Parafrasi e Analisi: "Canto XXV" - Purgatorio - Divina Commedia - Dante Alighieri


Immagine Dante Alighieri
1) Scheda dell'Opera
2) Introduzione
3) Testo e Parafrasi
4) Riassunto
5) Figure Retoriche
6) Analisi ed Interpretazioni
7) Passi Controversi

Scheda dell'Opera


Autore: Dante Alighieri
Prima Edizione dell'Opera: 1321
Genere: Poema
Forma metrica: Costituita da tre versi di endecasillabi. Il primo e il terzo rimano tra loro, il secondo rima con il primo e il terzo della terzina successiva.



Introduzione


Il Canto XXV del Purgatorio si colloca nel cuore della riflessione morale e teologica che caratterizza la seconda cantica della Divina Commedia. In questo canto, Dante approfondisce il tema della natura umana, concentrandosi sulla complessa relazione tra anima e corpo e sulla loro origine divina. Attraverso un dialogo con Stazio, il poeta propone una spiegazione dottrinale che intreccia elementi della filosofia aristotelica e tomistica con la tradizione cristiana, affrontando questioni come la generazione della vita, la formazione dell'anima e il suo destino.

Questo momento di riflessione si inserisce armoniosamente nel percorso di purificazione del poeta e dei penitenti, offrendo una chiave di lettura spirituale e filosofica del viaggio dantesco. Il canto si distingue per la sua densità concettuale e per il suo intento didattico, che si manifesta attraverso un linguaggio elevato e un'elaborata costruzione simbolica.


Testo e Parafrasi


Ora era onde 'l salir non volea storpio;
ché 'l sole avëa il cerchio di merigge
lasciato al Tauro e la notte a lo Scorpio:

per che, come fa l'uom che non s'affigge
ma vassi a la via sua, che che li appaia,
se di bisogno stimolo il trafigge,

così intrammo noi per la callaia,
uno innanzi altro prendendo la scala
che per artezza i salitor dispaia.

E quale il cicognin che leva l'ala
per voglia di volare, e non s'attenta
d'abbandonar lo nido, e giù la cala;

tal era io con voglia accesa e spenta
di dimandar, venendo infino a l'atto
che fa colui ch'a dicer s'argomenta.

Non lasciò, per l'andar che fosse ratto,
lo dolce padre mio, ma disse: «Scocca
l'arco del dir, che 'nfino al ferro hai tratto».

Allor sicuramente apri' la bocca
e cominciai: «Come si può far magro
là dove l'uopo di nodrir non tocca?».

«Se t'ammentassi come Meleagro
si consumò al consumar d'un stizzo,
non fora», disse, «a te questo sì agro;

e se pensassi come, al vostro guizzo,
guizza dentro a lo specchio vostra image,
ciò che par duro ti parrebbe vizzo.

Ma perché dentro a tuo voler t'adage,
ecco qui Stazio; e io lui chiamo e prego
che sia or sanator de le tue piage».

«Se la veduta etterna li dislego»,
rispuose Stazio, «là dove tu sie,
discolpi me non potert' io far nego».

Poi cominciò: «Se le parole mie,
figlio, la mente tua guarda e riceve,
lume ti fiero al come che tu die.

Sangue perfetto, che poi non si beve
da l'assetate vene, e si rimane
quasi alimento che di mensa leve,

prende nel core a tutte membra umane
virtute informativa, come quello
ch'a farsi quelle per le vene vane.

Ancor digesto, scende ov' è più bello
tacer che dire; e quindi poscia geme
sovr' altrui sangue in natural vasello.

Ivi s'accoglie l'uno e l'altro insieme,
l'un disposto a patire, e l'altro a fare
per lo perfetto loco onde si preme;

e, giunto lui, comincia ad operare
coagulando prima, e poi avviva
ciò che per sua matera fé constare.

Anima fatta la virtute attiva
qual d'una pianta, in tanto differente,
che questa è in via e quella è già a riva,

tanto ovra poi, che già si move e sente,
come spungo marino; e indi imprende
ad organar le posse ond' è semente.

