Parafrasi e Analisi: "Canto X" - Purgatorio - Divina Commedia - Dante Alighieri

1) Scheda dell'Opera
2) Introduzione
3) Testo e Parafrasi
4) Riassunto
5) Figure Retoriche
6) Analisi ed Interpretazioni
7) Passi Controversi
Scheda dell'Opera
Autore: Dante Alighieri
Prima Edizione dell'Opera: 1321
Genere: Poema
Forma metrica: Costituita da tre versi di endecasillabi. Il primo e il terzo rimano tra loro, il secondo rima con il primo e il terzo della terzina successiva.
Introduzione
Il Canto X del Purgatorio segna l'ingresso nella prima cornice della montagna, dedicata alla purificazione del peccato di superbia. Qui, Dante sviluppa una profonda riflessione sul tema dell'umiltà, proponendola come fondamento per il riscatto morale e spirituale. Attraverso un ricco intreccio di simboli e immagini scolpite nella pietra, il poeta esplora il contrasto tra l'arroganza umana e la grandezza divina, esaltando il valore dell'umiltà come virtù capace di riconciliare l'anima con il suo Creatore.
Questo canto rappresenta anche un momento di forte intensità artistica e teologica: le raffigurazioni che Dante descrive sono un esempio della fusione tra bellezza estetica e profondità spirituale, dimostrando come l'arte possa essere veicolo di elevazione morale. Il Canto X invita dunque a una riflessione sul significato del peccato e sul percorso di redenzione, aprendo il cammino verso una maggiore comprensione del progetto divino che guida l'intera Commedia.
Testo e Parafrasi
Poi fummo dentro al soglio de la porta che 'l mal amor de l'anime disusa, perché fa parer dritta la via torta, sonando la senti' esser richiusa; e s'io avesse li occhi vòlti ad essa, qual fora stata al fallo degna scusa? Noi salavam per una pietra fessa, che si moveva e d'una e d'altra parte, sì come l'onda che fugge e s'appressa. «Qui si conviene usare un poco d'arte», cominciò 'l duca mio, «in accostarsi or quinci, or quindi al lato che si parte». E questo fece i nostri passi scarsi, tanto che pria lo scemo de la luna rigiunse al letto suo per ricorcarsi, che noi fossimo fuor di quella cruna; ma quando fummo liberi e aperti sù dove il monte in dietro si rauna, ïo stancato e amendue incerti di nostra via, restammo in su un piano solingo più che strade per diserti. Da la sua sponda, ove confina il vano, al piè de l'alta ripa che pur sale, misurrebbe in tre volte un corpo umano; e quanto l'occhio mio potea trar d'ale, or dal sinistro e or dal destro fianco, questa cornice mi parea cotale. Là sù non eran mossi i piè nostri anco, quand' io conobbi quella ripa intorno che dritto di salita aveva manco, esser di marmo candido e addorno d'intagli sì, che non pur Policleto, ma la natura lì avrebbe scorno. L'angel che venne in terra col decreto de la molt' anni lagrimata pace, ch'aperse il ciel del suo lungo divieto, dinanzi a noi pareva sì verace quivi intagliato in un atto soave, che non sembiava imagine che tace. Giurato si saria ch'el dicesse 'Ave!'; perché iv' era imaginata quella ch'ad aprir l'alto amor volse la chiave; e avea in atto impressa esta favella 'Ecce ancilla Deï', propriamente come figura in cera si suggella. «Non tener pur ad un loco la mente», disse 'l dolce maestro, che m'avea da quella parte onde 'l cuore ha la gente. Per ch'i' mi mossi col viso, e vedea di retro da Maria, da quella costa onde m'era colui che mi movea, un'altra storia ne la roccia imposta; per ch'io varcai Virgilio, e fe'mi presso, acciò che fosse a li occhi miei disposta. Era intagliato lì nel marmo stesso lo carro e ' buoi, traendo l'arca santa, per che si teme officio non commesso. Dinanzi parea gente; e tutta quanta, partita in sette cori, a' due mie' sensi faceva dir l'un 'No', l'altro 'Sì, canta'. Similemente al fummo de li 'ncensi che v'era imaginato, li occhi e 'l naso e al sì e al no discordi fensi. Lì precedeva al benedetto vaso, trescando alzato, l'umile salmista, e più e men che re era in quel caso. Di contra, effigïata ad una vista d'un gran