Parafrasi e Analisi: "Canto XXX" - Purgatorio - Divina Commedia - Dante Alighieri

1) Scheda dell'Opera
2) Introduzione
3) Testo e Parafrasi
4) Riassunto
5) Figure Retoriche
6) Analisi ed Interpretazioni
7) Passi Controversi
Scheda dell'Opera
Autore: Dante Alighieri
Prima Edizione dell'Opera: 1321
Genere: Poema
Forma metrica: Costituita da tre versi di endecasillabi. Il primo e il terzo rimano tra loro, il secondo rima con il primo e il terzo della terzina successiva.
Introduzione
Il Canto XXX del Purgatorio di Dante rappresenta un momento cardine all'interno della struttura della Divina Commedia. La scelta accurata di vocaboli, i richiami alla cultura biblica e classica, i latinismi e le citazioni latine, insieme a metafore dense e talvolta enigmatiche, conferiscono al canto un tono elevato che sottolinea la solennità dell'episodio narrato: l'apparizione di Beatrice. Questo evento segna una svolta nel percorso di redenzione di Dante. Con il suo arrivo, invocato dai vegliardi, Virgilio scompare e il poeta si trova a vivere un momento catartico, espiazione delle colpe che si conclude nel pianto, chiudendo una fase iniziata nella "selva oscura".
Testo e Parafrasi
Quando il settentrïon del primo cielo, che né occaso mai seppe né orto né d'altra nebbia che di colpa velo, e che faceva lì ciascuno accorto di suo dover, come 'l più basso face qual temon gira per venire a porto, fermo s'affisse: la gente verace, venuta prima tra 'l grifone ed esso, al carro volse sé come a sua pace; e un di loro, quasi da ciel messo, 'Veni, sponsa, de Libano' cantando gridò tre volte, e tutti li altri appresso. Quali i beati al novissimo bando surgeran presti ognun di sua caverna, la revestita voce alleluiando, cotali in su la divina basterna si levar cento, ad vocem tanti senis, ministri e messaggier di vita etterna. Tutti dicean: 'Benedictus qui venis!', e fior gittando e di sopra e dintorno, 'Manibus, oh, date lilïa plenis!'. Io vidi già nel cominciar del giorno la parte orïental tutta rosata, e l'altro ciel di bel sereno addorno; e la faccia del sol nascere ombrata, sì che per temperanza di vapori l'occhio la sostenea lunga fïata: così dentro una nuvola di fiori che da le mani angeliche saliva e ricadeva in giù dentro e di fori, sovra candido vel cinta d'uliva donna m'apparve, sotto verde manto vestita di color di fiamma viva. E lo spirito mio, che già cotanto tempo era stato ch'a la sua presenza non era di stupor, tremando, affranto, sanza de li occhi aver più conoscenza, per occulta virtù che da lei mosse, d'antico amor sentì la gran potenza. Tosto che ne la vista mi percosse l'alta virtù che già m'avea trafitto prima ch'io fuor di püerizia fosse, volsimi a la sinistra col respitto col quale il fantolin corre a la mamma quando ha paura o quando elli è afflitto, per dicere a Virgilio: 'Men che dramma di sangue m'è rimaso che non tremi: conosco i segni de l'antica fiamma'. Ma Virgilio n'avea lasciati scemi di sé, Virgilio dolcissimo patre, Virgilio a cui per mia salute die'mi; né quantunque perdeo l'antica matre, valse a le guance nette di rugiada che, lagrimando, non tornasser atre. «Dante, perché Virgilio se ne vada, non pianger anco, non piangere ancora; ché pianger ti conven per altra spada». Quasi ammiraglio che in poppa e in prora viene a veder la gente che ministra per li altri legni, e a ben far l'incora; in su la sponda del carro sinistra, quando mi volsi al suon del nome mio, che di necessità qui si registra, vidi la donna che pria m'appario velata sotto l'angelica festa, drizzar li