Karl Marx - Forza-lavoro e plusvalore


Immagine Karl Marx
1) Introduzione
2) Lettura
3) Guida alla lettura
4) Guida alla Comprensione

Introduzione


Nel maggio del 1865, davanti al Consiglio Generale dell'Internazionale Operaia a Londra, Marx presentò un discorso affrontando temi cruciali come il valore del salario, il prezzo e il profitto. Nella seconda parte del suo intervento, propose di esporre in modo accessibile alcune delle principali tesi contenute nel primo libro de Il Capitale, che stava allora perfezionando in vista della pubblicazione. Il frutto di questo sforzo venne pubblicato postumo nel 1888 dalla figlia Eleanor, e nelle edizioni successive assunse il titolo "Salario, Prezzo, Profitto". Nei due capitoli qui presentati, Marx illustra con grande chiarezza due concetti fondamentali: la determinazione del valore della forza-lavoro e la realizzazione del plusvalore nel processo produttivo.


Lettura


La forza-lavoro

Ora che abbiamo esaminato, per quanto era possibile farlo nei limiti di una esposizione così rapida, la natura del valore, del valore di una merce qualsiasi, dobbiamo portare la nostra attenzione sul valore specifico del lavoro. E ancora una volta dovrò destare la vostra sorpresa con un apparente paradosso. Tutti voi siete del tutto sicuri che quello che vendete quotidianamente è il vostro lavoro; che perciò il lavoro ha un prezzo, e che, poiché il prezzo di una merce è solo la espressione del suo valore in denaro, deve esistere certamente qualcosa come un valore del lavoro. Eppure non esiste una cosa come il valore del lavoro, nel senso comune della parola. Abbiamo visto che la quantità di lavoro necessario incorporata in una merce forma il valore di essa.

Applicando questo concetto del valore, come potremmo, per esempio, determinare il valore di una giornata di lavoro di dieci ore? Quanto lavoro è contenuto i questa giornata? Dieci ore di lavoro. Dire che il valore di una giornata di lavoro di dieci ore è uguale a dieci ore di lavoro, o alla quantità di lavoro in essa contenuta, è una affermazione tautologica e, inoltre, una affermazione assurda. Naturalmente, una volta che abbiamo scoperto il senso vero, ma nascosto, della espressione «valore del lavoro», saremo in grado di chiarire questa applicazione irrazionale e apparentemente impossibile del valore, allo stesso modo che siamo in grado di spiegare i movimenti apparenti, ossia puramente fenomenici, dei corpi celesti, non appena abbiamo scoperto i loro movimenti reali.

Ciò che l’operaio vende non è direttamente il suo lavoro, ma la sua forza-lavoro, che egli mette temporaneamente a disposizione del capitalista. Ciò è tanto vero, che la legge, non so se la legge inglese, ma certamente la legge di alcuni paesi del Continente, fissa il massimo di tempo durante il quale un uomo può vendere la sua forza-lavoro. Se fosse permesso all’uomo di vendere la sua forza-lavoro per un tempo illimitato, la schiavitù sarebbe di colpo ristabilita. Una tale vendita, se fosse conclusa, per esempio, per tutta la vita farebbe senz’altro, dell’uomo lo schiavo a vita del suo imprenditore.

Thomas Hobbes, uno dei più antichi economisti e uno dei più originali filosofi inglesi, nel suo Leviathan, era già istintivamente arrivato a questo punto, che sfuggì a tutti i suoi successori. Egli disse: «Il valore di un uomo è, come per tutte le altre cose, il suo prezzo: cioè è quel tanto che viene dato per l’uso della sua forza». Se partiamo da questo principio, saremo in grado di determinare il valore del lavoro come determiniamo quello di ogni altra merce.