Or si spiega, figliuolo, or si distende
la virtù ch'è dal cor del generante,
dove natura a tutte membra intende.

Ma come d'animal divegna fante,
non vedi tu ancor: quest' è tal punto,
che più savio di te fé già errante,

sì che per sua dottrina fé disgiunto
da l'anima il possibile intelletto,
perché da lui non vide organo assunto.

Apri a la verità che viene il petto;
e sappi che, sì tosto come al feto
l'articular del cerebro è perfetto,

lo motor primo a lui si volge lieto
sovra tant' arte di natura, e spira
spirito novo, di vertù repleto,

che ciò che trova attivo quivi, tira
in sua sustanzia, e fassi un'alma sola,
che vive e sente e sé in sé rigira.

E perché meno ammiri la parola,
guarda il calor del sol che si fa vino,
giunto a l'omor che de la vite cola.

Quando Làchesis non ha più del lino,
solvesi da la carne, e in virtute
ne porta seco e l'umano e 'l divino:

l'altre potenze tutte quante mute;
memoria, intelligenza e volontade
in atto molto più che prima agute.

Sanza restarsi, per sé stessa cade
mirabilmente a l'una de le rive;
quivi conosce prima le sue strade.

Tosto che loco lì la circunscrive,
la virtù formativa raggia intorno
così e quanto ne le membra vive.

E come l'aere, quand' è ben pïorno,
per l'altrui raggio che 'n sé si reflette,
di diversi color diventa addorno;

così l'aere vicin quivi si mette
e in quella forma ch'è in lui suggella
virtüalmente l'alma che ristette;

e simigliante poi a la fiammella
che segue il foco là 'vunque si muta,
segue lo spirto sua forma novella.

Però che quindi ha poscia sua paruta,
è chiamata ombra; e quindi organa poi
ciascun sentire infino a la veduta.

Quindi parliamo e quindi ridiam noi;
quindi facciam le lagrime e ' sospiri
che per lo monte aver sentiti puoi.

Secondo che ci affliggono i disiri
e li altri affetti, l'ombra si figura;
e quest' è la cagion di che tu miri».

E già venuto a l'ultima tortura
s'era per noi, e vòlto a la man destra,
ed eravamo attenti ad altra cura.

Quivi la ripa fiamma in fuor balestra,
e la cornice spira fiato in suso
che la reflette e via da lei sequestra;

ond' ir ne convenia dal lato schiuso
ad uno ad uno; e io temëa 'l foco
quinci, e quindi temeva cader giuso.

Lo duca mio dicea: «Per questo loco
si vuol tenere a li occhi stretto il freno,
però ch'errar potrebbesi per poco».

'Summae Deus clementïae' nel seno
al grande ardore allora udi' cantando,
che di volger mi fé caler non meno;

e vidi spirti per la fiamma andando;
per ch'io guardava a loro e a' miei passi,
compartendo la vista a quando a quando.

Appresso il fine ch'a quell' inno fassi,
gridavano alto: 'Virum non cognosco';
indi ricominciavan l'inno bassi.

Finitolo, anco gridavano: «Al bosco
si tenne Diana, ed Elice caccionne
che di Venere avea sentito il tòsco».

Indi al cantar tornavano; indi donne
gridavano e mariti che fuor casti
come virtute e matrimonio imponne.

E questo modo credo che lor basti
per tutto il tempo che 'l foco li abbruscia:
con tal cura conviene e con tai pasti

che la piaga da sezzo si ricuscia.
Era giunto il momento di non esitare oltre nella nostra salita; avendo
oramai il sole abbandonato e lasciato il cerchio meridiano alla
costellazione del Toro e la notte in quella dello Scorpione:

cosa per cui, come fa chi non rimane fermo ma procede invece
oltre per la sua via, qualunque sia la cosa che gli compare davanti,
se viene sospinto dallo stimolo del bisogno,

allo stesso modo ci infilammo noi all'interno dello stretto passaggio,
in fila indiana, uno davanti all'altro salendo lungo la scala nella roccia
che per le sue strette dimensioni non consente di procedere fianco a fianco.

