Parafrasi e Analisi: "Canto XXVI" - Purgatorio - Divina Commedia - Dante Alighieri


Immagine Dante Alighieri
1) Scheda dell'Opera
2) Introduzione
3) Testo e Parafrasi
4) Riassunto
5) Figure Retoriche
6) Personaggi Principali
7) Analisi ed Interpretazioni
8) Passi Controversi

Scheda dell'Opera


Autore: Dante Alighieri
Prima Edizione dell'Opera: 1321
Genere: Poema
Forma metrica: Costituita da tre versi di endecasillabi. Il primo e il terzo rimano tra loro, il secondo rima con il primo e il terzo della terzina successiva.



Introduzione


Il Canto XXVI del Purgatorio rappresenta un momento di grande profondità morale e poetica all'interno del viaggio di Dante. Qui, il tema centrale è il peccato della lussuria, affrontato in una prospettiva che ne evidenzia sia l'aspetto umano che quello spirituale. Dante ci introduce a un'umanità penitente che, pur avendo ceduto alle passioni terrene, ora cerca la redenzione attraverso un percorso di purificazione.

Questo canto si inserisce nel contesto della settima cornice del Purgatorio, dove le anime, avvolte da un fuoco purificatore, espiano il peccato che le ha distolte dall'amore divino, deviandolo verso piaceri disordinati. L'argomento affronta una riflessione sull'amore nelle sue diverse forme, distinguendo tra l'amore virtuoso e quello deviato, offrendo al lettore spunti di meditazione sull'essenza stessa della passione e sulla tensione verso la perfezione spirituale.

L'ambientazione e le conversazioni del canto sono permeate da un'atmosfera di calore e di luce, simboli del fuoco interiore dell'amore e della purificazione. Il linguaggio poetico di Dante, ricco di immagini e allegorie, invita a considerare non solo le conseguenze del peccato, ma anche la possibilità della rigenerazione morale attraverso la grazia e il pentimento. In questo contesto, il canto si configura come un'esplorazione del mistero dell'amore umano e divino, proseguendo il dialogo tra terra e cielo che anima l'intera cantica.


Testo e Parafrasi


Mentre che sì per l'orlo, uno innanzi altro,
ce n'andavamo, e spesso il buon maestro
diceami: «Guarda: giovi ch'io ti scaltro»;

feriami il sole in su l'omero destro,
che già, raggiando, tutto l'occidente
mutava in bianco aspetto di cilestro;

e io facea con l'ombra più rovente
parer la fiamma; e pur a tanto indizio
vidi molt' ombre, andando, poner mente.

Questa fu la cagion che diede inizio
loro a parlar di me; e cominciarsi
a dir: «Colui non par corpo fittizio»;

poi verso me, quanto potëan farsi,
certi si fero, sempre con riguardo
di non uscir dove non fosser arsi.

«O tu che vai, non per esser più tardo,
ma forse reverente, a li altri dopo,
rispondi a me che 'n sete e 'n foco ardo.

Né solo a me la tua risposta è uopo;
ché tutti questi n'hanno maggior sete
che d'acqua fredda Indo o Etïopo.

Dinne com' è che fai di te parete
al sol, pur come tu non fossi ancora
di morte intrato dentro da la rete».

Sì mi parlava un d'essi; e io mi fora
già manifesto, s'io non fossi atteso
ad altra novità ch'apparve allora;

ché per lo mezzo del cammino acceso
venne gente col viso incontro a questa,
la qual mi fece a rimirar sospeso.

Lì veggio d'ogne parte farsi presta
ciascun' ombra e basciarsi una con una
sanza restar, contente a brieve festa;

così per entro loro schiera bruna
s'ammusa l'una con l'altra formica,
forse a spïar lor via e lor fortuna.

Tosto che parton l'accoglienza amica,
prima che 'l primo passo lì trascorra,
sopragridar ciascuna s'affatica:

la nova gente: «Soddoma e Gomorra»;
e l'altra: «Ne la vacca entra Pasife,
perché 'l torello a sua lussuria corra».

Poi, come grue ch'a le montagne Rife
volasser parte, e parte inver' l'arene,
queste del gel, quelle del sole schife,

l'una gente sen va, l'altra sen vene;
e tornan, lagrimando, a' primi canti
e al gridar che più lor si convene;

e raccostansi a me, come davanti,
essi medesmi che m'avean pregato,
attenti ad ascoltar ne' lor sembianti.