Prima però di farlo, potremmo chiedere da che dipende questo fenomeno curioso, per cui troviamo sul mercato un gruppo di compratori che posseggono terra, macchine, materie prime e i mezzi di sussistenza, tutte cose che, all’infuori del suolo al suo stato naturale, sono prodotti del lavoro, e d’altra parte un gruppo di venditori che non hanno altro da vendere che la loro forza-lavoro, le loro braccia e il loro cervello lavoranti. Come avviene che un gruppo compera continuamente, per realizzare profitto e per arricchirsi, mentre l’altro gruppo vende continuamente per guadagnare il proprio sostentamento?

L’esame di questa questione sarebbe un esame di ciò che gli economisti chiamano «accumulazione primitiva od originaria», ma che dovrebbe però chiamarsi espropriazione primitiva. Troveremmo che la cosiddetta accumulazione primitiva non significa altro che una serie di processi storici i quali si conclusero con la dissociazione dell’unità primitiva che esisteva fra il lavoratore e i suoi mezzi di lavoro. Una ricerca di questo genere esce però dai limiti del mio tema attuale. [...]

Che cos’è, dunque, il valore della forza-lavoro? Come per ogni altra merce, il suo valore è determinato dalla quantità di lavoro necessaria per la sua produzione. La forza-lavoro di un uomo consiste unicamente nella sua personalità vivente. Affinché un uomo possa crescere e conservarsi in vita, deve consumare una determinata quantità di generi alimentari. Ma l’uomo, come la macchina, si logora, e deve essere sostituito da un altro uomo. In più della quantità di oggetti d’uso corrente, di cui egli ha bisogno per il suo proprio sostentamento, egli ha bisogno di un’altra quantità di oggetti d’uso corrente, per allevare un certo numero di figli, che debbono rimpiazzarlo sul mercato del lavoro e perpetuare la razza degli operai. Inoltre, per lo sviluppo della sua forza-lavoro e per l’acquisto di una certa abilità, deve essere spesa ancora una nuova somma di valori. Per i nostri scopi sarà sufficiente considerare solamente un lavoro medio, i cui costi di istruzione e di perfezionamento sono grandezze del tutto trascurabili. [...] Da quanto abbiamo esposto risulta che il valore della forza-lavoro è determinato dal valore degli oggetti d’uso corrente che sono necessari per produrla, svilupparla, conservarla e perpetuarla.

La produzione del plusvalore

Supponiamo ora che la produzione della quantità media di oggetti correnti necessari alla vita di un operaio richieda sei ore di lavoro medio. Supponiamo inoltre che sei ore di lavoro medio siano incorporate in una quantità d’oro uguale a tre scellini.

In questo caso tre scellini sarebbero il prezzo o l’espressione monetaria del valore giornaliero della forza-lavoro di quell’uomo. Se egli lavorasse sei ore al giorno, produrrebbe ogni giorno un valore sufficiente per comperare la quantità media degli oggetti di cui ha bisogno quotidianamente, cioè per conservarsi come operaio.

Ma il nostro uomo è un operaio salariato. Perciò deve vendere la sua forza-lavoro a un capitalista. Se la vende a tre scellini al giorno, o diciotto scellini la settimana, la vende secondo il suo valore. Supponiamo che egli sia un filatore. Se egli lavora sei ore al giorno, aggiunge al cotone un valore di tre scellini al giorno. Questo valore che egli aggiunge giornalmente al cotone costituirebbe un equivalente esatto del salario, o del prezzo, che egli riceve giornalmente per la sua forza-lavoro. In questo caso però il capitalista non riceverebbe nessun plusvalore, o nessun sopraprodotto. Qui urtiamo nella vera difficoltà.

Comperando la forza-lavoro dell’operaio e pagandone il valore, il capitalista, come qualsiasi altro compratore, ha acquistato il diritto di consumare o di usare la merce ch’egli ha comperato. Si consuma o si usa la forza-lavoro di un uomo facendolo lavorare, allo stesso modo che si consuma o si usa una macchina mettendola in movimento. Comperando il valore giornaliero o settimanale della forza-lavoro dell’operaio, il capitalista ha dunque acquistato il diritto di fare uso della forza-lavoro, cioè farla lavorare, per tutto il giorno o per tutta la settimana. La giornata di lavoro o la settimana di lavoro hanno, naturalmente, certi limiti; ma su questo punto ritorneremo in seguito. Per ora voglio attirare la vostra attenzione su un punto decisivo.

