Parafrasi e Analisi: "Canto XIII" - Purgatorio - Divina Commedia - Dante Alighieri


Immagine Dante Alighieri
1) Scheda dell'Opera
2) Introduzione
3) Testo e Parafrasi
4) Riassunto
5) Figure Retoriche
6) Analisi ed Interpretazioni
7) Passi Controversi

Scheda dell'Opera


Autore: Dante Alighieri
Prima Edizione dell'Opera: 1321
Genere: Poema
Forma metrica: Costituita da tre versi di endecasillabi. Il primo e il terzo rimano tra loro, il secondo rima con il primo e il terzo della terzina successiva.



Introduzione


Il Canto XIII del Purgatorio rappresenta un momento di profonda riflessione morale e spirituale all'interno del cammino di purificazione di Dante. In questa tappa, il tema centrale è il peccato dell'invidia, una colpa che nasce dal desiderio maligno di vedere il prossimo privato dei suoi beni o della sua felicità. L'invidia viene qui indagata non solo come vizio personale, ma anche come elemento che mina la coesione sociale, radicandosi nel cuore umano e generando divisioni.

Attraverso immagini simboliche e dialoghi significativi, Dante esplora la sofferenza di chi, in vita, ha ceduto a questo vizio, ponendo in evidenza le dinamiche spirituali che portano alla sua espiazione. Il canto invita a riflettere sull'importanza della carità, intesa come amore per il prossimo, quale antidoto all'invidia, e sull'umiltà come via per il superamento delle rivalità e delle gelosie che spesso corrodono i rapporti umani.

In questo scenario, il percorso di Dante e Virgilio si fa sempre più intimo e universale, guidando il lettore a una comprensione più profonda dei meccanismi che regolano il peccato e la redenzione nel contesto della Commedia.


Testo e Parafrasi


Noi eravamo al sommo de la scala,
dove secondamente si risega
lo monte che salendo altrui dismala.

Ivi così una cornice lega
dintorno il poggio, come la primaia;
se non che l'arco suo più tosto piega.

Ombra non lì è né segno che si paia:
parsi la ripa e parsi la via schietta
col livido color de la petraia.

«Se qui per dimandar gente s'aspetta»,
ragionava il poeta, «io temo forse
che troppo avrà d'indugio nostra eletta».

Poi fisamente al sole li occhi porse;
fece del destro lato a muover centro,
e la sinistra parte di sé torse.

«O dolce lume a cui fidanza i' entro
per lo novo cammin, tu ne conduci»,
dicea, «come condur si vuol quinc' entro.

Tu scaldi il mondo, tu sovr' esso luci;
s'altra ragione in contrario non ponta,
esser dien sempre li tuoi raggi duci».

Quanto di qua per un migliaio si conta,
tanto di là eravam noi già iti,
con poco tempo, per la voglia pronta;

e verso noi volar furon sentiti,
non però visti, spiriti parlando
a la mensa d'amor cortesi inviti.

La prima voce che passò volando
'Vinum non habent' altamente disse,
e dietro a noi l'andò reïterando.

E prima che del tutto non si udisse
per allungarsi, un'altra 'I' sono Oreste'
passò gridando, e anco non s'affisse.

«Oh!», diss' io, «padre, che voci son queste?».
E com' io domandai, ecco la terza
dicendo: 'Amate da cui male aveste'.

E 'l buon maestro: «Questo cinghio sferza
la colpa de la invidia, e però sono
tratte d'amor le corde de la ferza.

Lo fren vuol esser del contrario suono;
credo che l'udirai, per mio avviso,
prima che giunghi al passo del perdono.

Ma ficca li occhi per l'aere ben fiso,
e vedrai gente innanzi a noi sedersi,
e ciascun è lungo la grotta assiso».

Allora più che prima li occhi apersi;
guarda'mi innanzi, e vidi ombre con manti
al color de la pietra non diversi.

E poi che fummo un poco più avanti,
udia gridar: 'Maria, òra per noi':
gridar 'Michele' e 'Pietro' e 'Tutti santi'.

Non credo che per terra vada ancoi
omo sì duro, che non fosse punto
per compassion di quel ch'i' vidi poi;

ché, quando fui sì presso di lor giunto,
che li atti loro a me venivan certi,
per li occhi fui di grave dolor munto.