palazzo, Micòl ammirava sì come donna dispettosa e trista. I' mossi i piè del loco dov' io stava, per avvisar da presso un'altra istoria, che di dietro a Micòl mi biancheggiava. Quiv' era storïata l'alta gloria del roman principato, il cui valore mosse Gregorio a la sua gran vittoria; i' dico di Traiano imperadore; e una vedovella li era al freno, di lagrime atteggiata e di dolore. Intorno a lui parea calcato e pieno di cavalieri, e l'aguglie ne l'oro sovr' essi in vista al vento si movieno. La miserella intra tutti costoro pareva dir: «Segnor, fammi vendetta di mio figliuol ch'è morto, ond' io m'accoro»; ed elli a lei rispondere: «Or aspetta tanto ch'i' torni»; e quella: «Segnor mio», come persona in cui dolor s'affretta, «se tu non torni?»; ed ei: «Chi fia dov' io, la ti farà»; ed ella: «L'altrui bene a te che fia, se 'l tuo metti in oblio?»; ond' elli: «Or ti conforta; ch'ei convene ch'i' solva il mio dovere anzi ch'i' mova: giustizia vuole e pietà mi ritene». Colui che mai non vide cosa nova produsse esto visibile parlare, novello a noi perché qui non si trova. Mentr' io mi dilettava di guardare l'imagini di tante umilitadi, e per lo fabbro loro a veder care, «Ecco di qua, ma fanno i passi radi», mormorava il poeta, «molte genti: questi ne 'nvïeranno a li alti gradi». Li occhi miei, ch'a mirare eran contenti per veder novitadi ond' e' son vaghi, volgendosi ver' lui non furon lenti. Non vo' però, lettor, che tu ti smaghi di buon proponimento per udire come Dio vuol che 'l debito si paghi. Non attender la forma del martìre: pensa la succession; pensa ch'al peggio oltre la gran sentenza non può ire. Io cominciai: «Maestro, quel ch'io veggio muovere a noi, non mi sembian persone, e non so che, sì nel veder vaneggio». Ed elli a me: «La grave condizione di lor tormento a terra li rannicchia, sì che ' miei occhi pria n'ebber tencione. Ma guarda fiso là, e disviticchia col viso quel che vien sotto a quei sassi: già scorger puoi come ciascun si picchia». O superbi cristian, miseri lassi, che, de la vista de la mente infermi, fidanza avete ne' retrosi passi, non v'accorgete voi che noi siam vermi nati a formar l'angelica farfalla, che vola a la giustizia sanza schermi? Di che l'animo vostro in alto galla, poi siete quasi antomata in difetto, sì come vermo in cui formazion falla? Come per sostentar solaio o tetto, per mensola talvolta una figura si vede giugner le ginocchia al petto, la qual fa del non ver vera rancura nascere 'n chi la vede; così fatti vid' io color, quando puosi ben cura. Vero è che più e meno eran contratti secondo ch'avien più e meno a dosso; e qual più pazïenza avea ne li atti, piangendo parea dicer: 'Più non posso'. |
Passammo quindi dall'altra parte della soglia di quella porta del Purgatorio che è resa così poco usata dall'amore indirizzato dalle anime verso un fine sbagliato, perché fa apparire come giusta la via che è invece sbagliata, e dal rumore che fece capii che era stata richiusa alle nostre spalle; e se mi fossi voltato per rivolgere ad essa il mio sguardo (non eseguendo l'ordine dell'angelo custode) quale scusante avrei potuto avere per il mio errore? Iniziammo a salire passando attraverso una apertura nella roccia, che curvava ora a dall'una e ora dall'altra parte, ora a destra e ora a sinistra, così come un'onda del mare che si allontana e poi si avvicina alla riva. "Qua conviene che utilizziamo un poco di cautela nel salire", cominciò a dire la mia guida, "accostandoci al bordo della fessura ora da uno ed ora dall'altro lato che si scosta, che curva." Questo nostro movimento a zig-zag rallentò di molto la nostra andatura, tanto che la luna calante raggiunse la linea dell'orizzonte (il letto dove si corica) prima che noi fossimo riusciti ad uscire da quello stretto sentiero; ma quando fummo infine liberi, fuori dalla fessura, ed in uno spazio aperto, in alto, dove il monte si ritira, lasciando spazio ad un luogo pianeggiante, io unico stanco (per il peso del