Parafrasi e Analisi: "Canto XII" - Purgatorio - Divina Commedia - Dante Alighieri


Immagine Dante Alighieri
1) Scheda dell'Opera
2) Introduzione
3) Testo e Parafrasi
4) Riassunto
5) Figure Retoriche
6) Analisi ed Interpretazioni
7) Passi Controversi

Scheda dell'Opera


Autore: Dante Alighieri
Prima Edizione dell'Opera: 1321
Genere: Poema
Forma metrica: Costituita da tre versi di endecasillabi. Il primo e il terzo rimano tra loro, il secondo rima con il primo e il terzo della terzina successiva.



Introduzione


Il Canto XII del Purgatorio di Dante Alighieri si colloca nella cornice dei superbi, che rappresentano il primo dei peccati capitali affrontati dai penitenti nel viaggio di purificazione. Questo canto è particolarmente significativo per il modo in cui Dante esplora il tema dell'umiltà come virtù necessaria per il riscatto spirituale. Attraverso un'intensa simbologia, il poeta presenta un richiamo alla fragilità umana e alla caducità delle ambizioni terrene, offrendo spunti di riflessione sul rapporto tra orgoglio e sottomissione alla volontà divina.

L'ambientazione e le dinamiche del canto sottolineano la funzione pedagogica del Purgatorio, luogo in cui ogni anima è chiamata a confrontarsi con il proprio passato per raggiungere la redenzione. L'intero canto è permeato da un senso di consapevolezza e di responsabilità morale, che si manifesta attraverso una narrazione ricca di immagini simboliche e rimandi storici, creando un'esperienza che è al tempo stesso personale e universale.


Testo e Parafrasi


Di pari, come buoi che vanno a giogo,
m'andava io con quell' anima carca,
fin che 'l sofferse il dolce pedagogo.

Ma quando disse: «Lascia lui e varca;
ché qui è buono con l'ali e coi remi,
quantunque può, ciascun pinger sua barca»;

dritto sì come andar vuolsi rife'mi
con la persona, avvegna che i pensieri
mi rimanessero e chinati e scemi.

Io m'era mosso, e seguia volontieri
del mio maestro i passi, e amendue
già mostravam com' eravam leggeri;

ed el mi disse: «Volgi li occhi in giùe:
buon ti sarà, per tranquillar la via,
veder lo letto de le piante tue».

Come, perché di lor memoria sia,
sovra i sepolti le tombe terragne
portan segnato quel ch'elli eran pria,

onde lì molte volte si ripiagne
per la puntura de la rimembranza,
che solo a' pïi dà de le calcagne;

sì vid' io lì, ma di miglior sembianza
secondo l'artificio, figurato
quanto per via di fuor del monte avanza.

Vedea colui che fu nobil creato
più ch'altra creatura, giù dal cielo
folgoreggiando scender, da l'un lato.

Vedëa Brïareo fitto dal telo
celestïal giacer, da l'altra parte,
grave a la terra per lo mortal gelo.

Vedea Timbreo, vedea Pallade e Marte,
armati ancora, intorno al padre loro,
mirar le membra d'i Giganti sparte.

Vedea Nembròt a piè del gran lavoro
quasi smarrito, e riguardar le genti
che 'n Sennaàr con lui superbi fuoro.

O Nïobè, con che occhi dolenti
vedea io te segnata in su la strada,
tra sette e sette tuoi figliuoli spenti!

O Saùl, come in su la propria spada
quivi parevi morto in Gelboè,
che poi non sentì pioggia né rugiada!

O folle Aragne, sì vedea io te
già mezza ragna, trista in su li stracci
de l'opera che mal per te si fé.

O Roboàm, già non par che minacci
quivi 'l tuo segno; ma pien di spavento
nel porta un carro, sanza ch'altri il cacci.

Mostrava ancor lo duro pavimento
come Almeon a sua madre fé caro
parer lo sventurato addornamento.

Mostrava come i figli si gittaro
sovra Sennacherìb dentro dal tempio,
e come, morto lui, quivi il lasciaro.

Mostrava la ruina e 'l crudo scempio
che fé Tamiri, quando disse a Ciro:
«Sangue sitisti, e io di sangue t'empio».