Io, che due volte avea visto lor grato,
incominciai: «O anime sicure
d'aver, quando che sia, di pace stato,

non son rimase acerbe né mature
le membra mie di là, ma son qui meco
col sangue suo e con le sue giunture.

Quinci sù vo per non esser più cieco;
donna è di sopra che m'acquista grazia,
per che 'l mortal per vostro mondo reco.

Ma se la vostra maggior voglia sazia
tosto divegna, sì che 'l ciel v'alberghi
ch'è pien d'amore e più ampio si spazia,

ditemi, acciò ch'ancor carte ne verghi,
chi siete voi, e chi è quella turba
che se ne va di retro a' vostri terghi».

Non altrimenti stupido si turba
lo montanaro, e rimirando ammuta,
quando rozzo e salvatico s'inurba,

che ciascun' ombra fece in sua paruta;
ma poi che furon di stupore scarche,
lo qual ne li alti cuor tosto s'attuta,

«Beato te, che de le nostre marche»,
ricominciò colei che pria m'inchiese,
«per morir meglio, esperïenza imbarche!

La gente che non vien con noi, offese
di ciò per che già Cesar, trïunfando,
"Regina" contra sé chiamar s'intese:

però si parton "Soddoma" gridando,
rimproverando a sé com' hai udito,
e aiutan l'arsura vergognando.

Nostro peccato fu ermafrodito;
ma perché non servammo umana legge,
seguendo come bestie l'appetito,

in obbrobrio di noi, per noi si legge,
quando partinci, il nome di colei
che s'imbestiò ne le 'mbestiate schegge.

Or sai nostri atti e di che fummo rei:
se forse a nome vuo' saper chi semo,
tempo non è di dire, e non saprei.

Farotti ben di me volere scemo:
son Guido Guinizzelli, e già mi purgo
per ben dolermi prima ch'a lo stremo».

Quali ne la tristizia di Ligurgo
si fer due figli a riveder la madre,
tal mi fec' io, ma non a tanto insurgo,

quand' io odo nomar sé stesso il padre
mio e de li altri miei miglior che mai
rime d'amore usar dolci e leggiadre;

e sanza udire e dir pensoso andai
lunga fïata rimirando lui,
né, per lo foco, in là più m'appressai.

Poi che di riguardar pasciuto fui,
tutto m'offersi pronto al suo servigio
con l'affermar che fa credere altrui.

Ed elli a me: «Tu lasci tal vestigio,
per quel ch'i' odo, in me, e tanto chiaro,
che Letè nol può tòrre né far bigio.

Ma se le tue parole or ver giuraro,
dimmi che è cagion per che dimostri
nel dire e nel guardar d'avermi caro».

E io a lui: «Li dolci detti vostri,
che, quanto durerà l'uso moderno,
faranno cari ancora i loro incostri».

«O frate», disse, «questi ch'io ti cerno
col dito», e additò un spirto innanzi,
«fu miglior fabbro del parlar materno.

Versi d'amore e prose di romanzi
soverchiò tutti; e lascia dir li stolti
che quel di Lemosì credon ch'avanzi.

A voce più ch'al ver drizzan li volti,
e così ferman sua oppinïone
prima ch'arte o ragion per lor s'ascolti.

Così fer molti antichi di Guittone,
di grido in grido pur lui dando pregio,
fin che l'ha vinto il ver con più persone.

Or se tu hai sì ampio privilegio,
che licito ti sia l'andare al chiostro
nel quale è Cristo abate del collegio,

falli per me un dir d'un paternostro,
quanto bisogna a noi di questo mondo,
dove poter peccar non è più nostro».

Poi, forse per dar luogo altrui secondo
che presso avea, disparve per lo foco,
come per l'acqua il pesce andando al fondo.

Io mi fei al mostrato innanzi un poco,
e dissi ch'al suo nome il mio disire
apparecchiava grazïoso loco.

El cominciò liberamente a dire:
«Tan m'abellis vostre cortes deman,
qu'ieu no me puesc ni voill a vos cobrire.

Ieu sui Arnaut, que plor e vau cantan;
consiros vei la passada folor,
e vei jausen lo joi qu'esper, denan.

Ara vos prec, per aquella valor
que vos guida al som de l'escalina,
sovenha vos a temps de ma dolor!».