corpo) ma entrambi incerti sulla via da prendere, ci fermammo su quel luogo pianeggiante completamente solitario, vuoto, più delle strade che attraversano i deserti. Dal suo orlo estremo, dove confina con il vuoto, ai piedi del ripido pendio, dall'altra parte, che riprende a salire, il terrazzo potrebbe misurare tra volte la lunghezza di un corpo umano; e fino a dove il mio sguardo era in grado di arrivare, ora dalla parte sinistra ed ora dalla destra, questa cornice pianeggiante mi sembrava invariata, sempre larga uguale. Giuntì lassù, non avevamo ancora mosso un passo che io mi accorsi che quella parete circolare, nella sua parte meno ripida, era tutta fatta di marmo di un bianco candido e tutto adornato da bassorilievi di tale bellezza, che non solo un artista come Policleto ma la natura stessa ne sarebbe stata invidiosa. L'Angelo (dell'Annunciazione) che scese sulla terra con l'ordine della pace con Dio, per tanti anni implorata dagli uomini, pace che riaprì il Cielo dopo una lunga chiusura nei confronti dell'umanità, appariva ora davanti a noi scolpito nel marmo nella dolcezza del suo gesto, così vero, così reale, che non sembrava assolutamente una immagine muta, senza vita. A guardarlo, si sarebbe giurato che stesse pronunciando "Ave!"; perché lì, insieme a lui, era anche raffigurata Maria, colei che girò la chiave per aprire agli uomini l'amore divino; e l'atteggiamento con cui era raffigurata lei gli imprimeva le parole "Ecco la serva di Dio", allo stesso modo in cui si imprime nitidamente una figura nella cera. "Non concentrare la tua attenzione in un solo punto", mi disse Virgilio, il mio amabile maestro, che mi aveva alla sua sinitra, dal lato in cui si trova il cuore delle persone. Perciò, seguendo il suo consiglio, spostai lo sguardo in giro, e vidi dietro all'immagine di Maria, alla mia destra, dalla parte in cui si trovava Virgilio, colui che mi aveva condotto fino a lì, un'altra storia incisa nella roccia; oltreppassai allora Virgilio e mi avvicinai a quell'incisione, così che fosse ben visibile ai miei occhi. In quello stesso marmo erano anche incisi il carro ed i buoi nell'atto di trasportare la santa Arca, a causa della quale gli uomini si guardano bene dal compiere una azione non affidatagli da Dio. Davanti all'arca c'era una folla di persone; e tutta quanta, divisa in sette gruppi, a due miei sensi (la vista e l'udito) faceva dire da uno (l'udito) "No" e dall'altro (la vista) "Sì, sta cantando". Allo stesso modo in cui il fumo degli incensi che lì erano raffigurati, confondeva poi la mia vista ed il mio olfatto inducendoli a prendere posizioni opposte sulla sua reale presenza. Nello stesso bassorilievo, l'Arca benedetta era preceduta dall'umile compositore di salmi David, raffigurato mentre danzava con la veste sollevata, in apparenza meno regale di quello che era poi in realtà. Di fronte a lui, raffigurata affacciata alla finestra di un lussuoso palazzo, Micol, moglie di David, osservava la scena con una espressione irritata e dispiaciuta. Mi allontanai poi dal punto in cui mi trovavo per riuscire a vedere da vicino un'altra raffigurazione, che mi appariva nel bianco intenso di quel marmo dopo l'immagine di Micol. Qui era rappresentata l'impresa gloriosa del principe romano, il cui alto valore morale spinse papa Gregorio Magno verso la sua grande vittoria (contro l' Inferno); mi sto riferendo all'Imperatore Traiano; e vicina al freno del suo cavallo stava una povera vedova sofferente, il lacrime ed in atteggiamento di dolore. Intorno a Traiano sembrava esserci una fitta folla di cavalieri, ed i loro stendardi, raffiguranti aquile su fondo color oro, sembravano muoversi sopra di loro per il vento. La povera vedova stretta tra tutti questi cavalieri sembrava dire: "Signore, vendica mio figlio che è stato ucciso e per la cui morte mi dispero"; e lui sembrava quindi risponderle: "Aspetta solo fintanto che non sarò tornato dalla guerra"; e lei ancora: "Mio Signore", sembrava