Di vil ciliccio mi parean coperti,
e l'un sofferia l'altro con la spalla,
e tutti da la ripa eran sofferti.

Così li ciechi a cui la roba falla,
stanno a' perdoni a chieder lor bisogna,
e l'uno il capo sopra l'altro avvalla,

perché 'n altrui pietà tosto si pogna,
non pur per lo sonar de le parole,
ma per la vista che non meno agogna.

E come a li orbi non approda il sole,
così a l'ombre quivi, ond' io parlo ora,
luce del ciel di sé largir non vole;

ché a tutti un fil di ferro i cigli fóra
e cusce sì, come a sparvier selvaggio
si fa però che queto non dimora.

A me pareva, andando, fare oltraggio,
veggendo altrui, non essendo veduto:
per ch'io mi volsi al mio consiglio saggio.

Ben sapev' ei che volea dir lo muto;
e però non attese mia dimanda,
ma disse: «Parla, e sie breve e arguto».

Virgilio mi venìa da quella banda
de la cornice onde cader si puote,
perché da nulla sponda s'inghirlanda;

da l'altra parte m'eran le divote
ombre, che per l'orribile costura
premevan sì, che bagnavan le gote.

Volsimi a loro e: «O gente sicura»,
incominciai, «di veder l'alto lume
che 'l disio vostro solo ha in sua cura,

se tosto grazia resolva le schiume
di vostra coscïenza sì che chiaro
per essa scenda de la mente il fiume,

ditemi, ché mi fia grazioso e caro,
s'anima è qui tra voi che sia latina;
e forse lei sarà buon s'i' l'apparo».

«O frate mio, ciascuna è cittadina
d'una vera città; ma tu vuo' dire
che vivesse in Italia peregrina».

Questo mi parve per risposta udire
più innanzi alquanto che là dov' io stava,
ond' io mi feci ancor più là sentire.

Tra l'altre vidi un'ombra ch'aspettava
in vista; e se volesse alcun dir 'Come?',
lo mento a guisa d'orbo in sù levava.

«Spirto», diss' io, «che per salir ti dome,
se tu se' quelli che mi rispondesti,
fammiti conto o per luogo o per nome».

«Io fui sanese», rispuose, «e con questi
altri rimendo qui la vita ria,
lagrimando a colui che sé ne presti.

Savia non fui, avvegna che Sapìa
fossi chiamata, e fui de li altrui danni
più lieta assai che di ventura mia.

E perché tu non creda ch'io t'inganni,
odi s'i' fui, com' io ti dico, folle,
già discendendo l'arco d'i miei anni.

Eran li cittadin miei presso a Colle
in campo giunti co' loro avversari,
e io pregava Iddio di quel ch'e' volle.

Rotti fuor quivi e vòlti ne li amari
passi di fuga; e veggendo la caccia,
letizia presi a tutte altre dispari,

tanto ch'io volsi in sù l'ardita faccia,
gridando a Dio: "Omai più non ti temo!",
come fé 'l merlo per poca bonaccia.

Pace volli con Dio in su lo stremo
de la mia vita; e ancor non sarebbe
lo mio dover per penitenza scemo,

se ciò non fosse, ch'a memoria m'ebbe
Pier Pettinaio in sue sante orazioni,
a cui di me per caritate increbbe.

Ma tu chi se', che nostre condizioni
vai dimandando, e porti li occhi sciolti,
sì com' io credo, e spirando ragioni?».

«Li occhi», diss' io, «mi fieno ancor qui tolti,
ma picciol tempo, ché poca è l'offesa
fatta per esser con invidia vòlti.

Troppa è più la paura ond' è sospesa
l'anima mia del tormento di sotto,
che già lo 'ncarco di là giù mi pesa».

Ed ella a me: «Chi t'ha dunque condotto
qua sù tra noi, se giù ritornar credi?».
E io: «Costui ch'è meco e non fa motto.

E vivo sono; e però mi richiedi,
spirito eletto, se tu vuo' ch'i' mova
di là per te ancor li mortai piedi».

«Oh, questa è a udir sì cosa nuova»,
rispuose, «che gran segno è che Dio t'ami;
però col priego tuo talor mi giova.

E cheggioti, per quel che tu più brami,
se mai calchi la terra di Toscana,
che a' miei propinqui tu ben mi rinfami.