occhi ver' me di qua dal rio. Tutto che 'l vel che le scendea di testa, cerchiato de le fronde di Minerva, non la lasciasse parer manifesta, regalmente ne l'atto ancor proterva continüò come colui che dice e 'l più caldo parlar dietro reserva: «Guardaci ben! Ben son, ben son Beatrice. Come degnasti d'accedere al monte? non sapei tu che qui è l'uom felice?». Li occhi mi cadder giù nel chiaro fonte; ma veggendomi in esso, i trassi a l'erba, tanta vergogna mi gravò la fronte. Così la madre al figlio par superba, com' ella parve a me; perché d'amaro sente il sapor de la pietade acerba. Ella si tacque; e li angeli cantaro di sùbito 'In te, Domine, speravi'; ma oltre 'pedes meos' non passaro. Sì come neve tra le vive travi per lo dosso d'Italia si congela, soffiata e stretta da li venti schiavi, poi, liquefatta, in sé stessa trapela, pur che la terra che perde ombra spiri, sì che par foco fonder la candela; così fui sanza lagrime e sospiri anzi 'l cantar di quei che notan sempre dietro a le note de li etterni giri; ma poi che 'ntesi ne le dolci tempre lor compatire a me, par che se detto avesser: 'Donna, perché sì lo stempre?', lo gel che m'era intorno al cor ristretto, spirito e acqua fessi, e con angoscia de la bocca e de li occhi uscì del petto. Ella, pur ferma in su la detta coscia del carro stando, a le sustanze pie volse le sue parole così poscia: «Voi vigilate ne l'etterno die, sì che notte né sonno a voi non fura passo che faccia il secol per sue vie; onde la mia risposta è con più cura che m'intenda colui che di là piagne, perché sia colpa e duol d'una misura. Non pur per ovra de le rote magne, che drizzan ciascun seme ad alcun fine secondo che le stelle son compagne, ma per larghezza di grazie divine, che sì alti vapori hanno a lor piova, che nostre viste là non van vicine, questi fu tal ne la sua vita nova virtüalmente, ch'ogne abito destro fatto averebbe in lui mirabil prova. Ma tanto più maligno e più silvestro si fa 'l terren col mal seme e non cólto, quant' elli ha più di buon vigor terrestro. Alcun tempo il sostenni col mio volto: mostrando li occhi giovanetti a lui, meco il menava in dritta parte vòlto. Sì tosto come in su la soglia fui di mia seconda etade e mutai vita, questi si tolse a me, e diessi altrui. Quando di carne a spirto era salita, e bellezza e virtù cresciuta m'era, fu' io a lui men cara e men gradita; e volse i passi suoi per via non vera, imagini di ben seguendo false, che nulla promession rendono intera. Né l'impetrare ispirazion mi valse, con le quali e in sogno e altrimenti lo rivocai: sì poco a lui ne calse! Tanto giù cadde, che tutti argomenti a la salute sua eran già corti, fuor che mostrarli le perdute genti. Per questo visitai l'uscio d'i morti, e a colui che l'ha qua sù condotto, li preghi miei, piangendo, furon porti. Alto fato di Dio sarebbe rotto, se Letè si passasse e tal vivanda fosse gustata sanza alcuno scotto di pentimento che lagrime spanda». |
Quando i sette candelabri, le sette stelle dell'Empireo, cielo che non ha mai visto né un tramonto né un'alba, né alcun velo di nebbia, se non quello del peccato, stelle che nel Paradiso terrestre rendono ognuno istruito circa il proprio dovere, come fa l'Orsa Maggiore con chi usa il timone per guidare la propria nave in porto, (i candelabri) si fermarono: i ventiquattro anziani, giunti per primi tra il grifone ed i candelabri stessi, si rivolsero verso il carro come verso l'origine della propria pace; e uno di loro, come messaggero del Cielo, cantava ad alta voce "Vieni, sposa, dal Libano" per