E come il piccolo della cicogna solleva le sue ali in cielo
spinto dalla voglia di volare, ma non osa però
abbondanare il suo nido e le riabbassa quindi dopo;

allo stesso modo mi sentito io, con la voglia prima intensa ma poi spenta
di fare domande, arrivando a volte fino a compiere quel gesto
che fa chi si sta preparando ed è sul punto di parlare.

Non esitò invece, nonostante procedessimo con passo veloce, il mio amato
padre Virgilio, ma disse: "Scocca pure il tuo arco, parla pure,
visto che hai già caricato la freccia fino a toccare la sua punta in ferro."

Aprì allora la mia bocca con maggiore sicurezza
e cominciai a dire: "Come è possibile che gli spiriti dimagriscano
se non sono nemmeno toccate dalla necessità di nutrirsi?"

"Se tu ti ricordassi come Meleagro
si consumò al consumarsi di un tizzone di legno ardente,
non sarebbe", mi disse, "questo concetto difficile da comprendere per te;

e se poi pensassi a come, per ogni vostro movimento rapido,
si muove rapidamente anche la vostra immagine riflessa in uno specchio,
ciò che ti appare difficile da comprendere ti apprirebbe infine chiarissimo.

Ma perché tu possa tranquillizzarti, avendo soddisfatto il tuo volere,
c'è qui Stazio per te; ed io lo chiamo e lo prego anche
di sanare subito le tue piaghe."

"Se io adesso gli rendo evidenti le azioni della provvidenza divina",
rispose Stazio, "nonostante la tua presenza, il tuo diritto di parola,
possa scusarmi il fatto di non poter dire di non ad una tua richiesta."

Poi cominciò a dire: "Se le mie parole,
figlio, vengono ascoltate con attenzione e recepite dalla tua mente,
esse allora illumineranno la verità su come può avvenire ciò che dici.

Il sangue purissimo, che non viene mai assorbito
dalle vene assetate di sangue, e rimane quindi avanzato
come quegli alimenti che vengono tolti a fine pasto dalla tavola,

attinge nel cuore la capacità informativa di tutte
le parti del corpo umano, e così
scorre nelle vene per divenire quelle, per divenire le parti del corpo.

Ancora puro, scende fino a raggiungere quel punto del corpo
che è meglio non nominare (il pene); e da qui infine sgorga sopra il
sangue dell'altra persona, la donna, in quel suo contenitore naturale (utero).

Lì, in quel contenitore naturale, si mescolano l'uno con l'altro,
l'uno, quello femminile, predisposto a subire una forma e l'altro a dare
forma, in virtù del luogo perfetto, il cuore, dal quale proviene;

e, una volta unito con l'altro, comincia a mettersi all'opera,
prima coagulando, facendosi solido, e poi dando vita
a ciò a cui, con la sua azione, ha finito per dare consistenza.

La virtù attiva, del maschio, una volta che è diventata anima, simile
a quella di una pianta, ma da questa anche tanto differente, perché se una
ha già completato la sua trasformazione l'altra è invece ancora in divenire,

tanto agisce poi, che subito inizia a muoversi ed a percepire,
come una spugna marina; e da questo punto in poi comincia a dare forma
agli organi sensoriali le cui informazioni contiene in sé.

Poi, figliolo, in lungo ed in largo, in tutto l'organismo si espande
quella virtù nata dal cuore del genitore maschio, là dove
il processo naturale sta inziando a dare vita a tutte le parti del corpo.

Ma come il feto passi dallo stato sensitivo di animale a quello di uomo
non te l'ho ancora fatto vedere: questo passaggio è di una tale difficoltà,
da aver già fatto cadere in errore qualcuno molto più sapiente di te,

così che nei suoi insegnamenti ha separato
l'anima umana dal suo possibile intelletto,
non avendo visto nessun organo che potesse contenerla.