Il valore della forza-lavoro è determinato dalla quantità di lavoro necessaria per la sua conservazione o riproduzione, ma l’uso di questa forza-lavoro trova un limite soltanto nelle energie vitali e nella forza fisica dell’operaio. Il valore giornaliero o settimanale della forza-lavoro è una cosa completamente diversa dall’esercizio giornaliero o settimanale di essa, allo stesso modo che sono due cose del tutto diverse il foraggio di cui un cavallo ha bisogno e il tempo per cui esso può portare il cavaliere. La quantità di lavoro da cui è limitato il valore della forza-lavoro dell’operaio, non costituisce in nessun caso un limite per la quantità di lavoro che la sua forza-lavoro può eseguire.

Prendiamo l’esempio del nostro filatore. Abbiamo visto che, per rinnovare giornalmente la sua forza-lavoro, egli deve produrre un valore giornaliero di tre scellini, al che egli perviene lavorando, sei ore al giorno. Ma ciò non lo rende incapace di lavorare dieci o dodici o più ore al giorno. Pagando il valore giornaliero o settimanale della forza-lavoro del filatore, il capitalista ha acquistato il diritto di usare questa forza-lavoro per tutto il giorno o per tutta la settimana. Perciò, egli lo farà lavorare, supponiamo, dodici ore al giorno.

Oltre le sei ore che gli sono necessarie per produrre l’equivalente del suo salario, cioè del valore della sua forza-lavoro, il filatore dovrà dunque lavorare altre sei ore, che io chiamerò le ore di pluslavoro, e questo pluslavoro si incorporerà in un plusvalore e in un sopraprodotto. Se per esempio il nostro filatore, con un lavoro giornaliero di sei ore, ha aggiunto al cotone un valore di tre scellini, un valore che rappresenta un equivalente esatto del suo salario, in dodici ore egli aggiungerà al cotone un valore di sei scellini e produrrà una corrispondente maggiore quantità di filo. Poiché egli ha venduto la sua forza-lavoro al capitalista, l’intero valore, cioè il prodotto da lui creato, appartiene al capitalista, che è, per un tempo determinato, il padrone della sua forza-lavoro.

Il capitalista dunque, anticipando tre scellini, otterrà un valore di sei scellini, perché, anticipando un valore in cui sono cristallizzate sei ore di lavoro, egli ottiene, invece, un valore in, cui sono cristallizzate dodici ore di lavoro. Se egli ripete questo processo quotidianamente il capitalista anticipa ogni giorno tre scellini e ne intasca sei, di cui una metà sarà nuovamente impiegata per pagare nuovi salari, e l’altra metà formerà il plusvalore, per il quale il capitalista non paga nessun equivalente.

È su questa forma di scambio tra capitale e lavoro che la produzione capitalistica o il sistema del salariato è fondato, e che deve condurre a riprodurre continuamente l’operaio come operaio e il capitalista come capitalista. Il saggio del plusvalore dipenderà, restando uguali tutte le altre circostanze, dal rapporto fra quella parte della giornata di lavoro necessaria per riprodurre il valore della forza-lavoro, e il tempo di lavoro supplementare o pluslavoro impiegato per il capitalista. Esso dipenderà quindi dalla misura in cui la giornata di lavoro verrà prolungata oltre il tempo durante il quale l’operaio per mezzo del suo lavoro riproduce unicamente il valore della sua forza-lavoro, cioè fornisce l’equivalente del suo salario.


Guida alla lettura


1) Che cosa si nasconde, secondo Marx, dietro l’espressione comune «valore del lavoro»?
Secondo Marx, l'espressione comune "valore del lavoro" nasconde un concetto errato. Egli spiega che ciò che l'operaio vende non è direttamente il suo lavoro, bensì la sua forza-lavoro, che temporaneamente mette a disposizione del capitalista. Questo concetto è fondamentale perché sottolinea la distinzione tra il lavoro stesso e la capacità lavorativa dell'operaio, che è ciò che effettivamente viene acquistato e utilizzato dal capitalista per produrre valore aggiunto.