tre volte, seguito nel coro da tutti gli altri. Come i Beati nel giorno del Giudizio, dell'ultima chiamate, risorgeranno subito, ciascuno dalla propria tomba, cantando "alleluia" con la voce di nuovo rivestita dal corpo, allo stesso modo sul carro divino si sollevarono moltissimi Angeli, al suono della voce di un così degno vecchio, esecutori e messaggeri di Dio. Tutti dicevano: "Benedetto tu che vieni!", e gettavano fiori in alto e intorno, "Spargete gigli a piene mani!". Vidi sul far del giorno, in altre occasioni, la parte orientale del cielo tutta colorata di rosa, e le altre parti abbellite da un bel sereno; vidi il disco del sole sorgere con una velatura, così che, grazie all'effetto temperante dei vapori, l'occhio riusciva a sostenerne la vista per lungo tempo: così, dentro la nuvola formata dai fiori che venivano gettati dalle mani degli Angeli, per poi ricadere dentro e fuori dal carro, coronata da un ramo d'ulivo sovrastante un velo bianco, mi apparve una donna, vestita, sotto ad un mantello verde, con un abito di color rosso fuoco. Allora il mio spirito, che ormai da molto tempo non era stato più travolto, per la presenza di lei, da tanta meraviglia da farmi tremare, senza che i miei occhi potessero riconoscerla, grazie ad un invisibile potere sprigionato da lei, sentì ancora tutta la potenza dell'antico amore. Non appena la mia vista fu colpita da quella potenza d'amore, che già mi aveva colpito in passato ancor prima che fossi uscito dall'infanzia, mi volsi alla mia sinistra con lo sguardo smarrito, simile a quello che ha un bambino che corre dalla mamma quando ha paura o è triste, per confidare a Virgilio: "Non mi è rimasta neanche una goccia di sangue che non stia tremando: riconosco i sintomi dell'antico amore." Ma aveva oramai privato me e Stazio della sua presenza, Virgilio padre affettuosissimo, Virgilio nelle mani del quale mi ero messo per la mia salvezza; nemmeno tutte le meraviglie dell'Eden che Eva aveva perduto riuscirono ad impedire che le mie guance, purificate dalla rugiada quando ero uscito dall' Inferno, si sporcassero nuovamente di lacrime. "Dante, per il fatto che Virgilio se ne vada non piangere ancora, non piangere ancora; perché è necessario che tu pianga per un altro dolore." Come un ammiraglio, che di poppa in prora va a visitare i suoi sottoposti, che eseguono i loro compiti sulle altre navi, e li incoraggia ad agire per il meglio; sul lato sinistro del carro, quando mi girai avendo sentito il suono del mio nome, che devo necessariamente riportare qui in onore del vero, vidi la donna, che prima mi era apparsa velata sotto la nuvola di fiori gettati dagli Angeli, indirizzare con decisione i suoi occhi verso di me, al di qua del fiume. Nonostante la presenza del velo, che le copriva la testa, coronato dal ramo di ulivo, non lasciasse apparire il suo volto, con tono ancora regale e fiero continuò a parlare come chi si riserva di dire per ultime le cose più importanti: "Guarda bene qui dove sono! Sono proprio Beatrice. Come hai osato ritenerti degno di salire fino in cima al monte? Non sapevi che qui si realizza la felicità dell'uomo?" Il mio sguardo cadde allora in basso, verso l'acqua limpida del fiume; ma vedendomi specchiato in essa, lo rivolsi poi all'erba, tanta era la vergogna che mi costringeva ad abbassare la fronte. Così la madre appare severa al figlio, come Beatrice apparve allora a me; perché sa di amaro l'affetto materno, quando diviene severo per esprimere il rimprovero. Beatrice poi tacque; e gli Angeli cantarono immediatamente "In te, Domine, speravi"; ma senza andare oltre il versetto che termina con "i miei piedi". Così come la neve tra il legno vivo delle foreste, sulla dorsale d'Italia, si congela, sferzata e premuta dai venti slavi, provenienti da Nord-Est, e poi, sciogliendosi, gocciola in sé stessa, purché soffi il vento dall'Africa, terra priva di ombre, come la cera di una candela fusa da fuoco; così io rimasi incapace di lacrime e sospirare finché non iniziò il canto degli Angeli, coloro che cantano sempre in armonia con la musica delle sfere eterne, dei Cieli; ma dopo che ebbi inteso che nel loro canto melodico gli Angeli mi compativano, essendo come se avessero detto: "Donna, perché lo scoraggi così?", il gelo che mi si era formato intorno al cuore si trasformò in acqua e vapore, e con affanno mi uscì dalla bocca in sospiri e dagli occhi in lacrime. Beatrice, stando sempre ferma sulla sponda sinistra del carro, verso quegli Angeli pietosi rivolse quindi queste parole: "Voi veglia nella luce eterna di Dio, così che né la notte né il sonno possano togliervi la conoscenza anche di un solo avvenimento della storia del mondo; pertanto la mia risposta nasce più dalla volontà di essere compresa da colui che ora piange di là dal fiume, così che il suo dolore sia proporzionato alla sua colpa. Non solo grazie agli influssi del cielo, che indirizzano ogni essere vivente verso il proprio fine a seconda delle costellazioni sotto le quali nasce, ma anche grazie alla generosità di doni della Grazia divina, che piovono sulla terra da nubi così alte che nemmeno la comprensione di noi può raggiungerle, questo uomo ebbe durante la sua giovinezza tali potenzialità, che ogni forma di predisposizione positiva avrebbe raggiunto in lui dei risultati straordinari. Ma tanto più improduttivo e selvaggio diventa il terreno seminato con cattivo seme e lasciato incolto, quanto più ha il dono della produttività, della fecondità. Per alcuni anni lo guidai con la mia presenza: mostrandomi a lui nella mia adolescenza, lo conducevo lungo la giusta via insieme a me. Ma non appena raggiunsi la soglia della giovinezza, seconda età della vita, e passai a miglio vita, morii, questo uomo si staccò da me e si accompagno ad altri. Proprio quando mi ero elevata da creatura corporea a puro spirito, e la mia bellezza e le mie virtù erano aumentate, fui da lui amata e mi apprezzata di meno; e imboccò allora una via sbagliata, inseguendo false riproduzione del bene, che non sono in grado di mantenere alcuna promessa. Non mi servì ottenere per lui da Dio buone ispirazione, con le quali, o attraverso sogni o tramite visioni, lo richiamai verso la retta via: se ne preoccupò molto poco! Cadde tanto in basso che tutti i mezzi per salvarlo erano oramai insufficienti, salvo il mostrargli la condizione dei dannati. Per questo motivo andai fino alla porta dell' Inferno, e verso colui, Virgilio, che lo ha guidato fin qua indirizzai, tra le lacrime, le mie preghiere. La volontà divina verrebbe distrutta, se il fiume Lete fosse oltrepassato e la salvezza fosse raggiunta senza aver pagato giusta ammenda di un pianto nato dal pentimento." |
Riassunto
Il canto si apre con il termine della processione dei sette candelabri, che si collega direttamente al Canto XXIX, creando una continuità narrativa. Nei primi versi (1-21) si respira un'atmosfera carica di tensione e solennità. Questa parte culmina con l'invocazione di Beatrice da parte di uno dei ventiquattro anziani, che intona il canto «Veni, sponsa de Libano», tratto dal Cantico dei Cantici.