Tu li vedrai tra quella gente vana
che spera in Talamone, e perderagli
più di speranza ch'a trovar la Diana;

ma più vi perderanno li ammiragli».
Io e Virgilio eravamo giunti in cima alla scala,
là dove per la seconda volta è tagliato tutto intorno il monte
del Purgatorio, che purifica dai peccati chi lo scala.

In quel punto una cornice circonda
la montagna, così come faceva la prima cornice;
se non per il fatto che la sua curva è più stretta.

Non c'è lì né ombra né traccia alcuna che appaia alla vista:
appaiono soltanto la parete del monte e la nuda strada,
nel colore livido della pietra.

"Se aspettiamo qui l'arrivo di qualche anima per chiedere la
direzione da prendere", ragionava Virgilio, "temo che forse
la nostra decisione verrà ritardata troppo."

Fissò poi lo sguardo sul sole;
fece perno sul lato destro del suo corpo,
e girò la parte sinistra in quella direzione.

"O dolce luce, per fiducia nella quale io intraprendo
il cammino in questo territorio ignoto, guidaci",
disse, "come conviene essere guidati in questo regno.

Tu riscaldi il mondo, tu risplendi sopra di esso;
se nessun altro motivo ci spinge in un'altra direzione,
i tuoi raggi devono essere sempre la nostra guida."

Un distanza pari a quella che sulla terra corrisponde al miglio
avevamo già percorso lungo quel sentiero,
in breve tempo, tanta era la nostra volontà di salire;

quando udimmo volare verso di noi,
senza però riuscire a vederli, spiriti che con le loro parole
ci lanciavano cortesi inviti alla mensa dell'amore divino.

La prima voce che passò volando
sopra di noi disse "Non hanno vino", e continuò
a ripeterlo anche dietro a noi, dopo averci superato.

E prima che il suo suono non fosse più udibile
per la distanza, un'altra "Io sono Oreste" gridò
passando oltre, ed anche questa non si interruppe.

Chiesi a Virgilio "Padre, che voci sono queste che sentiamo?"
E non appena ebbi formulato la domanda, ecco passare una
terza voce che disse: "Amate coloro dai quali avete ricevuto del male".

Il mio buon maestro mi rispose: "Questa cornice purifica
la colpa dell'invidia, e per questo motivo
gli incitamenti alla purificazione sono esempi d'amore.

Il freno che trattiene dal peccato è rappresentato da frasi di
senso opposto; credo che udirai esempi di invidia punita
prima di arrivare al passaggio che porta alla cornice successiva.

Ma guarda attentamente dinnanzi a te:
vedrai davanti a noi delle anime sedute,
ciascuna appoggiata alla parete rocciosa del monte."

Aprii allora gli occhi più di prima;
guardai dinnanzi a me e vidi spiriti coperti da mantelli
di colore identico a quello della pietra.

E dopo che fummo avanzati ancora un poco,
li sentii gridare: "Maria, prega per noi":
e li sentii invocare "Michele", "Pietro" e "Tutti i santi".

Non credo che esista sulla terra
un uomo tanto spietato da non provare
compassione alla vista di ciò che vidi subito dopo;

perché, quando fui giunto vicino a loro abbastanza
da riuscire a distinguere chiaramente la loro condizione,
il profondo dolore che provai mi costrinse a versare lacrime.

Mi apparvero ricoperti da un ruvido cilicio,
e si sostenevano l'un l'altro con la spalla,
e tutti erano sorretti dalla parete.

Questo stesso atteggiamento viene assunto dai ciechi, a cui
manca il necessario per vivere, durante le feste religiose per
chiedere l'elemosina, ed ognuno tiene il capo chino sul proprio vicino,

così da riuscire a suscitare pietà nelle altre persone,
non solo con il lamento delle loro parole,
ma anche con il loro aspetto, che non ne ispira di meno.

E come ai ciechi non arriva la luce del sole,
così agli spiriti di questa cornice, di cui sto parlando ora,
la luce del sole non si concede;

poiché un filo di ferro attraversa le palpebre di tutte le anime
cucendole, così come viene fatto con gli sparvieri selvaggi
perché non stanno tranquilli.

Mi sembrava, camminando oltre, di fare una scortesia,
perché io li vedevo senza essere visto a mia volta:
mi voltai pertanto verso il mio saggio consigliere.