Apri bene il tuo petto a quella verità che stai per ascoltare;
e sappi che, non appena nel feto
l'organizzazione delle funzioni del cervello è stata completata,

Dio, il primo motore, si rivolge felice verso di lui, verso una così
perfetta opera della natura, e soffia in lui
una nuova anima, ricca di virtù,

una anima che non appena trova un principio vitale attivo nel nascituro,
lo attira verso la sua stessa sostanza fina a divenire una unica anima,
che vive e percepisce ed ha conoscenza di sé stessa.

Ma perché ti stupisca meno delle mie parole,
pensa a come il calore del sole diviene in ultimo del buon vino,
una volta che si è unito ai liquidi vitali che scorrono nella vite.

Quando Lachesi non ha più lino da filare (qundo l'uomo muore),
allora l'anima si separa dalla carne, e tra tutte le facoltà porta con sé
sia quelle umane (vegetativa e sensitiva) che quella divina (intelletto):

tutte le altre facoltà sono inattive;
la memoria, l'intelligenza e la volontà, separate dalla carne,
diventano, nel loro agire, molto più efficaci di prima.

Senza rimanere ferma, per un proprio impulso naturale, l'anima, in modo
sbalorditivo, cade verso l'una o l'altra riva (il Tevere o l'Acheronte);
e da lì conosce subito quale sarà la strada che deve intraprendere.

Non appena l'anima si trova nel luogo limitato che le compete,
la virtù informativa irradia intorno a sé un corpo
di forma e dimensioni simili a quelle del corpo terreno.

E come l'aria, quando è bella carica di umidità,
per effetto dei raggi solari riflessi in sé
si abbellisce di molti diversi colori;

allo stesso modo l'aria si addensa intorno all'anima
assumendo quella forma che a lei viene impressa
in modo virtuale dall'anima che lì si è fermata;

ed allo stesso modo in cui una fiammella
segue il fuoco in qualsiasi sua variazione, mutazione,
così la nuova forma segue ovunque l'anima che l'ha generata.

E dal momento che l'anima deve a questa forma la sua visibilità,
viene detta ombra; ed a partire da questa forma dà poi origine
ad ogni percezione sensoriale fino ad arrivare alla vista.

Grazie a questa nostro corpo d'aria noi anime parliamo e ridiamo;
grazie a lui possiamo fare tutti quei pianti e quei sospiri
che avrai certamente potuto sentire in tutti i punti di questo monte.

A seconda che siamo tormentati da desideri
o da altri sentimenti, l'ombra che ci avvolge si conforma di conseguenza;
ed è per questo suo comportamento che tu ti stupisci."

Eravamo oramai giunti là dove viene espiato l'ultimo tormento,
avevamo girato verso destra, e la nostra attenzione
era già anche rivolta ad una nuova preoccupazione.

In quel punto del Purgatorio la parete rocciosa butta fuori una fiamma,
e dal bordo della cornice spira un vento verso l'alto
che la respinge e la allontana dal bordo stesso;

per tale motivo era per noi meglio procedere sul lato esterno
uno dietro all'altro; ed io avevo paura del fuoco
da una parte, e di cadere giù nel vuoto dall'altra.

La mia guida Virgilio mi diceva: "Procedendo in questo luogo
si deve necessariamente tenere lo sguardo ben fisso sulla strada,
perché altrimenti sarebbe veramente facile fare un passo falso."

"Summae Deus clementiae" sentii in quel momento
cantare all'interno di quella grande fiamma, cosa che mi fece desiderare
di voltarmi quanto desideravo camminare con attenzione;

e vidi così degli spiriti che camminavano all'interno di quel fuoco;
ed iniziai così a fare attenzione ai loro ed ai miei passi,
distribuendo sguardi ora agli uni ed ora agli altri.

Non appena terminato l'ultimo verso di quell'inno
tutte le anime gridavano forte: "Virum non cognosco";
per ricominciare subito dopo a cantare l'inno con voce bassa.

Finito nuovamente, gridavano ancora: "Nel bosco
rimase Diana, mentre venne cacciato Elice
che aveva assaggiato il veleno di Venere, il veleno dell'amore."