Mostrava come in rotta si fuggiro
li Assiri, poi che fu morto Oloferne,
e anche le reliquie del martiro.

Vedeva Troia in cenere e in caverne;
o Ilïón, come te basso e vile
mostrava il segno che lì si discerne!

Qual di pennel fu maestro o di stile
che ritraesse l'ombre e ' tratti ch'ivi
mirar farieno uno ingegno sottile?

Morti li morti e i vivi parean vivi:
non vide mei di me chi vide il vero,
quant' io calcai, fin che chinato givi.

Or superbite, e via col viso altero,
figliuoli d'Eva, e non chinate il volto
sì che veggiate il vostro mal sentero!

Più era già per noi del monte vòlto
e del cammin del sole assai più speso
che non stimava l'animo non sciolto,

quando colui che sempre innanzi atteso
andava, cominciò: «Drizza la testa;
non è più tempo di gir sì sospeso.

Vedi colà un angel che s'appresta
per venir verso noi; vedi che torna
dal servigio del dì l'ancella sesta.

Di reverenza il viso e li atti addorna,
sì che i diletti lo 'nvïarci in suso;
pensa che questo dì mai non raggiorna!».

Io era ben del suo ammonir uso
pur di non perder tempo, sì che 'n quella
materia non potea parlarmi chiuso.

A noi venìa la creatura bella,
biancovestito e ne la faccia quale
par tremolando mattutina stella.

Le braccia aperse, e indi aperse l'ale;
disse: «Venite: qui son presso i gradi,
e agevolemente omai si sale.

A questo invito vegnon molto radi:
o gente umana, per volar sù nata,
perché a poco vento così cadi?».

Menocci ove la roccia era tagliata;
quivi mi batté l'ali per la fronte;
poi mi promise sicura l'andata.

Come a man destra, per salire al monte
dove siede la chiesa che soggioga
la ben guidata sopra Rubaconte,

si rompe del montar l'ardita foga
per le scalee che si fero ad etade
ch'era sicuro il quaderno e la doga;

così s'allenta la ripa che cade
quivi ben ratta da l'altro girone;
ma quinci e quindi l'alta pietra rade.

Noi volgendo ivi le nostre persone,
'Beati pauperes spiritu!' voci
cantaron sì, che nol diria sermone.

Ahi quanto son diverse quelle foci
da l'infernali! ché quivi per canti
s'entra, e là giù per lamenti feroci.

Già montavam su per li scaglion santi,
ed esser mi parea troppo più lieve
che per lo pian non mi parea davanti.

Ond' io: «Maestro, dì, qual cosa greve
levata s'è da me, che nulla quasi
per me fatica, andando, si riceve?».

Rispuose: «Quando i P che son rimasi
ancor nel volto tuo presso che stinti,
saranno, com' è l'un, del tutto rasi,

fier li tuoi piè dal buon voler sì vinti,
che non pur non fatica sentiranno,
ma fia diletto loro esser sù pinti».

Allor fec' io come color che vanno
con cosa in capo non da lor saputa,
se non che ' cenni altrui sospecciar fanno;

per che la mano ad accertar s'aiuta,
e cerca e truova e quello officio adempie
che non si può fornir per la veduta;

e con le dita de la destra scempie
trovai pur sei le lettere che 'ncise
quel da le chiavi a me sovra le tempie:

a che guardando, il mio duca sorrise.
Accoppiati a due a due, come lo sono i buoi che si muovono sotto lo stesso giogo
procedevo io lungo il cerchio insieme a quell'anima oppressa dal gran masso
(Oderisi), finché me lo permise il mio maestro Virgilio.

Ma quando infine disse: "Lascialo e superalo;
perché qui dove ci troviamo è giusto che, con le proprie ali o i propri remi,
ognuno, secondo le proprie possibilità, spinga da solo la sua barca";

in posizione eretta, come è naturale che si cammini, rimisi la
mia persona, sebbene i miei pensieri
rimasero lo stesso chini, umili e privi di ogni superbia.