Egli aveva già ben compreso che cosa significasse il mio
silenzio; non attese perciò la mia domanda
ma mi disse subito: "Parla loro, in modo breve ma efficace".

Virgilio procedeva al mio fianco da quella parte
della cornice da cui si può cadere giù,
non essendo circondata da nessuna sponda;

dall'altra parte si trovavano le anime devote,
intente a pregare, le cui lacrime spingevano contro
l'orribile cucitura tanto da riuscire infine a bagnare le guance.

Mi rivolsi loro e "O anime sicure",
cominciai a dire, "di vedere Dio, unico
desiderio di cui vi curate,

possa la Grazia divina detergere subito dalle scorie
del peccato la vostra coscienza, così che limpido,
attraverso di essa, possa scorrere il fiume della memoria,

ditemi, perché sarebbe per me cosa molto gradita,
se si trova tra di voi una anima italiana;
e forse per lei sarà un bene se lo vengo a sapere."

"Fratello mio, ognuna di queste anime è cittadina
dell'unica vera città, quella di Dio; ma tu intendi dire
che visse in Italia quando fu al mondo."

Queste parole mi sembrò di udire per risposta,
provenienti da un luogo poco oltre a dove mi trovavo,
feci pertanto sentire la mia voce ancora più in là.

Tre le altre, vidi uno spirito nell'atteggiamento di chi aspetta;
e se qualcuno domandasse quale fosse tale atteggiamento,
teneva il mento sollevato come fanno i ciechi.

Gli dissi: "Spirito, che per salire in cielo ti sottometti a queste
pene, se sei colui che mi ha risposto, fatti conoscere,
dicendomi o il tuo luogo di nascita o il tuo nome."

Rispose l'invidioso: "Fui un abitante di Siena, e con queste
altre anime pongo qui rimedio alla mia vita colpevole,
implorando con le lacrime Dio perché si conceda a noi.

Non fui saggia in vita, nonostante che Sapìa (Savia)
fosse il mio nome, e fui delle disgrazie altrui
molto più contenta che della mia buona sorte.

E perché tu non creda che io non ti stia dicendo la verità,
ascolta come fui, come ti racconterò, sconsiderata,
quando ero già nella seconda parte della mia vita.

I miei concittadini si trovavano a Colle di Val d'elsa
intenti in uno scontro con i loro avversari, i fiorentini, ed io
pregavo Dio perché accadesse ciò che in effetti volle, e accadde.

I senesi furono sbaragliati e costretti a percorrere l'amara
via della fuga; e vedendoli inseguiti dai vincitori,
provai una gioia che non era paragonabile a nessuna altra,

tanto che in tono di sfida rivolsi al cielo il mio viso,
e gridai a Dio: "Ormai non ho più paura di te!",
come fa il merlo che in inverno canta l'arrivo della primavera dopo solo pochi giorni di sole.

Mi riappacificai con Dio quando ero oramai alla fine
della mia vita; e non sarebbe ancora diminuito il mio giusto
debito con lui grazie alla penitenza che sto subendo,

se non fosse che mi ricordò
nelle sue devote preghiere Pier Pettinaio,
al quale, per la sua bontà, dispiacque per me.

Ma dimmi adesso che sei tu, che le nostre condizioni
ci chiedi, che hai gli occhi liberi dal filo di ferro,
come immagino che sia, e che parli respirando?"

Gli risposi "Anche a me sarà tolta qui la vista,
ma solo per un breve periodo, perché sono poche le volte
che l'ho usata erroneamente con l'invidia.

Maggiore è la paura che attanaglia la mia anima
per il tormento della prima cornice, tanto che già
mi sembra di sentire addosso il peso che si porta laggiù".

Mi domando ancora Sapìa: "Chi ti ha allora condotto
qua su tra noi, se sei convinto di ritornare di sotto?"
Ed io risposi: "Costui che è qui con me ma non parla.

Sappi anche che sono vivo; chiedimelo perciò pure,
spirito eletto, se tu vuoi che io agisca
in tuo favore una volta tornato sulla terra."

"Questa è una notizia mai sentita prima",
esclamò l'anima, "un enorme indizio dell'amore che Dio prova per te;
aiutami perciò tu stesso qualche volta con le tue preghiere.

E ti chiedo anche, in nome di ciò che più desideri (la salvezza
eterna), se mai passerai per la Toscana,
di restituirmi una buona fama presso i miei parenti.