Subito dopo tornavano nuovamente a cantare; poi gridavano esempi
di donne e di uomini che si mantennero casti
come è imposto dalla virtù e dal matrimonio.

E credo che questo alternare l'inno alle grida durerà
per tutto il tempo che passano a bruciare in quel fuoco:
con questa cura e con questi cibi è opportuno

che la loro ferita alla fine si rimargini.



Riassunto


VV 1-30: Ascesa alla Settima Cornice e Dubbio di Dante
Mentre si avvicinano alla settima e ultima cornice, Dante espone a Virgilio un dubbio: come possono le anime, che non necessitano di nutrimento, essere soggette a dimagrimento? Virgilio chiarisce il concetto utilizzando due esempi. Il primo è quello mitologico di Meleagro, il cui destino era legato alla durata di un tizzone bruciato dalle Parche al momento della sua nascita, e non al fatto che si alimentasse. Il secondo esempio è quello delle immagini riflesse negli specchi, che imitano i movimenti dei corpi reali senza avere sostanza propria.

VV 31-78: Stazio Illustra la Teoria della Generazione dei Corpi
Virgilio, per rendere il concetto più chiaro, invita Stazio a offrire una spiegazione più dettagliata a Dante. Stazio, pur scusandosi per dover assumere un ruolo di guida davanti al suo maestro, avvia un'analisi approfondita sulla nascita del corpo e dell'anima. Spiega come il feto si formi grazie alla virtù attiva dello sperma, che inizialmente dà vita a un'anima vegetativa, simile a quella delle piante, per poi trasformarsi in un'anima sensitiva, simile a quella degli animali. Quando il cervello si sviluppa, Dio infonde un'anima razionale, che si unisce alle altre due, formando un'unica anima capace di vivere, sentire e ragionare.

VV 79-108: Creazione dei Corpi Aerei
Alla morte, l'anima si separa dal corpo e porta con sé sia le facoltà sensoriali, che restano inattive senza gli organi fisici, sia quelle intellettive, che invece si potenziano. Giunta in Inferno o in Purgatorio, l'anima, attraverso la virtù formativa, modella l'aria circostante, dando vita a una figura che replica quella del corpo posseduto in vita. Questa forma, chiamata ombra, appare visibile e dotata dei cinque sensi, adattandosi ai sentimenti provati dall'anima. È per questo che, ad esempio, le anime dei golosi mostrano segni di dimagrimento.

VV 109-139: La Penitenza dei Lussuriosi e gli Esempi di castità
Conclusa la spiegazione, i tre poeti giungono alla settima cornice, dove si espia il peccato di lussuria. Questo luogo è avvolto dalle fiamme, che vengono respinte dall'orlo esterno del cammino dai venti. I tre devono avanzare in fila indiana, camminando con cautela sul bordo per evitare di cadere nel fuoco o giù dal monte. Dall'interno delle fiamme si levano i canti dei lussuriosi, che alternano l'inno Summae Deus clementiae con riflessioni su esempi di castità, come quelli della Vergine Maria, Diana e altri.