Poi s'ascose nel foco che li affina.
Mentre in quel modo, lungo il bordo esterno della cornice, uno davanti
all'altro proseguivamo nel nostro cammino, con il mio generoso maestro
Virgilio che spesso mi diceva: "Fai attenzione: ti sia utile il mio avvertimento";

il sole mi colpiva con i suoi raggi sulla spalla destra,
sole che, oramai, con la sua luce tutta la parte occidentale del cielo
mutava in colore dall'azzurro al bianco;

ed io con la mia ombra facevo sembrare ancora più rovente,
ancora più rossa la fiamma sprigionata dal monte; e proprio a questo effetto
dvedevo che molte anime, camminando, prestavano attenzione.

Questo fu il motivo che li spinse
a parlare di me; ed a cominciare tra di loro
a dire: "Quell'uomo non sembra avere un corpo virtuale";

subito dopo, verso di me, per quanto potevano,
si spinsero alcune di loro, prestando sempre attenzione
a non uscire fuori dalle fiamme che li bruciava.

"Tu che cammini, non perché sei più lento,
forse per profondo rispetto, dietro agli altri due,
rispondi a me che brucio sia per la sete che per il fuoco.

Ma della tua risposta non ho bisogno solamente io;
perché tutte queste anime qui con me la desiderano più di quanto
possono desiderare l'acqua fresca gli abitante dell'India e dell'Etiopia.

Dicci quale è il motivo per cui riesci a fare schermo
ai raggi del sole, proprio come se tu non fossi ancora
caduto nella rete della morte, come se tu fossi ancora in vita."

Con queste parole mi parlò uno di loro; ed io mi sarei anche
subito presentato, se la mia attenzione non fosse stata attirata
da un'altra novità che mi apparve improvvisamente davanti;

perché nel bel mezzo di quel cammino infuocato
arrivò un altro gruppo di anime, in direzione opposta alle prime,
che mi spinse a rimanere immobile ad osservarle.

Vedo avvicinarsi in fretta da ogni le parti
tutte le anime, dell'una e dell'altra schiera, e baciarsi l'una con l'altra
senza interruzione, felici di questa breve manifestazione d'affetto;

allo stesso modo come nella loro lunga fila nera
le formiche si sfiorano il muso l'una con l'altra,
forse per essere informate sul loro cammino e sulla loro destinazione.

Supito dopo essersi separate da quell'accoglienza affettuosa,
prima ancora di essersi allontanate di un solo passo l'una dall'altra,
ciascuna schiera si sforza di gridare con la voce più alta:

la schiera arrivata per ultima: "Sodoma e Gomorra";
e la prima: "Pasife entra nella finta vacca in legno,
così che il lussurioso torello corra desideroso verso di lui."

Poi, come uno stormo di gru che verso i monti Rifei
vola in parte ed in parte invece verso la sabbia del deserto,
queste ultime per evitare il gelo e le prime per evitare il caldo,

una schiera di anime si allontana mentre l'altra si avvicina a noi;
e ritornano, piangendo, ai loro canti ascoltati all'inizio
ed alle urla che più sono utili per la loro purificazione;

e si riavvicinano quindi a me, come avevano fatto prima,
le stesse anime che mi avevano pregato di dare loro una spiegazione;
tutte con l'espressione di chi presta attenzione ad ascoltare.

Io, che in altre due occasioni avevo già capito cosa era loro gradito,
incominciai a dire: "O anime sicure
di ottenere, quando sarà il momento, la condizione di beatitudine,

il mio corpo non è rimasto né giovane né vecchio
di là nel mondo terreno, ma io mi trovo qui in mezzo a voi
con il suo sangue e con le sue articolazioni.

Da qui io sto salendo verso la cima del Purgatorio per non essere più
accecato dal peccato; mi aspetta di sopra una donna che intercede per la mia
grazie, ed è grazie a lei che conduco il mio corpo mortale attraverso il vostro mondo.

Ma, possa il vostro più grande desiderio essere
subito soddisfatto, così che vi accolga il cielo, l'Empireo,
che è più degli altri pieno d'amore ed anche il più ampio,

ditemi, così che possa raccontarlo riempiendo le mie carte,
chi siete voi e chi è quella folla di anime
che procede in direzione opposta alla vostra."

Non allo stesso modo, stupito, si agita
un montanaro e si guarda intorno con meraviglia, quando, ancora ignorante
e poco socievole, abituato a vivere lontano dalla civiltà, entra in città,

quanto fecero tutte quelle anime, a giudicare dalla loro espressione;
ma non appena fu passato lo stupore,
che nei cuori più nobili fa presto a passare,

"Beato te, che delle nostre regioni", ricominciò
a dire quell'anima che prima mi aveva posto la domanda, "vieni
a fare esperienza per poter avere una migliore morte, in grazia di Dio!