L'apparizione di Beatrice e l'addio a Virgilio
I versi 22-54 descrivono l'apparizione di Beatrice, già preannunciata nei canti precedenti. La sua figura emerge tra i cori degli anziani e i fiori lanciati dagli angeli. Dante associa a lei simboli cristologici di grande portata: ad esempio, al verso 19, «Benedictus qui venis» richiama i Vangeli (Mc 11,10; Gv 12,13; Lc 19,38; Mt 21,9), dove questa frase viene pronunciata dagli abitanti di Gerusalemme all'ingresso di Cristo in città. Anche il verso 21 contiene un richiamo colto, riprendendo il verso 882 del VI libro dell'Eneide, in cui Anchise piange Marcello, nipote di Augusto. Questi riferimenti accentuano il carattere sacrale della scena. Quando Beatrice appare (v. 32), il suo volto è coperto, ma Dante la riconosce per un impulso misterioso. Cercando conforto, si gira verso Virgilio, che però è ormai scomparso.
Il rimprovero di Beatrice
Nel successivo momento del canto (vv. 55-81), Beatrice si rivolge a Dante con tono severo e diretto. Al verso 55, il nome del poeta viene pronunciato per la prima e unica volta nel poema. Beatrice, con sguardo fiero, lo interroga sulla sua presenza nel Paradiso Terrestre, luogo di perfetta felicità. Dante, incapace di sostenere lo sguardo della donna, lo abbassa, scorgendo il proprio riflesso nelle acque del Lete.
Il pentimento di Dante
Il rimprovero di Beatrice conduce al pentimento del poeta (vv. 82-99), momento centrale del canto. Mentre Beatrice tace, Dante, immobilizzato dalle emozioni, si trova nell'acqua del Lete. Gli angeli intervengono intonando il Salmo XXX, «In te, Domine, speravi», intercedendo per lui. Finalmente, Dante si abbandona a un pianto liberatorio che segna l'inizio della sua espiazione.
La spiegazione e il rimprovero finale
Nell'ultima parte del canto (vv. 100-145), Beatrice, rispondendo agli angeli, spiega le ragioni della sua durezza. Dante, nonostante fosse stato in gioventù dotato di grandi virtù e favorito dalla grazia divina, si era allontanato dal retto cammino dopo la morte di Beatrice, preferendo immagini illusorie a lei. Questo traviamento lo aveva condotto alla rovina, rendendo necessaria la visione dell'Inferno per salvarlo. Beatrice racconta di essersi recata nel Limbo per chiedere a Virgilio di guidare Dante, ma ora, per proseguire il suo viaggio, il poeta deve pentirsi e piangere le sue colpe.
Figure Retoriche
vv. 4-6: "E che faceva lì ciascun accorto di suo dover, come 'l più basso face qual temon gira per venire a porto": Similitudine.
v. 9: "Al carro volse sé come a sua pace": Similitudine.
vv. 11-12: "Cantando / gridò": Enjambement.
vv. 13-18: "Quali i beati al novissimo bando surgeran presti ognun di sua caverna, la revestita voce alleluiando, cotali in su la divina basterna si levar cento, ad vocem tanti senis, ministri e messaggier di vita etterna": Similitudine.
v. 13: "Novissimo bando": Perifrasi. Per indicare il giorno del giudizio universale.
v. 18: "Ministri e messaggier di vita etterna": Perifrasi. Per indicare gli angeli.
v. 20: "Fior gittando": Anastrofe.
v. 24: "Di bel sereno addorno": Anastrofe.
vv. 25-32: "E la faccia del sol nascere ombrata, sì che per temperanza di vapori l'occhio la sostenea lunga fiata: così dentro una nuvola di fiori che da le mani angeliche saliva e ricadeva in giù dentro e di fori, sovra candido vel cinta d'uliva donna m'apparve sotto verde manto vestita di color di fiamma viva.": Similitudine.
v. 34: "Spirito mio": Anastrofe.
vv. 34-35: "Cotanto / tempo": Enjambement.
v. 38: "Che da lei mosse": Anastrofe.
v. 42: "Fuor di puerizia fosse": Anastrofe.
v. 42: "Prima ch'io fuor di puerizia fosse": Metafora.