2) Quale merito Marx attribuisce a Thomas Hobbes?
Marx attribuisce a Thomas Hobbes il merito di aver intuito, nel suo lavoro "Leviathan", il concetto che il valore di un individuo, così come per qualsiasi altra cosa, è determinato dal prezzo della sua forza-lavoro, cioè dal costo per utilizzare la sua forza. Hobbes afferma che il valore di un uomo è il prezzo che viene dato per l'uso della sua forza. Quindi, Marx riconosce che Hobbes aveva anticipato concettualmente l'idea che il valore della forza-lavoro è un elemento centrale nel sistema economico.

3) Che cosa intende Marx per «accumulazione primitiva e originaria»?
Marx usa il termine "accumulazione primitiva od originaria" per riferirsi ai processi storici che hanno portato alla separazione tra il lavoratore e i suoi mezzi di lavoro. Questo fenomeno ha comportato la dissociazione dell'unità primitiva che esisteva tra il lavoratore e i suoi strumenti di lavoro. Tuttavia, Marx sostiene che tale processo dovrebbe essere chiamato "espropriazione primitiva", poiché non si tratta di un accumulo spontaneo o naturale di risorse, ma piuttosto di un processo di espropriazione dei mezzi di produzione dalla classe lavoratrice da parte di coloro che controllavano il capitale.

4) Da che cosa è determinato il valore della forzalavoro?
Il valore della forza-lavoro è determinato dalla quantità di lavoro necessaria per la sua conservazione o riproduzione. Secondo il testo, questo valore non è definito dalle ore di lavoro che un individuo può svolgere, piuttosto dalla quantità di lavoro richiesta per mantenere in vita e riprodurre la forza-lavoro stessa.

5) Che cosa intende Marx con «lavoro medio»?
Nel testo, Marx usa il termine "lavoro medio" per indicare una quantità standard di lavoro necessaria per produrre un certo risultato. Ad esempio, quando discute il valore della forza-lavoro, menziona che per il nostro scopo sarà sufficiente considerare solo un "lavoro medio", i cui costi di istruzione e di perfezionamento sono trascurabili. Quindi, per Marx, il concetto di "lavoro medio" rappresenta una misura standardizzata di lavoro che non tiene conto delle variazioni individuali nell'istruzione o nella perizia dei lavoratori.

6) Che cosa compra, propriamente, il capitalista sul mercato del lavoro?
Il capitalista, sul mercato del lavoro, compra la forza-lavoro dell'operaio. Questo viene specificato nel testo quando si afferma che "comperando la forza-lavoro dell’operaio e pagandone il valore, il capitalista [...] ha acquistato il diritto di consumare o di usare la merce ch’egli ha comperato", dove la merce è la forza-lavoro dell'operaio.

7) Definisci i concetti di pluslavoro e plusvalore.
Il concetto di pluslavoro si riferisce al lavoro svolto dall'operaio oltre il tempo necessario per riprodurre il valore della sua forza-lavoro, cioè il tempo impiegato per produrre il salario che riceve. In altre parole, è il lavoro non retribuito che l'operaio compie per il datore di lavoro al di là del tempo necessario a produrre il proprio sostentamento.

Il plusvalore, invece, è il valore aggiunto al prodotto dalla forza-lavoro dell'operaio durante il pluslavoro. È la differenza tra il valore prodotto dal lavoro dell'operaio e il valore del salario pagato per il suo impiego. Questo plusvalore appartiene al datore di lavoro, che lo sfrutta come fonte di profitto.

Nel testo, Marx illustra come il capitalista, pagando il valore della forza-lavoro dell'operaio, acquista il diritto di utilizzare questa forza-lavoro per un tempo determinato. L'operaio, oltre a produrre il valore equivalente al suo salario, svolge ulteriore lavoro non pagato che si traduce in plusvalore, generando profitto per il datore di lavoro.