Io mi ero rimesso in moto e seguivo con gioia
i passi del mio maestro, ed entrambi
mostravamo già nel camminare quanto fossimo leggeri (rispetto ai superbi);

quando Virgilio mi disse: "Rivolgi il tuo sguardo verso il basso:
sarà per te un bene, per rendere più sicuro questo cammino,
guardare attentamente a dove metti i tuoi piedi."

Come, perché possa essere mantenuta viva la memoria del defunto,
sopra i corpi sepolti, le lapidi delle tombe sotterrate riportano
incise indicazioni su chi loro erano in vita,

cosìcche presso le stesse lapidi molte volte si torna a piangere
per il colpo emotivo inferto dal ricordo del defunto,
ricordo che colpisce solo gli spiriti sensibili;

allo stesso modo, ma con un risultato estetico migliore
grazie all'arte di chi li aveva realizzati, io vidi lì inciso con immagini
tutto il ripiano della cornice che sporge dal monte lungo il sentiero.

Da un lato potevo vedere scolpito Lucifero, colui che fu creato
come il più nobile degli Angeli del Paradiso, giù da cielo
cadere in terra come un fulmine.

Vedevo invece da un'altra parte il gigante Briareo giacere,
dopo essere stato colpito da un saetta divina (lanciata da Giove),
a terra con il suo pesante corpo vinto dal gelo della morte.

Vedevo inoltre Apollo (Timbreo), Minerva (Pallade) e Marte,
con ancora indosso le armi, stare intorno al loro padre Giove
osservando i copri sparpagliati sul terreno dei Giganti uccisi.

Vedevo il gigante Nembrot ai piedi della Torre di Babele, il gran lavoro
da lui voluto, quasi totalmente sconvolto mentre riguardava i popoli
che nella valle di Sennaàr condivisero la sua superbia.

O Niobe, con che sguardo addolorato
potevo vederti lì raffigurata, su quel sentiero,
in mezzo alle tue sette figlie ed ai sette toui figli rimasti uccisi!

O Saul, come per la tua stessa spada, suicida,
mi comparivi lì raffigurato morto sul monte Gilboa,
che poi, dopo la tua morte, non vide più né la pioggia né la rugiada.

O Aracne, resa folle dalla superbia, allo stesso modo vidi te,
già per metà trasformata in ragno, stare con espressione triste su quel ricamo
stracciato che per tua disgrazia avevi fatto.

O Roboam, non sembra oramai più minacciosa la tua immagine
come è incisa qui; ma appari pieno di spavento, terrorizzato,
mentre scappi su di un carro, senza che nessuno ti insegua.

La dura pavimentazione in marmo mostrava anche
come Alcmeone fece apparire a sua madre troppo caro il prezzo
della sua sfortunata collana, portatrice di disgrazia.

Mostrava anche come i suoi stessi figli si lanciarono
contro al re assiro Sennacherib, uccidendolo dentro al tempio,
e come, una volta morto, abbandonarono lì il suo cadavere.

Mostrava la distruzione e la crudele strage di persone
compiuta dalla regina Tamiri, quando disse al re Ciro:
"Avevi sete di sangue, ed io adesso ti sazio di sangue".

Mostrava come, sconfitti dagli Ebrei, furono messi in fuga
gli Assiri, dopo che fu ucciso Oleferne, il capo del loro esercito,
e mostrava anche il suo corpo morto dopo l'uccisione.

Vedevo la città di Troia ridotta a cenere e macerie;
o Troia, come ti mostrava umile e vile
il segno divino che poteva essere ammirato lì!

Quale maestro di pittura o di incisione
riuscì mai a ritrarre le figure ed i lineamenti lì scolpiti,
capaci di sucitare stupore anche nelle persone di straordinaria intelligenza?

I morti sembravano realmente morti, i vivi realmente vivi:
non vide meglio di me chi vide dal vivo quelle scene
che calpestai, fintanto che camminati chinando la testa in basso.

Sentitevi ora superbi e camminate con aria altezzosa,
uomini e donne figli di Eva, e non abbassate assolutamente lo sguardo a terra
per guardare il cattivo sentiero che state percorrendo!