La folla di anime che non procede insieme a noi, commise lo stesso
peccato che fece già in passato Cesare, per il quale, festeggiando
un trionfo, si sentì chiamare "Regina":

ed è per questo motivo che si allontanano da noi gridando "Sodoma",
rimproverando sé stessi, come hai potuto sentire, e intensificano
il bruciore del fuoco con la vergogna per quello che hanno fatto in vita.

Il nostro peccato di lussuria fu invece eterosessuale, verso l'altro sesso;
ma poiché non abbiamo rispettato la legge umana della moderazione,
ma siamo invece corsi dietro all'appetito sessuale come bestie,

per nostra vergogna, il nostro grido richiama,
quando ci allontaniamo dagli altri, il nome di quella donna, Pasife,
che si comportò da bestia infilandosi in una finta vacca di legno.

Ora conosci il motivo delle nostri azioni ed anche quali sono stati i nostri
peccati: se vuoi anche sapere chi siamo stati, quale è il nostro nome,
non c'è però abbastanza tempo per dirtelo, e quindi non lo saprai.

Soddisferò però la tua curiosità per quanto riguarda la mia identità:
io sono Guido Guinizzelli, e mi trovo qui a purificarmi
per essermi pentito in tempo, prima della fine della mia vita."

Quale, nell'ira di Licurgo, fu il sentimento
provato dai due figli nel rivedere la propria madre Isifile,
lo stesso provai io, ma senza giungere fino al loro gesto,

quando sentii pronunciare il suo proprio nome da parte del padre
mio e di tutti gli altri migliori poeti che mai
abbiano composto poesi d'amore dolci e raffinate;

e senza più ascoltare e parlare, preso dai miei pensieri, proseguii
a lungo guardandolo in modo attettuoso,
ma, a causa del fuoco, non mi avvicinai di più a lui.

Non appena fui appagato, fui soddisfatto dal guardarlo,
misi subito tutta la mia persona al suo servizio
con un giuramento, con una di quelle affermazioni che fanno credere in te.

E lui mi disse allora: "Tu lasci un segno tanto profondo
nella mia memoria, con le parole che ho ascoltato, ed anche tanto chiaro,
che non potrà essere cancellato né sbiadito dall'acqua del fiume Lete.

Ma se le tue parole hanno fatto adesso un giuramento sincero,
dimmi quale è il motivo per cui dimostri,
nel modo in cui mi parli e per come mi guardi, di amarmi tanto."

Ed io gli risposi: "Per le vostre dolci poesie,
che, fintanto che durerà la scrittura moderna (in volgare),
renderanno ancora prezioso l'inchiostro usato per scriverle."

"O fratello", mi disse allora mio padre, "costui che ti indico
con il dito", e mi additò uno spirito davanti a lui,
"è stato in vita il miglior autore del parlare moderno.

Nelle poesie d'amore e nei romanzi in prosa superò tutti gli altri
scrittori; e lascia pure parlare quegli ignoranti che credono
che quello che viene dal Limosino, Giraut de Bornelh, sia superiore a lui.

Si fidano più delle voci sul suo conto, della sua fama, che della verità,
e si fanno così una opinione su di lui prima ancora di aver valutato
i suoi meriti ed essersi basati sul proprio giudizio personale.

Molti in passato tennero lo stesso atteggiamento verso Guittone,
attribuendogli il primato nella sua arte solo per sentito dire,
finché la verità ha avuto infine la meglio, grazie alle opere di più artisti.

Ora, se tu puoi godere del così grande privilegio
di avere la possibilità di accedere al monastero,
il Paradiso, del quale è abate Cristo,

fammi il piacere di recitare di fronte a lui un Padre nostro per me,
per quel tanto di cui abbiamo bisogno noi anime di questo mondo,
il Purgatorio, dove il peccare non è più qualcosa che ci riguarda."

Subito dopo, forse per lasciare il posto ad un'altra anima
che aveva vicino, scomparve improvvisamente nelle fiamme, allo stesso modo
in cui un pesce scompare nell'acqua quando scende verso il fondo.

Io mi avvicinai un poco a quello spirito che prima mi era stato indicato,
e dissi lui che il mio desiderio di conoscerlo
preparava già una buona accoglienza al suo nome.