dire come una persona che è spinta dal dolore, "e se tu non dovessi tornare?"; e lui: "Nel caso, chi sarà al mio posto, ti farà giustizia"; e la vedova: "Il bene compiuto da altri come può giovare a te, se ti dimentichi del tuo dovere?"; lui allora rispose: "Consolati; perché conviene che io compia il mio dovere prima di partire: la giustizia impone che sia così e la pietà verso di te mi trattiene qui." Dio, colui che non hai mai visto niente di nuovo, creò questo dialogo visivo, che può essere visto ma non ascoltato, nuovo per noi perché non può essere ritrovato nel mondo terreno. Mentre io provavo piacere nell'ammirare le rappresentazioni di così grandi e famosi atti di umiltà, piacevoli da guardare grazie all'arte del loro creatore, "Ecco giungere da questa parte, con passi molto lenti", sentii mormorare il poeta Virgilio, "molte anime: sapranno indirizzarci verso le cornici più alte del Purgatorio." I miei occhi, che erano contenti di poter ammirare cose nuove, delle quali sono sempre desiderosi, non furono affatto lenti nel volgersi, nell'indirizzarsi verso di lui. Non voglio però, lettore, che tu ti possa lasciare deviare dal tuo buon proposito di purificazione, ascoltando da me come Dio vuole che si paghi per il male commesso. Non badare troppo al modo in cui le anime del Purgatorio vengono punite: pensa a quello che otterranno dopo; pensa che, nel peggiore dei casi, il tormento non può comunque durare oltre la sentenza del Giudizio Universale. Io cominciai a dire: "Maestro, quelli che io vedo muoversi verso di noi non mi sembrano assolutamente persone, e non riesco neanche a capire cosa siano, tanto la mia vista è in difficoltà". E virgilio mi rispose: "La gravità della loro punizione li costringe a stare rannicchiati a terra, tanto che anche i miei occhi all'inizio hanno faticato nel riconoscerli. Ma fissa lo sguardo su di loro, e prova a distinguere con la vista le forme umane che avanzano sotto il peso di quei massi: potresti già riuscire a vedere come ognuno di loro si batte il petto." O cistiani peccatori di superbia, poveri infelici, che, avendo la vista mentale ammalata, inferma, vi fidate di passi che non vi fanno andare avanti, vi fanno procedere all'indietro, non vi rendete conto che noi uomini siamo tutti bruchi, nati per dare vita, per dare forma alla farfalla che è l'anima, che, senza più nessun impedimento, sarà poi libera di volare verso la giustizia divina? Di che cosa può essere tanto superbo il vostro animo, quando alla fine dei conti siete come insetti incompleti, come larve la cui conformazione è imperfetta? Come quando, per sostenere un solaio o un tetto, vengono a volte utilizzate figure umana (la cariatide) raffigurate con le ginocchia portate al petto, che, pur non essendo vere, provocano un autentico senso di oppressione in colui che le osserva; nella stessa posizione oppressa vidi stare quelle anime, quando le osservai con più attenzione. Occorre precisare che erano in realtà più o meno rannicchiate a seconda del peso che dovevano sopportare; ma anche quella di loro che sembrava essere in grado di sopportare di più il peso, pareva comunque dire piangendo: "Non ce la faccio più". |
Riassunto
La salita alla prima cornice (vv. 1-27)
Dopo aver varcato la soglia, Dante sente il rumore della porta che si richiude alle sue spalle. Seguendo il consiglio dell'angelo custode, evita di voltarsi indietro. Insieme a Virgilio, inizia a salire lungo un sentiero stretto che conduce a una spianata: è la prima cornice del Purgatorio, riservata ai superbi. Qui i due poeti si fermano, affaticati e incerti su quale direzione prendere.
Gli esempi di umiltà: la Vergine Maria (vv. 28-45)
Sulle pareti rocciose che delimitano la cornice, si possono ammirare dei rilievi marmorei di straordinaria bellezza, che sembrano prendere vita. Il primo rappresenta l'Annunciazione: l'arcangelo Gabriele appare dinanzi a Maria, raffigurata con una maestria tale che sembra addirittura parlare.