Avevamo oramai girato attorno del monte per la maggior parte della sua
circonferenza e speso anche più tempo, più parte della giornata
di quanto non potesse stimare il nostro animo assorto, non libero dai pensieri,

quando Virgilio, colui che camminava davanti a me prestando sempre grande
attenzione, cominciò a dire: "Alza la testa;
non è più il momento di camminare in modo tanto pensieroso.

Riesci a vedere là un Angelo che si prepara per venirci incontro;
riesci anche a vedere come è oramai mezzogiorno, come la sesta serva del sole
(la sesta ora dopo il sorgere del sole) ha ormai prestato il suo servizio.

Assumuni una espressione ed un atteggiamente di riverenza,
così che gli piaccia, voglia invitarci a salire alla prossima cornice;
pensa che questo giorno non si ripeterà mai più!"

Io ero oramai ben abituato alle sue continue esortazioni
volte a non perdere tempo, così che compresi
subito e bene il senso della sua ultima richiesta.

La bella creatura divina avanzava verso di noi,
vestita di bianco e tanto splendente in viso quanto
ci apparire alla vista la stella del mattino.

L'Angelo aprì le sue braccia e spalancò poi anche le sue ali;
disse: "Venite; qui vicino ci sono i gradini,
e la salita al monte diviene quindi più agevole.

Molte poche sono le persone che riescono a rispondere a questo mio invito:
o genere umano, nato per volare in cielo,
perché basta così poco vento per farti cadere?"

Ci condusse quindi dove i gradini erano intagliati nella roccia;
giunti là mi batté la fronte con le sue ali;
infine mi assicurò che la salita sarebbe stata sicura, senza ostacoli.

Come verso destra, per salire in cima al monte (Monte alle Croci)
dove sorge la chiesa (di San Miniato) che domina (Firenze)
la città ben governata che si trova sopra il fiume Rubaconte,

il coraggioso slancio che si deve avere nel salire viene interrotto
grazie alle scale che furono scavate nella roccia al tempo in cui
erano sicuri sia il registro del comune che la misura per la vendita del sale;

allo stesso modo diviene meno ripida la parete del monte del Purgatorio che,
in quel punto, cade a strapiompo dalla cornice superiore;
ma le rocce rasentano dall'una e dall'altra parte tanto la scala è stretta.

Mentre noi ci dirigevamo verso la scalinata per salire,
udimmo delle voci cantare "Beati i poveri di spirito"
con tanta dolcezza che non si sarebbe detto che si trattava di una predica.

Ahi quanto sono diversi i passaggi del Purgatorio rispetto a quelli
che abbiamo attraversato nell' Inferno! Perché nei primi si entra accompagnati
da canti celestiali, laggiù nell'Inferno da lamenti disumani.

Stavamo già salendo su per quei gradini santi,
e farlo, salire, mi sembrava di gran lunga meno pesante
di quanto fosse prima il camminare su un terreno piano.

Perciò chiesi: "Maestro, dimmi, quale peso
mi sono levato da dosso, visto che quasi nessuna
fatica sento adesso, seppure stia salendo?"

Mi rispose Virgilio: "Quando le lettere P che sono ancora
presenti sul tuo viso, seppure oramai quasi stinte,
saranno completamente cancellate, come lo è la prima delle P,

i tuoi piedi saranno talmente guidati dalla volontà di fare del bene,
che non solo non sentiranno più alcuna fatica,
ma troveranno anche piacere nell'essere spinti a salire."

Allora io mi comportati come chi va in giro
portando una cosa sulla testa senza però saperlo,
fino a quando i cenni delle altre persone lo spingono a specchiarsi;

così che si aiuta con la mano per verificare di cosa si tratta,
cerca ed infine trova e riesce quindi in quell'intento
che non avrebbe potuto raggiungere con la vista (no avendo uno specchio).

allo stesso modo io con le dita aperte della mano destra
trovai solo sei delle sette lettere che mi aveva inciso
sopra le mie tempie l'Angelo portiere del Purgatorio:

vedendo il mio gesto, la mia guida Virgilio sorrise.



