Henri Bergson - La risposta alla teoria dell'evoluzione


Immagine Henri Bergson
1) Introduzione
2) Lettura
3) Guida alla lettura
4) Guida alla Comprensione

Introduzione


Pubblicata nel 1907, "L'evoluzione creatrice" rappresenta la risposta metafisica dello spiritualismo alla teoria scientifica dell'evoluzione. Nei suoi quattro capitoli, l'opera affronta i problemi dell'evoluzione mantenendo una continuità con i lavori precedenti. Nei primi due capitoli («L'evoluzione della vita. Meccanicismo e finalismo» e «Direzioni divergenti dell'evoluzione della vita: torpore, istinto, intelligenza»), il concetto di durata viene utilizzato per evidenziare le carenze del meccanicismo e del finalismo e per confutare l'idea che l'evoluzione sia una sequenza di sviluppi quantitativi progressivi. Bergson contrappone a questa visione l'immagine di differenziazioni qualitative, suggerendo un vero salto tra animale e uomo.

Nel terzo e quarto capitolo («Il significato della vita. L'ordine della natura e la forma dell'intelligenza» e «Il meccanicismo cinematografico del pensiero e l'illusione meccanicistica»), Bergson esplora la genesi e la funzione dell'intelligenza in relazione alla materia. Assimila il funzionamento dell'intelletto al meccanicismo cinematografico che costruisce il movimento attraverso una successione di istantanee, incapace di cogliere il flusso della realtà. Attraverso una ricostruzione storico-filosofica, analizza la crisi della metafisica intuitiva, identificando nella filosofia di Platone le radici di tale crisi e nella sua teoria delle idee il modello metodologico dell'intelletto.

Nella Prefazione, di cui sono riportati ampi estratti, Bergson delinea il piano dell'opera, sottolineando soprattutto la sua portata polemica contro il meccanicismo e il finalismo evoluzionistico, e tracciando la continuità tematica e concettuale con le sue opere precedenti.


Lettura


La storia dell'evoluzione della vita, per quanto ancora incompleta, ci lascia già intravedere come l'intelligenza sia venuta costituendosi attraverso un progresso ininterrotto, lungo una linea che percorrendo la serie dei vertebrati giunge sino all'uomo. Essa ci rivela che la facoltà di comprendere è un annesso della facoltà di agire, un adattamento sempre più preciso, sempre più complesso e duttile, della coscienza degli esseri viventi alle condizioni di esistenza in cui si trovano.

Come conseguenza, dovrebbe risultare che il fine della nostra intelligenza, nel senso stretto della parola, consiste nell'assicurare il perfetto inserimento del nostro corpo nell'ambiente, nel rappresentarsi i rapporti che sussistono tra le cose esterne, e infine nel pensare la materia. In effetti, questa sarà una delle conclusioni del presente saggio. Vedremo che l'intelligenza umana si sente a proprio agio quando ha a che fare con gli oggetti inerti, e più in particolare con i solidi, dove il nostro agire trova il suo punto di appoggio e la nostra industria i suoi strumenti di lavoro; questo perché i nostri concetti sono stati formati a immagine dei solidi, perché la nostra logica è soprattutto la logica dei solidi. E ciò spiega come mai la geometria sia il trionfo della nostra intelligenza: essa infatti rivela l'affinità tra il pensiero logico e la materia inerte; nella geometria, l'intelligenza deve solo seguire il suo movimento naturale, per andare – dopo il più lieve contatto possibile con l'esperienza – di scoperta in scoperta con la certezza che l'esperienza procede nella sua scia e le darà invariabilmente ragione.

Ma da ciò dovrebbe anche risultare che il nostro pensiero, nella sua forma puramente logica, è incapace di rappresentarsi la vera natura della vita, il significato profondo del movimento evolutivo. Creato dalla vita in circostanze determinate e per agire su cose determinate, come potrebbe esso comprendere la vita, essendone solo un'emanazione, un aspetto? Sedimentandosi nel corso del movimento evolutivo, come potrebbe essere in grado di cogliere il movimento evolutivo stesso? Tanto varrebbe pretendere che la parte eguagli il tutto, che l'effetto sia capace della propria causa, o che il ciottolo sulla spiaggia disegni la forma dell'onda che l'ha portato.