Gli esempi di umiltà: re David (vv. 46-69)
Il secondo rilievo mostra il corteo che accompagna l'Arca dell'Alleanza. La scena è composta da sette gruppi di figure, con il re David che danza gioiosamente davanti al carro sacro. Dalla reggia, sua moglie Micòl lo osserva con disappunto, infastidita dall'umile comportamento del marito.
Gli esempi di umiltà: l'imperatore Traiano (vv. 70-96)
Il terzo rilievo raffigura l'imperatore Traiano a cavallo, nel pieno di un trionfo, mentre accanto a lui una vedova in lacrime gli chiede giustizia per il figlio ucciso. La scena è così viva e intensa che Dante ha l'impressione di udire il dialogo: Traiano, con senso del dovere, promette di fare giustizia, onorando il suo ruolo di uomo e sovrano.
Le anime dei superbi (vv. 97-139)
Mentre Dante contempla i rilievi, Virgilio lo richiama all'attenzione, indicando un gruppo di anime che si avvicinano lentamente. Sono i superbi, piegati sotto il peso di enormi massi che li schiacciano a terra, rendendo impossibile scorgere i loro volti. Colpito dalla vista, Dante si rivolge ai cristiani orgogliosi, esortandoli a riflettere sulla futilità della superbia umana.
Figure Retoriche
v. 2: "Mal amor": Anastrofe.
v. 9: "Sì come l'onda che fugge e s'appressa": Similitudine.
vv. 11-12: "In accostarsi / or quinci, or quindi": Enjambement.
vv. 14-15: "Lo scemo de la luna / rigiunse": Enjambement.
v. 17: "Liberi e aperti": Endiadi.
vv. 20-21: "Incerti / di nostra via": Enjambement.
v. 21: "Solingo più che strade per diserti": Similitudine.
v. 31-32: "Addorno / d'intagli": Enjambement.
vv. 34-35: "L'angel che venne in terra col decreto de la molt'anni lagrimata pace": Perifrasi. Per indicare l'angelo Gabriele.
vv. 34-35: "Col decreto de la ... pace": Iperbato.
v. 37: "Pareva sì verace": Similitudine.
v. 39: "Imagine che tace": Sinestesia. Sfera sensoriale della vista e dell'udito.
vv. 41-42: "Quella ch'ad aprir l'alto amor volse la chiave": Perifrasi. Per indicare Maria.
vv. 44-45: "Propriamente / come": Enjambement.
v. 45: "Come figura in cera si suggella": Similitudine.
vv. 47-48: "Che m'avea / da quella parte": Enjambement.
v. 48: "'l cuore ha la gente": Anastrofe.
v. 49: "Col viso": Sineddoche.
vv. 49-50: "E vedea di retro da Maria": Enjambement.
v. 52: "Ne la roccia imposta": Anastrofe.
vv. 61-63: "Similemente al fummo de li 'ncensi che v'era imaginato, li occhi e 'l naso e al sì e al no discordi fensi": Similitudine.
vv. 67-68: "Una vista / d'un gran palazzo": Enjambement.
v. 69: "Sì come donna dispettosa e trista": Similitudine.
v. 69: "Dispettosa e trista": Endiadi.
vv. 73-74: "L'alta gloria / del roman principato": Enjambement.
v. 76: "Traiano imperadore": Anastrofe.
vv. 79-80: "Pieno / di cavalieri": Enjambement.
v. 87: "Come persona in cui dolor s'affretta": Similitudine.
vv. 91-92: "Ch'ei convene / ch'i' solva": Enjambement.
v. 94: "Colui che mai non vide cosa nova": Perifrasi. Per indicare Dio.
v. 95: "Visibile parlare": Sinestesia. Sfera sensoriale visiva e uditiva.
v. 98: "Mi dilettava di guardare l'imagini di tante umilitadi": Metonimia. La materia per l'oggetto, le immagini anziché gli esempi di umiltà.
v. 99: "E per lo fabbro": Perifrasi. Per indicare Dio, che ha creato gli esempi di umiltà.
v. 99: "Lo fabbro loro": Anastrofe.
v. 99: "A veder care": Anastrofe.