vv. 43-45: "Volsimi a la sinistra col respitto col quale il fantolin corre a la mamma quando ha paura o quando elli è afflitto": Similitudine.
vv. 46-47: "Dramma / di sangue": Enjambement.
vv. 49-50: "Scemi / di sé": Enjambement.
v. 52: "L'antica matre": Perifrasi.
v. 56: "Non pianger anco, non pianger ancora": Anadiplosi.
v. 57: "Ché pianger ti conven per altra spada": Metafora.
vv. 58-62: "Quasi ammiraglio che in poppa e in prora viene a veder la gente che ministra per li altri legni, e a ben far l'incora; in su la sponda del carro sinistra, quando mi volsi al suon del nome mio": Similitudine.
v. 62: "Nome mio": Anastrofe.
vv. 70-72: "Regalmente ne l'atto ancor proterva continuò come colui che dice e 'l più caldo parlar dietro reserva": Similitudine.
v. 73: "Guardaci ben": Plurale Maiestatis.
v. 75: "Che qui è l'uom felice": Ellissi.
vv. 79-81: "Così la madre al figlio par superba, com'ella parve a me; perché d'amaro sente il sapor de la pietade acerba": Similitudine.
vv. 80-81: "D'amaro / sente": Enjambement.
vv. 82-83: "Cantaro / di subito": Enjambement.
vv. 85-90: "Sì come neve tra le vive travi per lo dosso d'Italia si congela, soffiata e stretta da li venti schiavi, poi, liquefatta, in sé stessa trapela, pur che la terra che perde ombra spiri, sì che par foco fonder la candela; così fui sanza lagrime e sospiri": Similitudine.
v. 97: "Intorno al cor ristretto": Anastrofe.
vv. 98-99: "Angoscia / de la bocca": Enjambement.
vv. 100-101: "Coscia / del carro": Enjambement.
vv. 104-105: "Non fura / passo": Enjambement.
v. 125: "Mutai vita": Metafora.
v. 128: "E bellezza e virtù cresciuta m'era": Sineddoche.
v. 140: "A colui che l'ha qua sù condotto": Perifrasi. Per indicare Virgilio.
v. 141: "Li prieghi miei": Anastrofe.
vv. 144-145: "Scotto di pentimento": Enjambement.
Analisi ed Interpretazioni
Nel Canto XXX del Purgatorio, Beatrice emerge come figura centrale nel cammino spirituale di Dante, segnando un momento fondamentale nel suo processo di redenzione. La sua attesa, già preannunciata nei canti precedenti, culmina in un'apparizione che rappresenta il primo traguardo del viaggio teologico del poeta. La scena si divide in due parti: nella prima, si assiste al preludio dell'apparizione e alla scomparsa di Virgilio, con il primo rimprovero di Beatrice; nella seconda, Beatrice esprime le sue severe accuse, rimproverando Dante per il suo "traviamento" e il suo peccato.
L'atmosfera iniziale è carica di attesa e di sacralità. I ventiquattro vegliardi, che osservano il carro vuoto, intonano un versetto tratto dal Cantico dei Cantici, esprimendo l'arrivo imminente di Beatrice. Un gruppo di angeli sparge rose sul carro, prefigurando l'arrivo della donna, la cui descrizione è intrisa di riferimenti cristologici e classici, tra cui il saluto Benedictus qui venis, che tradizionalmente celebra l'ingresso di Cristo a Gerusalemme. Beatrice appare velata da una nube di fiori e paragonata al sole nascente, simbolo di grazia e rivelazione divina. Il suo abbigliamento, con il velo bianco e la ghirlanda d'ulivo, richiama la purezza e la sapienza, mentre la veste rossa rimanda alla sua prima apparizione in Vita nuova, evocando fede, speranza e carità.