Tu li potrai trovare tra quella gente sciocca, i senesi,
che spera nel porto di Talamone, e ci perderanno in ciò
più speranza di quelli che cercarono invano il fiume Diana;

ma più di loro vi perderanno i loro ammiragli."



Riassunto


La Seconda Cornice (vv. 1-9)
La seconda cornice, dedicata alle anime degli invidiosi, è circolare come la prima, ma il suo diametro è più ristretto. La superficie è interamente costituita da pietra grigia e uniforme, priva di decorazioni o bassorilievi.

Virgilio e il Sole (vv. 10-21)
Virgilio, non trovando anime intorno a sé, segue il consiglio di Catone e si orienta verso destra. Rivolge lo sguardo al sole, che invoca come guida luminosa e costante da seguire lungo il percorso.

Esempio di Carità (vv. 22-42)
In questa cornice non ci sono rappresentazioni visibili di virtù o vizi; al contrario, esempi di carità e amore vengono proclamati da voci invisibili. Tra queste, si odono le parole di Maria alle nozze di Cana: "Non hanno più vino", la testimonianza della profonda amicizia tra Oreste e Pilade, pronti a sacrificarsi l'uno per l'altro, e l'esortazione di Cristo ad amare i propri nemici: "Amate coloro che vi hanno fatto del male". Procedendo, Dante nota anime avvolte in mantelli grigi come la pietra, intente a cantare le litanie dei santi.

La Pena degi Invidiosi (vv. 43-84)
Le anime degli invidiosi si sostengono l'una con l'altra, appoggiandosi spalla contro spalla lungo la parete rocciosa. Le loro palpebre sono cucite con filo di ferro, rendendole simili a mendicanti privi della vista. Virgilio invita Dante a parlare con loro, e il poeta si rivolge cortesemente agli spiriti, domandando se tra loro ci sia qualche italiano.

Incontro con Sapìa (vv. 85-154)
Una di queste anime, un po' discosta dalle altre, risponde affermando che ora tutti appartengono alla città celeste, ma rivela di essere stata in vita una nobildonna senese di parte guelfa, conosciuta come Sapia. Confessa di aver provato una tale invidia per i suoi concittadini da gioire della loro sconfitta subita a Colle Valdelsa nel 1269, per mano dei Fiorentini. Pentitasi solo in punto di morte, avrebbe dovuto attendere a lungo nell'Antipurgatorio, ma grazie alle preghiere di Pier Pettinaio, un pio senese, il suo tempo di espiazione fu ridotto. Dopo aver scoperto che Dante è ancora vivo, lo prega di far sì che i suoi familiari conservino un buon ricordo di lei, e il poeta le promette di intercedere in suo favore sulla terra.


Figure Retoriche


v. 2: "Si risega / lo monte": Enjambement.
vv. 4-5: "Lega / dintorno": Enjambement.
v. 5: "Come la primaia": Similitudine.
v. 9: "Livido color": Anastrofe.
v. 16: "O dolce lume": Apostrofe.
v. 18: "Come condur si vuol quinc'entro": Similitudine.
v. 29: "Altamente disse": Anastrofe.
vv. 37-38: "Sferza / la colpa": Enjambement.
vv. 38-39: "Sono / tratte": Enjambement.
vv. 47-48: "Ombre con manti al color de la pietra non diversi": Similitudine.
v. 48: "Non diversi": Litote.
vv. 52-54: "Non credo che per terra vada ancoi omo sì duro, che non fosse punto per compassion di quel ch'i' vidi poi": Similitudine.
vv. 53-54: "Punto per compassion": Enjambement.
v. 64: "Altrui pietà": Anastrofe.
vv. 67-69: "E come a li orbi non approda il sole, così a l'ombre quivi, ond'io parlo ora, luce del ciel di sé largir non vole": Similitudine.
vv. 71-72: "E cusce sì, come a sparvier selvaggio si fa però che queto non dimora": Similitudine.
v. 75: "Consiglio saggio": Anastrofe.
v. 76: "Ben sapev'ei": Anastrofe.
v. 78: "Breve e arguto": Endiadi.
vv. 79-80: "Da quella banda / de la cornice": Enjambement.
vv. 82-83: "Divote / ombre": Enjambement.
v. 86: "L'alto lume": Perifrasi. Per indicare Dio.
v. 87: "'l disio vostro solo": Anastrofe.
vv. 88-89: "Le schiume / di vostra coscienza": Enjambement.
v. 90: "De la mente il fiume": Anastrofe.
v. 91: "Grazioso e caro": Endiadi.
vv. 88-89: "Aspettava / in vista": Enjambement.
v. 101: "Volesse alcun dir": Anastrofe.
v. 102: "Lo mento a guisa d'orbo in sù levava": Similitudine.
vv. 106-107: "Questi / altri": Enjambement.
v. 109: "Savia non fui": Anastrofe.
v. 111: "Ventura mia": Anastrofe.
v. 115: "Cittadin miei": Anastrofe.
vv. 118-119: "Amari / passi": Enjambement.
v. 123: "Come fé 'l merlo per poca bonaccia": Similitudine.
vv. 124-125: "Lo stremo / de la mia vita": Enjambement.
v. 135: "Con invidia vòlti": Anastrofe.
v. 142: "E vivo sono": Anastrofe.