v. 103: "Li occhi miei": Anastrofe.
v. 106: "Non vo' però, lettor, che tu ti smaghi": Apostrofe.
vv. 106-107: "Che tu ti smaghi / di buon proponimento": Enjambement.
v. 98: "Come Dio vuol che 'l debito si paghi": Similitudine.
vv. 112-113: "Veggio / muovere a noi": Enjambement.
vv. 115-116: "Condizione / di lor tormento": Enjambement.
v. 116: "A terra li rannicchia": Anastrofe.
vv. 118-119: "E disviticchia col viso": Enjambement.
v. 119: "Col viso": Sineddoche. Il tutto per la parte, il viso anziché gli occhi.
v. 120: "Ciascun si picchia": Metafora.
v. 129: "Sì come vermo in cui formazion falla": Similitudine.
vv. 130-135: "Come per sostentar solaio o tetto, per mensola talvolta una figura si vede giugner le ginocchia al petto, la qual fa del non ver vera rancura nascere 'n chi la vede; così fatti vid'io color, quando puosi ben cura": Similitudine.
v. 133: "Vera rancura nascere": Anastrofe.
vv. 134-135: "Così fatti / vid'io": Enjambement.
v. 138: "Più pazienza avea": Anastrofe.
Analisi ed Interpretazioni
Il Canto X del Purgatorio segna l'ingresso di Dante e Virgilio nella Prima Cornice, dedicata all'espiazione della superbia. Questo peccato, il più grave dei vizi capitali, rappresenta l'origine di ogni altro peccato ed è legato alla ribellione di Lucifero. Dante lo teme particolarmente, riconoscendo in sé stesso una certa inclinazione a questa colpa. La cornice è strutturata per stimolare il pentimento degli spiriti attraverso esempi scolpiti nella roccia, che raffigurano scene di umiltà, virtù opposta alla superbia, e che servono da insegnamento sia per i penitenti sia per il lettore.
Il sentiero e l'ingresso nella Cornice
L'apertura del canto descrive il cammino tortuoso dei due poeti lungo un sentiero scavato nella roccia, che si snoda a zig-zag. L'interpretazione prevalente è che il percorso simboleggi le difficoltà della via verso la salvezza. Alcuni commentatori hanno ipotizzato che la roccia si muova effettivamente, ma questa ipotesi appare poco convincente poiché Dante non ne fornisce ulteriori dettagli. Dopo un lungo tragitto, i due raggiungono la Prima Cornice intorno alle dieci del mattino. Qui si trovano i bassorilievi scolpiti, che raffigurano esempi di umiltà destinati a insegnare ai superbi la virtù contraria al loro peccato.
Gli esempi di umiltà
Le sculture, descritte da Dante come opera divina, superano in realismo e perfezione qualsiasi creazione umana, persino quelle del celebre scultore greco Policleto. Esse rappresentano scene così vivide da sembrare animate: l'arcangelo Gabriele e Maria nell'Annunciazione sembrano dialogare, le schiere che trasportano l'Arca Santa sembrano cantare e il fumo degli incensi sembra reale. Questi esempi, incisi sul marmo della parete rocciosa, servono da monito per i penitenti, che devono meditare sul loro peccato.
Gli esempi raffigurati sono tre: l'Annunciazione di Maria, l'umiltà di re David mentre danza davanti all'Arca Santa, e la leggenda di Traiano e della vedova. Quest'ultima era molto diffusa nel Medioevo e sottolinea l'importanza della giustizia e dell'umiltà anche nei potenti. Dante associa Traiano alla salvezza eterna, seguendo la leggenda secondo cui le preghiere di papa Gregorio Magno lo avrebbero redento.
La pena dei superbi
La punizione dei superbi è rappresentata da enormi macigni che li costringono a camminare curvi. Dante paragona la loro posizione a quella delle cariatidi delle chiese romaniche, figure umane o bestiali che sembrano sostenere l'architrave, evocando un senso di fatica in chi le osserva. Questa pena è temporanea, ma il poeta non risparmia una dura accusa ai superbi cristiani, definiti «miseri lassi», che ignorano il destino luminoso a cui Dio li ha destinati, accecati dalla loro arroganza.