L'apparizione di Beatrice suscita una forte emozione in Dante, che si volta per cercare Virgilio, ma scopre che il maestro è scomparso. L'abbandono di Virgilio, simbolo della ragione umana, segna l'inizio di una guida superiore, quella della teologia, incarnata in Beatrice. Dante, sopraffatto dal dolore, si rivolge al suo maestro con una triplice invocazione, sottolineando la sua tristezza per la perdita di chi lo aveva condotto fin lì. Il suo riconoscimento di Beatrice è anche un omaggio a Virgilio, attraverso una citazione dall'Eneide.
La seconda parte del canto si concentra sul rimprovero che Beatrice rivolge a Dante, accusandolo di aver intrapreso un cammino di peccato, il "traviamento" che lo aveva condotto alla selva oscura. La vergogna di Dante è descritta con una similitudine intensa: il suo pianto si scioglie come neve al sole, simbolo di un'emozione che purifica. Beatrice gli rimprovera di aver tradito la sua memoria, dedicandosi ad amori carnali e a studi filosofici che lo avevano allontanato dalla verità teologica. I suoi occhi sono ora rivolti a una dimensione più alta, e il poeta deve riconoscere i suoi errori per poter continuare il viaggio verso la salvezza.
Questo rimprovero di Beatrice si collega alla descrizione della selva oscura all'inizio del poema, dove il peccato di Dante è rappresentato come la causa principale del suo smarrimento. In effetti, attraverso vari indizi, si può ipotizzare che il "traviamento" di Dante non si riferisca solo a un peccato carnale, ma anche a una deviazione intellettuale. Beatrice allude a un allontanamento da lei come simbolo della teologia, in favore di un amore per altre donne, ma anche a un'attività filosofica che lo ha allontanato dalla verità divina. In particolare, il periodo successivo alla morte di Beatrice è segnato da un amore profano e da uno stile di vita disordinato, come testimoniato dalle rime e dai sonetti in cui Dante, insieme a Forese Donati, si scambiava insulti e celebrazioni di un'esistenza gaudente.
Inoltre, Beatrice rimprovera Dante per aver deviato dalla via della teologia, concentrandosi troppo sulla filosofia, come dimostrato nel Convivio, dove Dante stesso identifica la "donna gentile" della Vita nuova come simbolo della filosofia. La dottrina che Dante ha seguito lo ha portato lontano dalla verità, ed è proprio questo il tradimento di Beatrice: un peccato di superbia intellettuale che lo ha condotto alla dannazione. Sebbene non si tratti di un eretico, la sua filosofia, pur rispettabile, lo ha portato ad allontanarsi dalla teologia, simile a un naufragio spirituale.
In conclusione, il rimprovero di Beatrice si inserisce in un contesto più ampio di redenzione, dove il poeta è chiamato a riconoscere i propri errori, sia morali che intellettuali, per poter proseguire nel suo cammino di salvezza. La teologia di Beatrice è la guida che permetterà a Dante di raggiungere la vera conoscenza, che si fonda sulla fede e sull'umiltà intellettuale, necessarie per accedere alla rivelazione divina e superare il peccato.
Passi Controversi
L'espressione settentrion del primo cielo (v. 1) fa riferimento ai sette candelabri, descritti come una costellazione dell'Empireo, considerato il primo cielo. L'espressione latina septem triones (che significa "sette buoi") si riferisce infatti all'Orsa Minore. L'Orsa citata come "più bassa" è invece quella Maggiore, che funge da guida per i naviganti ed è collocata nell'ottavo cielo, quello delle Stelle Fisse, e quindi al di sotto dell'Empireo.
Al verso 11 si trova una parafrasi del versetto del Cantico dei Cantici (IV, 8), dove si legge: Veni de Libano, sponsa mea, veni de Libano, veni. Tradizionalmente, l'esegesi biblica interpreta queste parole come rivolte alla Chiesa, sposa di Cristo.
