che deve essere riportato alla retta via. Questo confronto suggerisce che Dante, avvicinandosi alla fine del suo percorso di purificazione, abbia ormai domato i propri istinti.
Nei versi 89-90, Dante nota che le stelle appaiono più grandi e luminose, forse perché si trova vicino alla sommità del monte, a un'altitudine elevata. Il termine "Citerea" (v. 95) è un epiteto di Venere, legato all'isola di Citera, luogo del suo culto nell'antichità.
Il termine "strenne" (v. 119) può significare sia "doni augurali" che "lieti annunci". Nell'antica Roma, infatti, le strenne erano doni scambiati all'inizio dell'anno. L'espressione "con ingegno e con arte" (v. 130) significa "con ogni accortezza razionale". Qui "arte" è un sostantivo, mentre al verso 132 diventa aggettivo ("strette" riferito a vie), creando una rima equivoca.
Infine, l'espressione "corono e mitrio" (v. 142) è una dittologia sinonimica che significa "ti proclamo padrone di te stesso", ma richiama anche il linguaggio ecclesiastico, dove la mitria è il copricapo cerimoniale indossato dai vescovi.
Fonti: libri scolastici superiori