In realtà, avvertiamo distintamente che nessuna delle categorie del nostro pensiero – unità, molteplicità, causalità meccanica, finalità intelligente ecc. – può applicarsi esattamente alle cose della vita: chi può dire dove incomincia e dove finisce l'individualità, se l'essere vivente è uno o molteplice, se sono le cellule ad associarsi in organismi o se è l'organismo a dissociarsi in cellule? Invano cerchiamo di costringere il vivente entro i nostri schemi. Tutti gli schemi si infrangono: sono troppo stretti, soprattutto troppo rigidi per ciò che vorremmo farvi entrare. Il nostro ragionamento, tanto sicuro di sé quando si aggira tra le cose inerti, si sente invece a disagio su questo nuovo terreno. Ci si ritroverebbe in grande imbarazzo a dover citare anche una sola scoperta biologica che sia frutto di un puro ragionamento. Molto spesso invece, quando alla fine l'esperienza ci rivela come la vita agisce allorché vuole ottenere un determinato risultato, scopriamo che il suo modo di operare è proprio quello a cui non avremmo mai pensato.

Ciò nonostante, la filosofia evoluzionista non esita a estendere alle cose della vita i procedimenti esplicativi applicati con successo alla materia bruta. Aveva cominciato con il presentarci l'intelligenza come un effetto locale dell'evoluzione, un lume, forse accidentale, che getta luce sull'andirivieni degli esseri viventi nello stretto passaggio consentito al loro agire: ma ecco che di colpo, dimenticando quanto aveva appena affermato, essa trasforma questa lanterna che oscilla nel fondo di un sotterraneo in un sole che illuminerebbe il mondo. Intrepida, procede con le sole forze del pensiero concettuale alla ricostruzione ideale di tutte le cose, anche della vita.

A dire il vero, strada facendo incontra difficoltà così formidabili, vede la sua logica imbattersi in contraddizioni così strane, da rinunciare ben presto alla sua ambizione di partenza. Ciò che ho ricostruito, dice, non è più la realtà stessa, ma soltanto un'imitazione del reale, o meglio un'immagine simbolica; l'essenza delle cose ci sfugge e ci sfuggirà sempre, noi ci muoviamo all'interno di relazioni, l'assoluto non è alla nostra portata, fermiamoci di fronte all'inconoscibile. [...]

Bisogna dunque rinunciare ad approfondire la natura della vita? Bisogna attenersi alla rappresentazione meccanicistica che ci verrà sempre restituita dall'intelletto, rappresentazione necessariamente artificiosa e simbolica in quanto riduce l'attività totale della vita alla forma di una certa attività umana, mentre quest'ultima è solo una manifestazione parziale e locale della vita, un effetto o un residuo dell'operazione vitale?

Così dovrebbe essere, se la vita avesse impiegato tutto il suo bagaglio di virtualità psichiche per costruire puri intelletti, cioè per preparare geometri. Ma la linea evolutiva che arriva sino all'uomo non è la sola. Per altre vie, per vie divergenti, si sono sviluppate altre forme di coscienza, che non sono riuscite a liberarsi dalle costrizioni esterne né a venire a capo di se stesse, come nel caso dell'intelligenza umana, ma che ciò nonostante esprimono qualcosa di immanente e di essenziale al movimento evolutivo. E, nel caso in cui venissero messe una accanto all'altra, e poi fuse insieme con l'intelligenza, non si otterrebbe forse una coscienza coestensiva alla vita e capace di ottenere, volgendosi bruscamente contro la spinta vitale che sente dietro di sé, una visione integrale, benché senz'altro evanescente? [...]

Ciò significa che la teoria della conoscenza e la teoria della vita ci sembrano tra loro inseparabili. Una teoria della vita che non si accompagni a una critica della conoscenza è costretta ad accettare, tali e quali, i concetti che l'intelletto mette a sua disposizione: volente o nolente, essa non può altro che racchiudere i fatti entro schemi precostituiti e ritenuti definitivi, ottenendo così un comodo simbolismo, forse anche necessario alla scienza positiva, ma non una visione diretta del suo oggetto. D'altra parte, una teoria della conoscenza che non collochi l'intelligenza all'interno dell'evoluzione generale della vita non ci insegnerà né come si siano costituiti gli schemi della conoscenza, né in che maniera possiamo ampliarli o superarli. È necessario che questi due ambiti di ricerca, la teoria della conoscenza e la teoria della vita, si ricongiungano e, attraverso un processo circolare, si sollecitino reciprocamente e indefinitamente.