Lui cominciò a parlare senza esitazione:
"Tanto mi fa piacere la vostra cortese domanda,
che non posso ora e nemmeno voglio nascondere la mia identità a voi.

Io, che piango e vado cantando, sono Arnaut;
ricordo con tristezza la mia passata follia,
e vedo anche felice la gioia che spero ottenere, davanti a me.

Ora vi prego, in nome di quel valore
che vi guida fino alla cima della scalinata,
ricordatevi a tempo debito del mio dolore!"

Dette queste parole si nascose nuovamente nel fuoco purificatore.



Riassunto


Nel secondo canto dedicato alla cornice dei lussuriosi, Virgilio, Stazio e Dante avanzano insieme, mentre il poeta osserva come la sua ombra, resa evidente dalla luce del tramonto, sembri intensificare il bagliore delle fiamme circostanti (vv. 4-8).

L'incontro con le anime dei lussuriosi
Da una delle schiere di anime si separa un'anima curiosa che interroga Dante sulla sua capacità di proiettare un'ombra, collegandosi al tema del canto precedente, dove Dante aveva chiesto a Virgilio come le anime potessero provare sofferenza fisica pur essendo incorporee. Prima che il poeta possa rispondere, appare una seconda schiera di anime che avanza in direzione opposta. Quando i due gruppi si incrociano, si scambiano un breve saluto e poi riprendono la marcia, gridando le specifiche colpe: lussuria secondo natura o contro natura.

La tecnica narrativa ad incastro
Questo episodio, oltre a introdurre un'altra categoria di anime penitenti, mette in evidenza la tecnica narrativa a incastro tipica della Commedia, dove il tema centrale viene momentaneamente sospeso per poi essere ripreso successivamente.

Il dialogo con Guido Guinizzelli
Dopo che i sodomiti si sono allontanati, inizia il dialogo tra Dante e l'anima che si era avvicinata a lui, rivelatasi essere Guido Guinizzelli, caposcuola dello Stilnovismo. Nel confronto, che occupa i versi 73-135, Guinizzelli si mostra modesto e indirizza le lodi ricevute verso un altro poeta, Arnaut Daniel, un provenzale che egli considera superiore.

Il confronto con Arnaut Daniel
Il canto si conclude con un breve dialogo tra Dante e Arnaut Daniel, che si esprime nella sua lingua occitana (vv. 140-147).

Struttura del canto
L'intero canto può essere suddiviso in tre parti principali:

(vv. 1-24) Introduzione, con l'accenno al tramonto del secondo giorno di viaggio e l'inizio del dialogo con Guinizzelli.
(vv. 25-51) Interruzione del dialogo a causa dell'arrivo del gruppo di sodomiti.
(vv. 52-148) Dialogo prolungato con Guinizzelli, seguito da un breve scambio con Arnaut Daniel.

Aspetti stilistici
Il dialogo con Guinizzelli si distingue per un'elevata raffinatezza stilistica, evidente nell'uso di metafore e riferimenti colti. Tra questi, si può notare il confronto tra le sofferenze delle anime penitenti e il caldo soffocante delle terre indiane ed etiopi (v. 21), l'epiteto attribuito a Cesare (vv. 77-78), l'impiego del raro termine "ermafrodito" con valore antonomastico e il gioco di parole tra imbestiò e imbestiate (v. 87). Il canto si chiude con il confronto con Arnaut Daniel, a coronamento di una narrazione ricca di riferimenti culturali e stilistici.