Guida alla Comprensione


1) Come mai in Inghilterra l’operario è un uomo libero e non uno schiavo?
In Inghilterra, l'operaio è considerato un uomo libero anziché uno schiavo principalmente perché esiste una legge che limita il tempo durante il quale un individuo può vendere la propria forza-lavoro. Questa legge, menzionata nel testo, stabilisce un massimo di tempo per la vendita della forza-lavoro. Se non ci fosse tale limite, il testo suggerisce che la schiavitù potrebbe essere ristabilita, poiché consentirebbe agli individui di vendere la propria forza-lavoro per un periodo illimitato, trasformandoli così in schiavi a vita dei loro datori di lavoro. Questo concetto è anche supportato dalla citazione di Thomas Hobbes, che definisce il valore di un uomo come il prezzo per l'uso della sua forza-lavoro. Pertanto, in Inghilterra, l'operaio è considerato libero perché, nonostante vendano la loro forza-lavoro, sono soggetti a regolamenti che impediscono il loro sfruttamento illimitato e la loro riduzione in schiavitù.

2) Spiega come mai se un operaio lavora per lo stesso tempo che è necessario a produrre il suo salario il capitalista non ci guadagna niente.
Se un operaio lavora per lo stesso tempo necessario a produrre il suo salario, il capitalista non ci guadagna nulla perché in quel caso il lavoro dell'operaio produrrebbe solo il valore necessario per ripagare il salario stesso, senza generare alcun plusvalore aggiuntivo per il capitalista. Questo significa che l'operaio sarebbe pagato esattamente per il valore del suo lavoro e non ci sarebbe alcuna "pluslavoro" incorporato nel prodotto.

Il concetto di plusvalore, come descritto nel testo, si riferisce alla parte del lavoro che l'operaio svolge oltre il tempo necessario per produrre il valore del suo salario. È questo pluslavoro che genera valore aggiuntivo, il quale diventa il profitto del capitalista. Se l'operaio lavorasse solo per il tempo necessario a produrre il valore del suo salario, non ci sarebbe alcun surplus di valore da cui il capitalista potrebbe trarre profitto.

3) Ricostruisci l’intero processo che permette al capitalista di ottenere, alla fine del ciclo di produzione, un valore doppio di quello che ha anticipato all’operaio come salario.
Il capitalista ottiene alla fine del ciclo di produzione un valore doppio di quello anticipato all'operaio come salario grazie al processo di sfruttamento della forza-lavoro. Inizialmente, il capitalista paga all'operaio un salario che corrisponde al valore della sua forza-lavoro, ad esempio, tre scellini al giorno. L'operaio, però, lavora oltre il tempo necessario per produrre il valore del suo salario. Le ore aggiuntive di lavoro, chiamate pluslavoro, non vengono compensate dal salario, ma il loro prodotto appartiene al capitalista.

Ad esempio, se l'operaio lavora dodici ore al giorno, mentre sei ore di lavoro sono necessarie per produrre il valore del suo salario, le restanti sei ore di lavoro generano un valore aggiuntivo, il plusvalore. Se supponiamo che il valore del salario sia di tre scellini, il filatore aggiunge al cotone un valore di sei scellini durante le dodici ore di lavoro. Poiché ha venduto la sua forza-lavoro al capitalista, l'intero valore creato, compreso il plusvalore, appartiene al capitalista.

In questo modo, il capitalista ottiene un valore doppio di quello anticipato all'operaio come salario, poiché anticipando un valore in cui sono cristallizzate sei ore di lavoro, egli ottiene un valore in cui sono cristallizzate dodici ore di lavoro. Quindi, il capitalista ottiene il plusvalore senza pagare alcun equivalente per esso, poiché il valore del lavoro aggiuntivo oltre il salario viene sfruttato a suo vantaggio.

Fonti: Zanichetti, libri scolastici superiori

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