Nel verso 15 l'espressione revestita voce si riferisce al momento in cui, dopo la resurrezione nel Giorno del Giudizio, le anime riacquisteranno il proprio corpo. Il verbo alleluiare è probabilmente usato intransitivamente, in una costruzione simile a un ablativo assoluto, con il significato di "mentre la voce, riappropriatasi del corpo, intonerà l'alleluia". Alcuni manoscritti riportano la variante carne invece di voce, ma questa sembra essere un'aggiunta tardiva.
Il termine basterna (v. 16), che significa "carro", deriva dal latino tardo, dove indicava una lettiga usata dalle matrone.
Le parole Benedictus qui venis (v. 19) sono un richiamo all'ingresso di Gesù a Gerusalemme, tratte dal Vangelo (Benedictus qui venit in nomine Domini). Qui l'invocazione è riferita a Beatrice, che viene assimilata a Cristo, motivo per cui è indicata con il maschile.
Il verso 21 è una citazione dall'Eneide (VI, 883), con l'aggiunta di un oh per adattare il verso alla metrica dell'endecasillabo. Nell'originale, Anchise usa queste parole per celebrare la figura di Marcello, nipote di Augusto, destinato a una morte precoce.
I versi 40-42 richiamano il secondo capitolo della Vita Nuova, in cui Dante racconta il primo incontro con Beatrice, avvenuto quando aveva nove anni. Si riteneva che l'infanzia terminasse intorno ai dieci anni.
Nel verso 46 il termine dramma indica una quantità minima, come già accade in Paradiso XXI, 99, dove è usato per indicare un peso esiguo.
Il verso 48 è una traduzione letterale di un passo dell'Eneide (IV, 23), in cui Didone, parlando con la sorella Anna, descrive il riemergere della sua passione per Enea (adgnosco veteris vestigia flammae).
L'espressione antica matre (v. 52) si riferisce a Eva.
Al verso 55 Dante cita se stesso per la prima e unica volta nel poema. Più avanti, al verso 63, si scusa per questa scelta, spiegando che è stato costretto a farlo per necessità.
Il termine anco nel verso 56 potrebbe significare "così presto" anziché "ancora" come interpretato da alcuni.
Il verbo Guardaci (v. 73) va inteso come "guarda qui" e non come un pluralis maiestatis. Alcuni manoscritti riportano la variante Ben sem, ben sem Beatrice, ma sembra una correzione per uniformare tutto al plurale.
Il verbo degnasti (v. 74) è stato interpretato nel senso di "degnarsi" o "avere la compiacenza", come se Beatrice rimproverasse Dante per essersi degnato solo ora di raggiungere l'Eden. Tuttavia, è più probabile che si tratti di un'accusa, nel senso di "avere l'ardire" di presentarsi lì.
Il Salmo intonato dagli angeli ai versi 82-84 è il XXX secondo la Vulgata. Dante sottolinea che gli angeli si fermano al versetto che termina con pedes meos, poiché i versi successivi non si addicono più alla circostanza.
I venti schiavi menzionati al verso 87 sono quelli freddi della Schiavonia, ossia la regione balcanica degli Slavi. Questi venti gelidi fanno ghiacciare la neve tra gli alberi dell'Appennino (le "vive travi"). La terra che perde ombra (v. 89) è l'Africa, dove a mezzogiorno l'ombra diventa sempre più corta avvicinandosi all'Equatore.
Il verbo notan (v. 92) potrebbe significare "cantano", nel senso che gli angeli seguirebbero l'armonia delle sfere celesti, ma l'interpretazione non è del tutto certa.
Nei versi 109-111 Beatrice spiega che Dante aveva ricevuto un influsso astrale favorevole alla nascita, essendo nato sotto il segno dei Gemelli, che predisponeva alle lettere e alla scienza (cfr. Inferno, XV, 55-60, e Paradiso, XXII, 112-114).
La seconda etade (v. 125) indica la giovinezza, che si riteneva iniziasse a 25 anni, dopo l'adolescenza (cfr. Convivio, IV, 24).
Fonti: libri scolastici superiori