Analisi ed Interpretazioni


L'Invidia nella Seconda Cornice del Purgatorio
Nella seconda cornice del Purgatorio viene punito il peccato di invidia, che, come superbia e ira, deriva da un amore deviato, rivolto verso il male e volto a desiderare la disgrazia altrui. Dante, seguendo il pensiero tomistico, descrive l'invidia come un sentimento di malumore di fronte alla felicità altrui, che si traduce in compiacimento per le sventure del prossimo. Da qui il contrappasso degli invidiosi: l'accecamento, poiché la vista è stata lo strumento del loro peccato. La parola stessa "invidia" deriva dal latino invidere, "guardare di mal occhio". La pena li priva della vista, impedendo loro di osservare in modo malevolo come fecero in vita.

L'invidia ha come antidoto naturale la carità, che riporta l'amore sulla giusta strada. Per questo, nel percorso di purificazione, gli esempi di carità sono la prima esperienza che Dante incontra nella cornice. A differenza della prima cornice, dove gli esempi erano scolpiti, qui essi sono evocati da voci aeree: il miracolo alle nozze di Cana, la gara d'amicizia tra Oreste e Pilade e l'insegnamento di Gesù ai discepoli sulla carità. Questi episodi si integrano con l'ascesa verso una realtà sempre più spirituale, in cui il contatto con il divino diventa progressivamente meno materiale.

La Pena degli Invidiosi
La descrizione della pena degli invidiosi è suggestiva: i penitenti hanno gli occhi cuciti con filo di ferro e camminano appoggiandosi l'uno all'altro, come ciechi che chiedono l'elemosina davanti alle chiese. Questa immagine evoca una compassione che va oltre le parole, colpendo l'osservatore per la sofferenza visiva che trasmette. Dante stesso prova pietà per loro e versa lacrime, dimostrando un'umanità crescente nel suo viaggio. I penitenti, definiti da Dante gente sicura... di veder l'alto lume di Dio, sono consapevoli che la loro sofferenza è temporanea e che alla fine saranno ammessi alla visione divina.

L'Incontro con Sapìa
In questa cornice Dante incontra Sapìa, una senese che, come confessa, si rallegrò per la sconfitta della propria città nella battaglia di Colle Val d'Elsa, evento che segnò la morte del ghibellino Provenzan Salvani. Sapìa riconosce di essere stata accecata dall'invidia, tanto da sfidare Dio dicendo: Più non ti temo, come il merlo che, ingannato dal sole invernale, credette che l'inverno fosse finito. Tuttavia, sul punto di morte, si pentì, e grazie alle preghiere del devoto Pier Pettinaio, ottenne di essere accolta in Purgatorio. La sua storia mostra il potere della carità e della preghiera di intercessione nel riscatto delle anime.

Sapìa descrive i Senesi come un popolo vano, incapace di perseguire il bene comune, e critica amaramente le loro imprese fallimentari, come l'acquisto del porto di Talamone e la ricerca del leggendario fiume Diana. Queste vicende, secondo lei, evidenziano la loro superficialità e ostinazione. Le sue parole finali, tuttavia, non sono solo uno sfogo di livore, ma un monito carico di ironia, forse influenzato dallo spirito fiorentino di Dante, per risvegliare nei concittadini senesi un amore più autentico verso la loro città.