Figure Retoriche


v. 4: "Omero destro": Sineddoche.
vv. 20-21: "Tutti questi n'hanno maggior sete che d'acqua fredda Indo o Etïopo": Similitudine.
vv. 22-24: "Fai di te parete al sol, pur come tu non fossi ancora di morte intrato dentro da la rete": Similitudine.
vv. 43-45: "Poi, come grue ch'a le montagne Rife volasser parte, e parte inver' l'arene, queste del gel, quelle del sole schife": Similitudine.
vv. 52-53: "Sicure / d'aver": Enjambement.
v. 56: "Le membra mie": Anastrofe.
v. 57: "Col sangue suo": Anastrofe.
v. 59: "Donna è di sopra che m'acquista grazia": Perifrasi.
v. 69: "Rozzo e salvatico": Endiadi.
vv. 76-78: "Offese di ciò per che già Cesar, triunfando, 'Regina' contra sé chiamar s'intese": Perifrasi.
v. 83: "Umana legge": Anastrofe.
v. 84: "Seguendo come bestie l'appetito": Similitudine.
vv. 86-87: "Il nome di colei che s'imbestiò ne le 'mbestiate schegge": Perifrasi. Per indicare Pasifae.
vv. 94-96: "Quali ne la tristizia di Ligurgo si fer due figli a riveder la madre, tal mi fec'io": Similitudine.
vv. 97-98: "Padre / mio": Enjambement.
v. 99: "Dolci e leggiadre": Endiadi.
v. 103: "Pasciuto fui": Anastrofe.
vv. 115-116: "Ti cerno / col dito": Enjambement.
v. 120: "Quel di Lemosì": Perifrasi. Per indicare Giraut de Bornelh.
vv. 128-129: "Andare al chiostro nel quale è Cristo abate del collegio": Perifrasi. Per indicare il Paradiso.
vv. 134-135: "Disparve per lo foco, come per l'acqua il pesce andando al fondo": Similitudine.


Personaggi Principali


Guido Guinizzelli e lo Stilnovo
Dante incontra Guido Guinizzelli in un momento significativo del Purgatorio. Questo incontro si sviluppa in due fasi: inizialmente, l'anima del poeta stilnovista, sorpresa, chiede a Dante se sia ancora vivo. Successivamente, dopo un'interruzione dovuta al passaggio di un gruppo di sodomiti, la conversazione riprende. Guinizzelli spiega la natura della colpa che sta espiando e di quella degli altri spiriti appena allontanatisi, fino a rivelare la propria identità, spinto dalle domande di Dante.

Guinizzelli e il Dolce Stil Novo
Guido Guinizzelli è riconosciuto come uno dei principali esponenti della prima fase dello Stilnovo, un movimento letterario che, pur raggiungendo l'apice nella poesia toscana, trova le sue radici nella Scuola Siciliana. I poeti bolognesi, tra cui Guinizzelli, svilupparono e arricchirono gli schemi siciliani, spesso in opposizione a figure come Guittone d'Arezzo, il cui stile era considerato da Dante e Guinizzelli poco raffinato.

Cenni biografici
Le informazioni sulla vita di Guinizzelli sono limitate. Nato a Bologna, iniziò ad apparire nei documenti ufficiali nel 1266. Impegnato politicamente, fu esiliato a Padova, dove morì intorno al 1274. La sua attività letteraria si colloca quindi agli albori dello Stilnovo. Formatosi negli ambienti universitari bolognesi, Guinizzelli si ispirò alla Scuola Siciliana e inizialmente anche a Guittone, distaccandosene però per creare uno stile più originale.

La poetica di Guinizzelli
Le opere di Guinizzelli si caratterizzano per una struttura rigorosa, spesso influenzata dalla filosofia aristotelica, un riflesso del contesto accademico in cui operava. Tuttavia, il suo linguaggio poetico risulta discorsivo, dolce e leggero, rendendo la sua poesia profondamente innovativa.

Arnaut Daniel
L'ultima anima che Dante incontra in questo canto è quella di Arnaut Daniel, trovatore provenzale nato in Aquitania intorno al 1150. Nonostante siano rimasti solo 18 componimenti della sua produzione, 17 dei quali a tema amoroso, Daniel è considerato uno dei maggiori poeti della sua epoca. La sua poesia è caratterizzata dal trobar clus, uno stile complesso e allegorico, con un lessico sofisticato che ne rende difficile la comprensione.

L'inventore della sestina lirica
Arnaut Daniel è accreditato come l'inventore della sestina lirica, una forma poetica composta da sei stanze di sei endecasillabi ciascuna. Questo schema influenzò profondamente Dante e Petrarca, oltre a poeti moderni come D'Annunzio, Ungaretti e Pound, che considerava Daniel un modello fondamentale.

L'omaggio di Dante
L'ammirazione di Dante per Daniel è evidente nei versi 140-147 del canto, scritti in provenzale per onorare il poeta che considerava una fonte d'ispirazione.

Guittone d'Arezzo
Guittone d'Arezzo, nato tra il 1230 e il 1235 vicino ad Arezzo, è uno dei principali rappresentanti della poesia toscana del Duecento. Ispirandosi alle tradizioni provenzali e siciliane, anticipò alcuni aspetti dello Stilnovo.