Insieme, potranno risolvere con un metodo più sicuro, più vicino all'esperienza, i grandi problemi posti dalla filosofia. Se riuscissero a realizzare la loro impresa comune, ci farebbero infatti assistere alla formazione dell'intelligenza e, con ciò, alla genesi di quella materia la cui configurazione generale è tracciata dalla nostra intelligenza. Raggiungerebbero la radice stessa della natura e dello spirito. Sostituirebbero al falso evoluzionismo di Spencer – che consiste nel suddividere la realtà attuale, già evolutasi, in piccoli frammenti anch'essi già evoluti, e nel ricomporla poi con questi frammenti; il che significa assumere come già dato tutto ciò che si deve ancora spiegare – un evoluzionismo vero, che potrebbe seguire la realtà nel suo generarsi e nel suo accrescersi.

Ma una filosofia di questo genere non potrà costruirsi in un giorno. A differenza di quelli che sono propriamente chiamati sistemi – ciascuno dei quali fu opera di un uomo di genio e proposto come un blocco unitario, da prendere o lasciare – essa potrà nascere solo dallo sforzo collettivo e progressivo di molti pensatori, e anche di molti scienziati, in un lavoro di reciproca integrazione, correzione e rettifica. Né il presente studio pretende di risolvere in un sol colpo i più grandi problemi: vorrebbe semplicemente definire il metodo e far intravedere, su qualche punto essenziale, la possibilità di applicarlo.

Il piano dell'opera è stato tracciato dall'argomento stesso. Nel primo capitolo, proviamo a vedere se al progresso evolutivo possono attagliarsi i due abiti preconfezionati di cui il nostro intelletto dispone, meccanicismo e finalità; dimostriamo che né l'uno né l'altro vanno bene, ma che uno dei due, convenientemente ritagliato, ricucito e con una forma nuova, potrebbe essere meno inadeguato dell'altro. Nel secondo capitolo, e per superare il punto di vista dell'intelletto, tentiamo di ricostituire le grandi linee dell'evoluzione che, accanto a quella che porta all'intelligenza umana, la vita ha percorso. Un'intelligenza viene così ricondotta alla causa che l'ha generata, che a quel punto dovrà essere colta in se stessa e seguita nel suo movimento. Ed è quanto tentiamo di fare, con esiti largamente incompleti, nel terzo capitolo. La quarta e ultima parte ha lo scopo di mostrare come il nostro intelletto, sottoponendosi a una certa disciplina, potrebbe preparare una filosofia che lo superi. A tal fine si è reso necessario uno sguardo sulla storia dei sistemi e, nel contempo, un'analisi delle due grandi illusioni a cui l'intelletto umano si espone nello speculare sulla realtà in generale.


Guida alla lettura


1) Che cosa caratterizza il vivente rispetto alla materia inerte?
Dal testo, emerge che il vivente è caratterizzato da una serie di differenze fondamentali rispetto alla materia inerte:

Inadeguatezza dei concetti logici: Il testo sottolinea che le categorie del nostro pensiero logico (unità, molteplicità, causalità meccanica, finalità intelligente) non si applicano esattamente alle cose della vita. Il vivente non può essere compreso attraverso gli schemi rigidi e precostituiti che si utilizzano per la materia inerte.
Dinamismo e complessità: La vita non può essere racchiusa entro schemi rigidi, che sono troppo stretti per la sua complessità. Il nostro ragionamento, efficace con la materia inerte, si sente a disagio quando si applica al vivente.
Creatività e imprevedibilità: La vita agisce in modi spesso imprevedibili, che l'intelletto umano non avrebbe potuto anticipare attraverso il puro ragionamento. Questo suggerisce una creatività intrinseca nel processo vitale che manca nella materia inerte.
Evoluzione e adattamento: Il vivente si evolve e si adatta alle condizioni di esistenza in modo sempre più preciso e complesso, un aspetto che non è riscontrabile nella materia inerte.
Intelligenza come emanazione della vita: L'intelligenza è vista come un effetto locale dell'evoluzione, un adattamento della coscienza alle condizioni di esistenza. Questo implica che la vita possiede una qualità di adattamento e trasformazione che non appartiene alla materia inerte.
Interrelazione tra teoria della vita e teoria della conoscenza: Una comprensione profonda della vita richiede una critica della conoscenza e viceversa. La materia inerte può essere studiata attraverso concetti logici e schemi predefiniti, mentre il vivente richiede un approccio che integri e superi questi schemi.

Questi punti mostrano chiaramente che il vivente si distingue dalla materia inerte per la sua complessità, capacità di adattamento, creatività, e la necessità di un approccio più flessibile e dinamico per essere compreso.