La natura della superbia
Secondo la teologia medievale, la superbia è un amore deviato che si rivolge al male o desidera il male altrui. È definita come l'inizio di tutti i peccati, in quanto rappresenta la ribellione contro Dio e l'ordine da Lui stabilito. La cornice del Purgatorio dedicata alla superbia non solo punisce, ma invita alla riflessione e al pentimento attraverso l'osservazione degli esempi di virtù scolpiti nella roccia e le sofferenze inflitte.
Conclusione
Dante utilizza il tema della superbia per approfondire una riflessione sull'arte e sulla condizione umana. Egli condanna l'arroganza degli artisti che osano competere con Dio e sottolinea che il vero scopo dell'arte è l'educazione morale. Allo stesso modo, la superbia degli uomini, paragonati a vermi destinati a diventare farfalle angeliche, è vista come un ostacolo alla salvezza. L'insistenza sul pericolo di questo peccato rivela la centralità della superbia non solo nella cornice del Purgatorio, ma nell'intera visione morale e teologica di Dante.
Passi Controversi
Nei versi 7-12 si descrive un sentiero scavato nella roccia che procede in modo tortuoso. Per questo Virgilio suggerisce a Dante di salire evitando le sporgenze e seguendo le rientranze della parete. Sebbene affascinante, risulta poco plausibile l'ipotesi che la roccia si muova realmente. L'espressione "lo scemo de la luna" (v. 14) si riferisce alla parte in ombra del disco lunare, la quale tramonta per prima dopo il plenilunio; dato che ciò avviene circa quattro ore dopo l'alba, siamo intorno alle 10 del mattino.
I versi 29-30 indicano probabilmente che lo zoccolo della parete rocciosa del monte ha una pendenza meno ripida (non perpendicolare al pavimento della Cornice ma inclinata di circa 45 gradi), consentendo così alle anime dei superbi, pur chinate, di osservare le raffigurazioni scolpite. Policleto, citato al verso 32 come modello dell'arte classica, era noto anche nel Medioevo grazie alle menzioni di diversi autori latini.
Nei versi 55-57 si fa riferimento alla traslazione dell'Arca Santa dalla casa di Abinedab a Gerusalemme, narrata in II Re, VI, 1-16. Il verso 57 allude al gesto di Oza, che toccò l'Arca per salvarla da una caduta e fu colpito da Dio, poiché solo i sacerdoti potevano sfiorarla. L'espressione "il benedetto vaso" (v. 64) è ancora un riferimento all'Arca. L'"umile salmista" (v. 65) è re David, che, danzando davanti all'Arca con la veste sollevata, dimostrò umiltà. La danza, descritta come "trescando", richiama movimenti vivaci simili al trescone popolare. Micòl, irritata per questo atteggiamento, fu punita da Dio con la sterilità.
La leggenda di Traiano e della vedova (vv. 73-93) era molto conosciuta nel Medioevo, probabilmente ispirata da sculture presenti su vari archi romani, che raffiguravano un imperatore a cavallo con una donna inginocchiata accanto, interpretata come simbolo di una provincia sottomessa. Questa narrazione si intreccia con quella di papa Gregorio Magno, che, commosso dall'episodio, pregò per l'anima di Traiano, ottenendone la salvezza (la "gran vittoria" del v. 75), evento accettato da diversi teologi. L'espressione "aguglie ne l'oro" (v. 80) indica le aquile sugli stendardi romani, che Dante immaginava come vessilli in stoffa, simili a quelli medievali, mossi dal vento.
Il "visibile parlare" (v. 95) è una sinestesia che evidenzia il realismo assoluto delle sculture. L'espressione "ciascun si picchia" (v. 120) può indicare che i superbi si battono il petto oppure può essere interpretata in modo impersonale, suggerendo che ogni anima è tormentata dalla giustizia divina.
Infine, "antomata", termine che significa "insetti", è un grecismo che deriva da un falso plurale, poiché vocaboli come "problemata" e "dogmata" portarono a considerare il plurale greco "éntoma" come singolare. Alcuni manoscritti riportano invece "entomata". Al verso 138, la parola "pazienza" viene interpretata come "capacità di sopportare", ma può anche significare "sofferenza", suggerendo che l'anima più tormentata dichiari di non poter resistere oltre.
Fonti: libri scolastici superiori