Figure Retoriche


vv. 2-3: "Ché 'l sole avea il cerchio di merigge lasciato al Tauro e la notte a lo Scorpio": Perifrasi.
vv. 4-6: "Come fa l'uom che non s'affigge ma vassi a la via sua, che che li appaia, se di bisogno stimolo il trafigge": Similitudine.
v. 5: "La via sua": Anastrofe.
v. 6: "Di bisogno stimolo": Anastrofe.
v. 10-14: "E quale il cicognin che leva l'ala per voglia di volare, e non s'attenta d'abbandonar lo nido, e giù la cala; tal era io con voglia accesa e spenta di dimandar": Similitudine.
v. 17: "Lo dolce padre mio": Perifrasi. Per indicare Virgilio.
vv. 17-18: "Scocca l'arco del dir, che 'nfino al ferro hai tratto": Metafora. Per indicare la grande voglia di domandare di Dante che però si stava trattenendo nel farle.
v. 34: "Le parole mie": Anastrofe.
v. 38: "Assetate vene": Metafora.
vv. 38-39: "E si rimane quasi alimento che di mensa leve": Similitudine.
vv. 41-42: "Come quello ch'a farsi quelle per le vene vane": Similitudine.
vv. 43-44: "Scende ov'è più bello tacer che dire": Perifrasi.
v. 45: "In natural vasello": Perifrasi.
v. 48: "Lo perfetto loco": Perifrasi.
v. 50: "Coagulando prima": Anastrofe.
vv. 52-53: "Anima fatta la virtute attiva qual d'una pianta": Similitudine.
v. 52: "Anima fatta": Anastrofe.
vv. 55-56: "Si move e sente, come spungo marino": Similitudine.
v. 70: "Lo motor primo": Perifrasi.
vv. 71-72: "Spira spirito": Figura Etimologica.
vv. 85-86: "Cade / mirabilmente": Enjambement.
vv. 89-90: "La virtù formativa raggia intorno così e quanto ne le membra vive": Similitudine.
vv. 91-96: "E come l'aere, quand'è ben piorno, per l'altrui raggio che 'n sé si reflette, di diversi color diventa addorno; così l'aere vicin quivi si mette in quella forma ch'è in lui suggella virtualmente l'alma che ristette": Similitudine.
vv. 97-98: "Simigliante poi a la fiammella che segue il foco là 'vunque si muta, segue lo spirto sua forma novella": Similitudine.
v. 105: "Aver sentiti puoi": Anastrofe.
v. 118: "Lo duca mio": Anastrofe.
v. 124: "Per la fiamma andando": Anastrofe.
v. 133: "Al cantar tornavano": Anastrofe.


Analisi ed Interpretazioni


La fisicità degli spiriti e la spiegazione dottrinale di Stazio
Nel canto XXV del Purgatorio, Dante affronta uno dei temi più affascinanti e complessi della sua opera: la natura e la sofferenza degli spiriti nell'Aldilà. Durante l'ascesa alla settima cornice, egli si sofferma sul tormento fisico dei golosi, stupito che anime immateriali possano provare fame, sete e dimagrire, come se fossero ancora legate a un corpo terreno. Questo dubbio intellettuale, manifestato apertamente su invito di Virgilio (Come si può far magro/ là dove l'uopo di nodrir non tocca?, vv. 20-21), diventa il punto di partenza per una profonda indagine dottrinale.

Virgilio, pur offrendo alcune spiegazioni analogiche, ammette di non poter chiarire il fenomeno dal punto di vista teologico, limitandosi a richiamare esempi mitologici come il destino di Meleagro e immagini evocative come lo specchio, in cui ogni movimento dell'anima si riflette nel corpo aereo. Tuttavia, essendo un'anima pagana priva della grazia divina, Virgilio delega a Stazio il compito di fornire una spiegazione più esaustiva.

Stazio, cristiano e ormai destinato al Paradiso, espone un discorso articolato che abbraccia aspetti scientifici, filosofici e teologici. Egli descrive dettagliatamente il processo di formazione dell'uomo, a partire dal concepimento e dallo sviluppo delle anime vegetativa e sensitiva, fino all'infusione diretta dell'anima razionale da parte di Dio. Questo passaggio segna il momento in cui l'essere umano acquisisce la capacità di pensare e parlare, distinguendosi dagli altri esseri viventi.

In questa spiegazione, Dante prende posizione contro la dottrina di Averroè, che separava l'intelletto possibile dall'anima sensitiva, negando così l'immortalità individuale. Al contrario, Dante, seguendo la filosofia di san Tommaso d'Aquino, ribadisce che l'anima razionale è unita indissolubilmente alle altre due potenze, formando un'unica sostanza. Questo concetto viene spiegato poeticamente attraverso l'immagine del vino, prodotto dalla combinazione dell'umore della vite con il calore e la luce del sole.