2) Che cos'è l'intelligenza rispetto al processo evolutivo?
L'intelligenza, rispetto al processo evolutivo, è vista come un prodotto della vita che si è sviluppato attraverso un progresso ininterrotto, lungo una linea che percorre la serie dei vertebrati fino ad arrivare all'uomo. Essa rappresenta un adattamento sempre più preciso e complesso della coscienza degli esseri viventi alle condizioni di esistenza in cui si trovano.

Tuttavia, il testo sottolinea anche i limiti dell'intelligenza umana. Creata dalla vita per agire su cose determinate, l'intelligenza è incapace di comprendere pienamente la vera natura della vita e il significato profondo del movimento evolutivo. Le categorie del pensiero logico, come unità, molteplicità, causalità meccanica e finalità intelligente, non si applicano esattamente alle cose della vita.

Infine, la teoria della conoscenza deve essere integrata con la teoria della vita per comprendere come si siano costituiti gli schemi della conoscenza e in che modo possano essere ampliati o superati. Solo così si può avere una visione più diretta e meno simbolica della realtà evolutiva.

3) Perché la teoria dell'evoluzione ha commesso un errore attribuendo all'intelligenza il compito di comprendere la vita?
La teoria dell'evoluzione ha commesso un errore attribuendo all'intelligenza il compito di comprendere la vita perché, secondo Bergson, l'intelligenza umana, nella sua forma puramente logica, è incapace di rappresentarsi la vera natura della vita e il significato profondo del movimento evolutivo. L'intelligenza è solo un'emanazione della vita, creata in circostanze determinate e per agire su cose determinate. Pertanto, essa non può comprendere la vita stessa, essendone solo una parte e non il tutto. Bergson evidenzia che nessuna delle categorie del nostro pensiero – come unità, molteplicità, causalità meccanica e finalità intelligente – può applicarsi esattamente alle cose della vita. I nostri schemi concettuali sono troppo rigidi e limitati per racchiudere la complessità del vivente. La filosofia evoluzionista, estendendo alla vita i procedimenti esplicativi applicati con successo alla materia bruta, si trova ad affrontare contraddizioni e difficoltà formidabili. Essa ammette infine che ciò che ricostruisce non è la realtà stessa, ma solo un'immagine simbolica di essa, riconoscendo l'inconoscibilità dell'essenza delle cose.

4) Quali sono le altre forme di coscienza emerse nel processo evolutivo?
Secondo il testo, oltre all'intelligenza umana, nel processo evolutivo si sono sviluppate altre forme di coscienza. Queste altre forme di coscienza non sono riuscite a liberarsi dalle costrizioni esterne né a venire a capo di se stesse come è avvenuto per l'intelligenza umana. Tuttavia, esse esprimono qualcosa di immanente ed essenziale al movimento evolutivo. Quando queste forme di coscienza vengono messe accanto all'intelligenza e poi fuse insieme, si ottiene una coscienza coestensiva alla vita, capace di ottenere una visione integrale, anche se evanescente.


Guida alla Comprensione


1) Richiama i punti essenziali della critica di Bergson ai processi analitici dell'intelligenza e spiega in che senso dovrebbe muoversi la coscienza per realizzare una comprensione più profonda della realtà.
Henri Bergson, nel suo saggio "L'evoluzione creatrice", offre una critica dettagliata ai processi analitici dell'intelligenza, che secondo lui sono inadeguati per comprendere la vera natura della vita e il movimento evolutivo. Ecco i punti essenziali della sua critica e la direzione in cui dovrebbe muoversi la coscienza per realizzare una comprensione più profonda della realtà:

Inadeguatezza del Pensiero Logico:

Bergson sostiene che il pensiero logico, pur essendo efficace per comprendere la materia inerte, è incapace di cogliere la vera natura della vita. Il pensiero logico si basa su categorie rigide come unità, molteplicità, causalità meccanica e finalità intelligente, che non possono essere applicate esattamente alle cose viventi. Gli schemi concettuali sono troppo stretti e rigidi per racchiudere la complessità del vivente.

Limiti della Ricostruzione Concettuale:

La filosofia evoluzionista tenta di estendere i procedimenti esplicativi della materia inerte alla vita, ma si scontra con difficoltà e contraddizioni insormontabili. La ricostruzione concettuale della vita risulta in una mera imitazione del reale, un simbolismo artificioso che non può cogliere l'essenza delle cose.

Critica all'Evoluzionismo di Spencer:

Bergson critica l'evoluzionismo di Spencer, che si limita a suddividere la realtà attuale in frammenti già evoluti e a ricomporla, assumendo come dato ciò che deve ancora essere spiegato. Propone invece un vero evoluzionismo, capace di seguire la realtà nel suo generarsi e accrescersi.