La critica di Dante e Guinizzelli
Sebbene Dante e Guinizzelli abbiano inizialmente preso Guittone come modello, entrambi si allontanarono dal suo stile, giudicandolo eccessivamente rigido. Dante lo critica esplicitamente nel De Vulgari Eloquentia e in diversi passi della Commedia.

Curiosità
Guido Guinizzelli è considerato il fondatore del Dolce Stil Novo e autore della poesia manifesto del movimento, Al cor gentil rempaira sempre amore.


Analisi ed Interpretazioni


Il Canto in cui Dante incontra Guido Guinizelli rappresenta un momento centrale nel Purgatorio, caratterizzato da un forte rilievo poetico e morale. La struttura dell'incontro con Guinizelli si sviluppa in tre fasi principali: lo stupore del poeta dinanzi alla presenza di Dante vivo, la spiegazione della pena dei lussuriosi e infine un dialogo sulla poesia che introduce l'altra figura chiave del canto, Arnaut Daniel. Questo episodio completa il discorso sulla poesia stilnovistica avviato nel XXIV Canto con Bonagiunta da Lucca e si distingue per uno stile elevato, ricco di riferimenti retorici e letterari.

Dopo il riconoscimento iniziale, Guinizelli si rivolge a Dante con un linguaggio elevato, interrogandolo sulla sua condizione di vivo e manifestando sete di sapere, un desiderio intenso quanto quello di acqua fresca da parte degli abitanti di regioni esotiche come l'India e l'Etiopia. La risposta di Dante viene interrotta dall'arrivo di una schiera di sodomiti, che si distinguono dagli altri lussuriosi procedendo in senso opposto. Il loro passaggio è accompagnato da un grido, "Sodoma e Gomorra!", un richiamo all'episodio biblico che simboleggia la distruzione divina delle città peccatrici. Questo momento, unico nel Purgatorio, sottolinea come i penitenti della stessa Cornice abbiano modalità diverse di espiazione, distinguendosi tra chi ha peccato contro natura e chi ha abbandonato la ragione al piacere sensuale. Qui il peccato di sodomia è ricondotto all'amore mal diretto, in contrasto con la violenza contro natura condannata all'Inferno. Tale visione evidenzia un ripensamento dantesco rispetto all'ordinamento morale precedente.

Ripreso il colloquio con Dante, Guinizelli si presenta come autore di dolci detti, riconoscendo nel poeta fiorentino un privilegiato capace di visitare il Purgatorio per grazia divina. Spiega poi come il suo peccato, che definisce "ermafrodito", lo renda simile al mito di Ermafrodito, il figlio di Ermes e Afrodite che, secondo le Metamorfosi di Ovidio, venne fuso con la ninfa Salmace, acquisendo caratteristiche androgine. Guinizelli utilizza anche l'esempio mitologico di Pasifae, la regina di Creta, che per un desiderio innaturale si accoppiò con un toro grazie a una vacca di legno costruita per soddisfare la sua passione, generando così il Minotauro. Questo richiamo alla degradazione umana sottolinea il contrasto tra la nobiltà del poeta e la bestialità del peccato che sta espiando.

Guinizelli, con modestia, evita di nominare tutti i compagni di pena, ma si dichiara maestro di quella poesia che Dante stesso celebra come il Dolce Stil Novo. Dante lo riconosce come padre spirituale, affermando che la sua fama durerà finché si userà il volgare per cantare l'amore. Tuttavia, in questo riconoscimento è implicita una riflessione critica: Dante distingue tra il valore della poesia stilnovista e i pericoli che essa può comportare, come dimostrato dall'esempio di Paolo e Francesca, dannati per aver messo in pratica i modelli amorosi della letteratura.

Infine, Guinizelli indica Arnaut Daniel come il miglior fabbro di poesia in lingua materna, sottolineando una linea ideale che collega i trovatori occitani al Dolce Stil Novo. Arnaut, che parla con Dante in volgare provenzale, sembra ritrattare il carattere sensuale della sua poesia per abbracciare una visione più elevata dell'amore. Questo momento chiude simbolicamente il discorso dantesco sulla poesia amorosa, anticipando il passaggio al Paradiso, dove l'amore sarà celebrato in una dimensione divina.


Passi Controversi


Al verso 6, "cilestro" si riferisce al colore azzurro del cielo, che diventa bianco sotto la luce del sole. Ai versi 7-8, Dante, proiettando la propria ombra sulla fiamma, la rende di un rosso più intenso rispetto al colore attenuato dalla luce solare. Questo permette alle anime di accorgersi che Dante è ancora vivo.