Stazio affronta poi il mistero del corpo aereo che le anime assumono dopo la morte. Questo corpo immateriale, modellato dall'anima, ne riflette l'aspetto terreno e le sensazioni, permettendo di soffrire o gioire come se fosse un corpo fisico. Tale spiegazione, sebbene influenzata dalla scolastica medievale, si discosta in parte dalla dottrina tomistica per adattarsi alla narrazione dantesca, che necessita di rappresentare gli spiriti in modo realistico.

Il canto si conclude con la descrizione dei lussuriosi, che camminano attraverso un muro di fuoco, cantando l'inno Summae Deus clementiae e ricordando esempi di castità. Tra questi, spiccano Maria, la Vergine per eccellenza, Diana e le ninfe, e le coppie che osservano la fedeltà matrimoniale. L'immagine di Dante, che osserva con attenzione le anime nel fuoco cercando di non inciampare nel vuoto, prepara il lettore agli incontri significativi e alle riflessioni che seguiranno nei canti successivi.


Passi Controversi


Nei versi 2-3 si sottolinea come il sole abbia abbandonato il meridiano per la costellazione del Toro, mentre la notte sia affidata a quella dello Scorpione. Questo dettaglio astronomico indica che il sole, durante la visione, è in congiunzione con l'Ariete, il quale si trova sul meridiano a mezzogiorno. Quando poi cede il posto al Toro, sono trascorse circa due ore, collocando il momento intorno alle due del pomeriggio.

Nei versi 17-18 si fa riferimento al gesto di scoccare una freccia, dove la corda viene tesa fino a far toccare la punta della freccia con l'arco stesso.

Nei versi 21-23 Virgilio richiama il mito di Meleagro, figlio di Oeneo e Altea. Secondo il decreto delle Parche, la vita di Meleagro era legata alla durata di un tizzone lanciato nel fuoco al momento della sua nascita. La madre lo sottrasse al fuoco per salvarlo, ma, furiosa dopo che Meleagro uccise i suoi fratelli, lo gettò nuovamente tra le fiamme, causando la fine del figlio.

Il "sangue perfetto" citato da Stazio al verso 37 si riferisce al sangue destinato alla procreazione. Questo concetto si collega alla Summa Theologica di San Tommaso (III, q. XXXI), dove si parla del sangue "puro e perfetto" necessario per il concepimento.

Al verso 56, alcuni manoscritti riportano la lezione "fungo" al posto di "spungo" (spugna), considerata la variante più complessa.

Al verso 61, il termine "fante" significa "parlante" e si riferisce all'essere umano.

Il "savio" menzionato al verso 63 è Averroè, la cui dottrina sull'anima viene successivamente confutata da Stazio.

L'espressione "sé in sé rigira" al verso 75 significa che l'anima riflette su se stessa, acquisendo consapevolezza del proprio essere.

I versi 85-86 descrivono il destino delle anime dopo la morte: se dannate, finiscono sulle rive dell'Acheronte; se salvate, alla foce del Tevere.

Il termine "piorno" al verso 91 è una forma arcaica di "piovorno", indicando qualcosa di impregnato d'umidità.

L'inno Summae Deus clementiae citato al verso 121, intonato dai lussuriosi, non sembra legato a questo peccato. Tuttavia, Dante potrebbe riferirsi a quello recitato nel mattutino del sabato, che condanna la lussuria. All'epoca del poeta, l'inno iniziava con le parole riportate nel canto, mentre oggi è noto come Summae parens clementiae.

L'esempio di castità di Maria viene tratto dal Vangelo di Luca (1, 34), quando la Vergine risponde all'annuncio dell'arcangelo Gabriele dicendo: "Come potrà avvenire questo, visto che non conosco uomo?".

Elice, menzionata al verso 131, è un altro nome per Callisto, la ninfa sedotta da Giove.

Infine, nei versi 138-139, alcuni commentatori hanno ipotizzato che i lussuriosi possano portare effettive piaghe, forse P incise sulla fronte, come accade a Dante. Tuttavia, non ci sono prove che tale pratica coinvolga anche gli altri penitenti, come Stazio, per il quale non viene menzionato nulla di simile.

Fonti: libri scolastici superiori

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