Necessità di Integrare Teoria della Conoscenza e Teoria della Vita:

Bergson sostiene che una teoria della vita deve accompagnarsi a una critica della conoscenza. I concetti dell'intelletto devono essere ampliati o superati attraverso un processo circolare in cui la teoria della conoscenza e la teoria della vita si sollecitano reciprocamente.

Coscienza Coestensiva alla Vita:

Per una comprensione più profonda della realtà, Bergson propone che la coscienza umana si fonda con altre forme di coscienza sviluppatesi lungo linee evolutive divergenti. Queste forme di coscienza, pur non riuscendo a liberarsi dalle costrizioni esterne come l'intelligenza umana, esprimono comunque qualcosa di essenziale al movimento evolutivo. Una coscienza integrata potrebbe ottenere una visione più completa della vita, sebbene evanescente.

Disciplina dell'Intelletto e Filosofia Evolutiva:

Bergson conclude che il nostro intelletto, attraverso una certa disciplina, potrebbe preparare una filosofia che lo superi. Questo richiede uno sforzo collettivo e progressivo di molti pensatori e scienziati per integrare, correggere e rettificare continuamente le conoscenze.

In sintesi, Bergson critica la capacità dell'intelligenza analitica di comprendere la vita a causa della sua rigidità concettuale e propone che la coscienza si muova verso una fusione con altre forme di coscienza evolutive per ottenere una comprensione più profonda e integrale della realtà.

2) Quali prospettive indica Bergson alla metafisica intuitiva per la comprensione della vita?
Bergson indica alla metafisica intuitiva diverse prospettive per la comprensione della vita. Prima di tutto, critica l'incapacità del pensiero logico e delle categorie tradizionali (come unità, molteplicità, causalità meccanica e finalità intelligente) di cogliere la vera natura della vita e del movimento evolutivo. Egli sostiene che il pensiero logico, pur efficace nel trattare gli oggetti inerti, non è adatto a comprendere la vita, in quanto è una manifestazione parziale e locale dell'operazione vitale.

Bergson propone che una teoria della vita dovrebbe accompagnarsi a una critica della conoscenza, poiché solo così si potrà evitare di racchiudere i fatti entro schemi precostituiti e simbolici. Egli auspica una teoria della conoscenza che collochi l'intelligenza all'interno dell'evoluzione generale della vita, permettendo di comprendere come si siano costituiti gli schemi della conoscenza e come possano essere ampliati o superati.

L'approccio di Bergson prevede una collaborazione continua tra la teoria della conoscenza e la teoria della vita, sollecitandosi reciprocamente per risolvere i grandi problemi della filosofia. Egli suggerisce un metodo evolutivo vero che segua la realtà nel suo generarsi e accrescersi, in contrapposizione al falso evoluzionismo di Spencer, che suddivide la realtà attuale in frammenti già evoluti.

Infine, Bergson riconosce che una filosofia che superi i limiti dell'intelletto non potrà essere costruita in un giorno, ma richiederà lo sforzo collettivo e progressivo di molti pensatori e scienziati, in un lavoro di reciproca integrazione, correzione e rettifica. Il suo studio mira a definire il metodo e a mostrare, su alcuni punti essenziali, la possibilità di applicarlo per comprendere la vita in modo più diretto e integrale.

3) In che senso la metafisica deve contrapporsi al falso evoluzionismo? Si tratta di una prospettiva di contrapposizione o di integrazione?
La metafisica deve contrapporsi al falso evoluzionismo nel senso di una prospettiva di integrazione. Nel testo, Bergson suggerisce che la filosofia deve superare il falso evoluzionismo di Spencer, che considera la realtà come una serie di frammenti già evoluti. Invece, propone un evoluzionismo vero, che segua la realtà nel suo generarsi e nel suo accrescersi. Questo implica un'approccio più dinamico e integrato alla comprensione dell'evoluzione, dove la metafisica si impegna a integrare la teoria della conoscenza e la teoria della vita, lavorando insieme ad altri pensatori e scienziati per sviluppare un metodo più sicuro e vicino all'esperienza nel risolvere i grandi problemi filosofici. Quindi, la contrapposizione al falso evoluzionismo è finalizzata a un'evoluzione più autentica e completa della comprensione della realtà, che richiede un approccio integrato e collaborativo.

Fonti: Zanichetti, libri scolastici superiori

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