Riassunto


Esempi di Superbia Punita e Apostrofe ai Viventi (vv 1-72)
Dopo essersi congedato da Oderisi, Dante si rimette in cammino con maggiore determinazione. Lungo il tragitto, lui e Virgilio osservano le rappresentazioni scolpite sul pavimento della cornice, raffiguranti punizioni esemplari per la superbia: la caduta di Lucifero dal Paradiso; il gigante Briareo, colpito dai fulmini di Giove per aver osato sfidare gli dèi insieme agli altri Giganti; Apollo, Marte e Pallade che contemplano i corpi dei Giganti sconfitti; Nembro, ai piedi della Torre di Babele; Niobe, regina di Tebe, che osserva disperata i figli morti; Saul, primo re d'Israele, che si suicida per evitare di cadere nelle mani dei Filistei; Aracne, trasformata in ragno da Minerva per la sua presunzione; Roboamo, figlio di Salomone, che fugge in preda al panico; Erifile, assassinato dal figlio Alcmeone; Sennacherib, re degli Assiri, ucciso da due dei suoi figli; Ciro, re di Persia, decapitato da Tamiri, regina degli Sciti; e Oloferne, generale assiro, decapitato da Giuditta. L'ultima immagine mostra la città di Troia, distrutta e avvolta dalle fiamme. Questo schema di alternanza tra esempi di virtù opposta al peccato e manifestazioni delle sue punizioni rimarrà una costante nel Purgatorio. Tali rappresentazioni spingono Dante a pronunciare un'aspra invettiva contro l'arroganza umana.

L'Angelo dell'Umiltà (vv 73-99)
Virgilio richiama l'attenzione di Dante su un angelo che si avvicina con le ali e le braccia aperte. L'angelo, con dolcezza, invita i due a seguirlo fino all'imbocco di un sentiero scavato nella roccia. Qui, con un battito d'ala, rimuove la prima delle sette "P" incise sulla fronte di Dante, simbolo del peccato, e lo esorta a proseguire il cammino verso la cornice successiva.

Salita alla Seconda Cornice (vv 100-136)
Dante, durante l'ascesa, percepisce un'improvvisa leggerezza. Virgilio gli spiega che questa sensazione è dovuta alla cancellazione della prima "P" e che, una volta rimosse tutte, salire non richiederà più alcuno sforzo.


Figure Retoriche


v. 1 "Come buoi che vanno a giogo" Similitudine.
v. 3 "Il dolce pedagogo" Perifrasi. Per indicare Virgilio.
vv. 7-8 "Dritto sì come andar vuolsi rife'mi con la persona" Similitudine.
v. 9 "Chinati e scemi" Endiadi.
v. 11 "Del mio maestro i passi" Anastrofe.
v. 15 "Le piante tue" Anastrofe.
vv. 16-22 "Come, perché di lor memoria sia, sovra i sepolti le tombe terragne portan segnato quel ch'elli eran pria, onde lì molte volte si ripiagne per la puntura de la rimembranza, che solo a' pii dà de le calcagne; sì vid'io lì" Similitudine.
vv. 25-27 "Colui che fu nobil creato più ch'altra creatura, giù dal cielo folgoreggiando scender" Perifrasi. Per indicare Lucifero.
vv. 28-29 "Dal telo / celestial" Enjambement. S'intende il fulmine di Giove.
v. 32 "Armati ancora" Anastrofe.
v. 32 "Al padre loro" Anastrofe.
v. 38 "Vedea io te" Anastrofe.
v. 39 "Figliuoli spenti" Metafora. Per non dire uccisi.
v. 41 "Parevi morto" Similitudine.
v. 43 "Vedea io te" Anastrofe.
vv. 44-45 "Li stracci / de l'opera" Enjambement.
vv. 52-53 "Si gittaro / sovra" Enjambement.
v. 62 "Basso e vile" Endiadi.
v. 67 "Morti li morti e i vivi parean vivi" Iperbole.
vv. 79-80 "S'appresta per venir" Enjambement.
vv. 80-81 "Torna dal servigio" Enjambement.
vv. 86-87 "'n quella materia" Enjambement.
v. 88 "A noi venìa" Anastrofe.
vv. 89-90 "E ne la faccia quale par tremolando mattutina stella" Similitudine.
v. 91 "Le braccia aperse" Anastrofe.
v. 99 "Sicura l'andata" Anastrofe.
vv. 100-108 "Come a man destra, per salire al monte dove siede la chiesa che soggioga la ben guidata sopra Rubaconte, si rompe del montar l'ardita foga per le scalee che si fero ad etade ch'era sicuro il quaderno e la doga; così s'allenta la ripa che cade quivi ben ratta da l'altro girone; ma quinci e quindi l'alta pietra rade" Similitudine.
vv. 110-111 "Voci / cantaron" Enjambement.
vv. 112-113 "Foci da l'infernali" Enjambement.
vv. 113-114 "Per canti / s'entra" Enjambement.
vv. 116-117 "Esser mi parea troppo più lieve che per lo pian non mi parea davanti" Similitudine.
v. 119 "Che nulla quasi" Anastrofe.
vv. 121-122 "Son rimasi / ancor" Enjambement.
v. 122 "Nel volto tuo" Anastrofe.
v. 125 "Non fatica sentiranno" Anastrofe.
vv. 127-128 "Fec'io come color che vanno con cosa in capo non da lor saputa" Similitudine.
v. 129 "Sospecciar fanno" Anastrofe.
v. 135 "Quel da le chiavi" Perifrasi. Per indicare l'angelo guardiano.