La "sete" menzionata al verso 18 si riferisce probabilmente a una sete di conoscenza, come indicato anche al verso 20. Alcuni studiosi, tuttavia, hanno ipotizzato che possa trattarsi di una sete fisica indotta dal calore della fiamma, anche se non ci sono prove dirette a sostegno di questa interpretazione.

La similitudine ai versi 34-36, che paragona i penitenti alle formiche che si toccano il muso, proviene dalle Metamorfosi di Ovidio (VII, 624-626), anche se qualcuno vi ha ravvisato un riferimento a Plinio il Vecchio (Naturalis Historia, XI, 39). L'immagine della "schiera bruna" richiama un passaggio dell'Eneide (IV, 404: nigrum agmen).

Sodoma e Gomorra sono, naturalmente, le città bibliche descritte nel Libro della Genesi (XVIII, 20 ss.), distrutte da Dio per i peccati di sodomia. La similitudine delle gru ai versi 43-45, che si dividono in due gruppi diretti rispettivamente verso i monti Rifei e i deserti del sud, è ipotetica, come indicato dal congiuntivo ("volasser"). Dante potrebbe voler sottolineare l'innaturalità del peccato dei sodomiti, paragonandolo al volo ipotetico delle gru verso terre fredde.

Il verso 48 (e al gridar che più lor si convene) è di difficile interpretazione. Potrebbe riferirsi agli esempi di castità proclamati dai penitenti lussuriosi, che alternano questi richiami al canto dell'inno Summae Deus clementiae, come descritto nel Canto XXV. Forse gridano gli esempi di lussuria punita solo quando le due schiere si incrociano, come suggerito qui.

Il termine "marche" al verso 73 indica il regno del Purgatorio, come già in XIX, 45. I versi 76-78 richiamano un aneddoto riportato, tra gli altri, da Svetonio. Cesare, accusato di aver avuto rapporti con Nicomede, re di Bitinia, fu apostrofato come "regina". Questo episodio è citato da Uguccione da Pisa (Magnae derivationes, s.v. Triumphus). Tuttavia, Dante non riteneva credibile questa accusa, altrimenti non avrebbe posto Cesare nel Limbo.

Ermafrodito, citato al verso 82, era il figlio mitico di Mercurio e Venere, che si fuse fisicamente con la ninfa Salmace in un unico corpo con attributi di entrambi i sessi (Metamorfosi, IV, 288 ss.). Guido intende sottolineare che il suo peccato era di natura eterosessuale.

Il verso 91 (Farotti ben di me volere scemo) potrebbe significare "soddisferò la tua curiosità su di me". Ai versi 94-96 si allude a un episodio narrato nella Tebaide (V, 720 ss.), in cui la schiava Isifile, incaricata di badare al piccolo Ofelte, lo lasciò incustodito per aiutare i Greci, con conseguenze tragiche. Salvata dalla condanna a morte da Toante ed Euneo, figli di Licurgo, fu sottratta ai soldati.

Con "li altri miei miglior" (v. 98), Dante si riferisce ai poeti migliori di lui. Al verso 105, la formula di giuramento serve a rafforzare la credibilità delle sue parole verso Guinizelli.

I versi 118-119 potrebbero suggerire che Arnaut, secondo Dante, eccelleva sia nella letteratura in lingua d'oc che in quella d'oïl, quest'ultima rappresentata dai romanzi cortesi, tradotti in prosa nel tardo Medioevo.

Il "chiostro / nel quale Cristo è abate del collegio" (vv. 128-129) si riferisce al Paradiso. Al verso 131 si potrebbe alludere al fatto che il Pater noster non include l'ultimo versetto, come avviene anche per i superbi in XI, 19-24. L'espressione ai versi 133-134 sembra indicare che Guido lascia spazio ad Arnaut, accanto a lui.

I versi in occitanico di Arnaut iniziano con un riferimento a una canzone di Folchetto di Marsiglia (Tan m'abeliis l'amoros pensamen). Il verso 142 richiama un'espressione di Arnaut stesso (Ieu sui Arnautz qu'amas l'aura). Il termine "folor" al verso 143, tipico della poesia provenzale, indica l'amore sensuale. Infine, al verso 144, la variante "joi" è più elegante rispetto a "jorn", creando un raffinato accostamento con "jausen".

Fonti: libri scolastici superiori

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