Considerazioni sul Canto
Questo canto, sebbene considerato da alcuni interpreti meno incisivo rispetto ad altri, svolge la funzione di introdurre il tema dell'invidia e prepara l'episodio successivo, più intenso, con Guido del Duca. Alcune sezioni, come il discorso di Virgilio al sole o gli esempi di carità, possono sembrare didascaliche e meno approfondite rispetto agli episodi della prima cornice. Tuttavia, la pena degli invidiosi è descritta con immagini potenti, che sottolineano la privazione della vista come simbolo della purificazione necessaria per raggiungere la visione divina.

La figura di Sapìa, pur con alcune ambiguità, rappresenta un esempio significativo della lotta interiore tra peccato e redenzione. Il suo pentimento tardivo e il suo monito finale ai Senesi riflettono la complessità della natura umana, capace di grande male, ma anche di sincera contrizione e desiderio di riscatto.


Passi Controversi


Nei versi 13-15 si comprende che Virgilio, per girarsi verso il sole a destra, si muove facendo leva sul piede destro e inclinando la parte sinistra del corpo. Al verso 22, il termine "migliaio" si legge come bisillabo grazie al trittongo "-aio" (alcune edizioni riportano "migliai'").

Il primo esempio di carità (v. 29) riguarda le parole di Maria a Gesù durante le nozze di Cana, quando invitò il figlio a compiere il suo primo miracolo. Il secondo esempio (v. 32) fa riferimento a Oreste, figlio di Agamennone, che desiderava vendicare la morte del padre, ucciso dalla moglie Clitennestra e dal suo amante Egisto. Oreste, tornato a Micene con l'amico Pilade, fu scoperto e condannato a morte. Pilade si finse Oreste per salvarlo, dando vita a una gara di amicizia e nobiltà d'animo, poiché entrambi cercavano di assumersi la colpa.

Il passaggio al perdono (v. 42) introduce la Cornice successiva, dove Dante incontrerà l'angelo della misericordia. La preghiera degli invidiosi (vv. 49-51) è costituita dalle litanie dei santi, che iniziano con Sancta Maria, ora pro nobis, proseguono con Sancte Michael e Sancte Petre, e terminano con Omnes Sancti et Sanctae Dei, intercedite pro nobis.

I "perdoni" menzionati al v. 62 si riferiscono alle indulgenze, cioè ai giorni di solennità durante i quali nelle chiese si potevano ottenere benefici spirituali (e, per estensione, alle chiese stesse). Nei versi 71-73, viene richiamata una pratica crudele descritta da Federico II nel De arte venandi cum avibus: consisteva nel cucire le palpebre degli sparvieri selvatici per renderli più docili.

Dante, nei versi 88-90, augura alle anime di purificarsi rapidamente, affinché le loro coscienze, come un fiume limpido, tornino a scorrere senza ostacoli. Il v. 123 rimanda a un'antica leggenda secondo cui il merlo, ingannato da una giornata di sole, avrebbe detto: "Non ti temo più, Signore, l'inverno è passato". Tuttavia, questa diceria non è collegata ai "giorni della merla", che in alcune regioni italiane indicano i giorni più freddi di gennaio.

Pier Pettinaio (v. 128) era un mercante di pettini vissuto a Siena e considerato santo dopo la sua morte nel 1289. Terziario francescano, fu definito "uomo pieno di Dio" da Ubertino da Casale. Sapìa afferma che quest'uomo pregò per la sua anima, permettendole di accedere direttamente alle Cornici senza dover attendere nell'Antipurgatorio.

I "propinqui" menzionati al v. 150 potrebbero essere i concittadini di Sapìa o forse i suoi parenti, ai quali ella chiede che Dante riporti la notizia della sua salvezza per riabilitare il suo nome. Nei vv. 151-154, si fa riferimento al porto di Talamone, acquistato dai Senesi per ottenere uno sbocco sul mare e costruire una flotta, ma l'impresa si rivelò dispendiosa e poco fruttuosa, anche a causa della malaria. La "Diana" era un leggendario fiume sotterraneo sotto Siena, che fu cercato con ingenti investimenti, senza però alcun successo. Gli "ammiragli" potrebbero essere i comandanti della flotta senese mai realizzata o, in alternativa, gli appaltatori che si occupavano dei lavori per il fiume Diana, anche se quest'ultima ipotesi è meno probabile.

Fonti: libri scolastici superiori

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