Analisi ed Interpretazioni


Nel XII canto del Purgatorio, Dante prosegue il percorso nella cornice della purificazione della superbia. Qui sono rappresentati tredici esempi di superbia punita, tratti dalla tradizione biblica e mitologica. Questi episodi, scolpiti sul pavimento, sono opere di un'arte divina che combina pittura, scultura e bassorilievo, riproducendo fedelmente la realtà. Le anime penitenti, costrette a camminare con il capo chino, osservano e calpestano queste immagini, in un chiaro contrappasso che le invita a riflettere sul loro peccato. Anche Dante ammira la perfezione di queste opere, lodando l'arte divina che le ha realizzate.

Gli esempi di superbia punita sono organizzati in un sistema complesso e simmetrico. Le dodici terzine che li descrivono sono suddivise in tre gruppi di quattro, ciascuno introdotto da parole ricorrenti ("Vedea", "O" e "Mostrava"), mentre la tredicesima terzina, dedicata alla caduta di Troia, è isolata. Questa ultima terzina forma un acrostico con le iniziali dei suoi versi ("VOM"), che nella grafia medievale corrisponde a "uomo", simboleggiando la condizione umana soggetta alla superbia.

I tredici esempi si articolano come segue:

Primo gruppo: Lucifero, Briareo, Timbreo e Nembrot, alternando episodi biblici e mitologici.
Secondo gruppo: Niobe, Saul, Aracne e Roboam, seguendo lo stesso schema alternato.
Terzo gruppo: Erifile, Sennacherib, Tamiri e Oloferne.
Ultimo esempio: La caduta di Troia.

Questi episodi rappresentano tre categorie principali: esseri sovrumani ribelli a Dio, uomini vanagloriosi che causarono la propria rovina e violenti contro il prossimo. La caduta di Troia riassume tutte queste forme di superbia, simboleggiando ribellione, arroganza e tirannia. La varietà degli esempi riflette la gravità della superbia, considerata il peccato originario che portò alla caduta di Lucifero e, di conseguenza, all'ingresso del peccato nel mondo.

Proseguendo, Dante e Virgilio incontrano l'angelo dell'umiltà, descritto con abiti candidi e un volto splendente. L'angelo guida i poeti verso la scala che conduce alla seconda cornice e cancella dalla fronte di Dante la prima delle sette "P" incise dall'angelo guardiano all'inizio del viaggio nel Purgatorio, simbolo dei peccati capitali. Questo gesto rappresenta la purificazione dalla superbia e permette a Dante di percepire una maggiore leggerezza nell'ascesa. Virgilio spiega che ogni "P" rimossa equivale a un peso morale di cui l'anima si libera, facilitando il cammino verso Dio. L'angelo sottolinea inoltre che poche anime riescono a raggiungere la scala, un richiamo alla difficoltà della via verso la redenzione. La salita viene paragonata alle scale che portano alla basilica di San Miniato al Monte sopra Firenze, un riferimento geografico che evoca, al contempo, una critica implicita al malgoverno fiorentino dell'epoca e un richiamo a un passato più virtuoso della città.

In questo canto, Virgilio assume un ruolo centrale, guidando Dante non solo fisicamente, ma anche moralmente e intellettualmente. La leggerezza che Dante avverte dopo la rimozione della prima "P" rafforza il messaggio del canto: il percorso verso Dio è un cammino di purificazione, dove ogni peccato abbandonato rende l'anima più libera e pronta per la redenzione.

Il canto XII è strutturato in due parti simmetriche: la prima chiude l'episodio della superbia punita, mentre la seconda introduce il passaggio alla cornice successiva con l'intervento dell'angelo e l'ascesa. Gli episodi scolpiti sul pavimento costituiscono un contrappasso esemplare, invitando le anime a riflettere sulla vanità della superbia e sull'inevitabilità del castigo divino. La descrizione dell'angelo e della scala verso la seconda cornice segna un momento di speranza, suggerendo che, nonostante le difficoltà, la redenzione è possibile per chi si impegna sinceramente nella purificazione.

Questo canto riflette una concezione medievale dell'arte, lontana dall'idea rinascimentale di "arte per l'arte". Per Dante, l'arte è uno strumento didattico e pedagogico, finalizzato a trasmettere la parola di Dio e guidare l'uomo alla redenzione, piuttosto che offrire piacere estetico. Questo principio è ribadito nel rimprovero di Catone alle anime che si attardano ad ascoltare il canto di Casella, distogliendosi dal loro percorso di purificazione. Per Dante, ogni distrazione rappresentata dall'arte è un ostacolo alla salvezza, e l'arte stessa non deve mai cercare di imitare Dio, unico vero creatore. Le immagini scolpite nella cornice della superbia sono opera dell'arte divina, incredibilmente superiori a qualunque creazione umana, tanto realistiche da sembrare vive. Questo contrasto evidenzia il rischio della superbia intellettuale insito nell'arte che cerca di emulare la perfezione divina, un tema centrale nella cornice della superbia e nella poetica di Dante.


Passi Controversi


Alcuni manoscritti riportano al verso 5 "con la vela e coi remi", considerata una lectio facilior. Probabilmente, Dante si ispira a Virgilio (Eneide, III, 520: "velorum pandimus alas"). Le "tombe terragne" citate al verso 17 si riferiscono a sepolture collocate sotto i pavimenti di chiese e conventi, una pratica comune in passato e richiamata anche da Foscolo nei Sepolcri (vv. 104 e seguenti).

L'espressione "dà delle calcagne" (v. 21) significa letteralmente "stimola con gli sproni", ovvero "pungola". Apollo, al verso 31, è chiamato Timbreo in riferimento al culto praticato nella località di Timbra, nella Troade. Sennaàr (v. 36) è la pianura vicino a Babilonia, famosa per il racconto biblico della Torre di Babele. Il verso 42 menziona la maledizione di David contro Gelboè (Gilboa), dopo la morte di Saul, che decretò quella terra sterile e priva di pioggia.

Alcmeone (v. 50), figlio dell'indovino Anfiarao, morto durante la guerra di Tebe, è incluso da Dante tra gli indovini nella IV Bolgia (Inferno, XX, 31-36). Nei versi 55-57 Dante segue fedelmente Paolo Orosio (Historiarum adversus paganos, II, 7), secondo cui Tamiri si rivolse a Ciro dicendo: "Saziati del sangue che hai desiderato". Le "reliquie del martiro" (v. 60) si riferiscono al corpo decapitato di Oloferne, non al massacro degli Assiri.

L'espressione "Maestro... di stile" (v. 64) designa il disegnatore, dato che lo stile era un'asticciola metallica utilizzata per tracciare i disegni. Alcuni studiosi lo hanno associato allo scultore, ma il termine stile non può indicare lo scalpello. Altri ancora hanno ipotizzato che le raffigurazioni fossero disegnate, ma l'analogia con le tombe terragne lo rende improbabile. Le "ombre e' tratti" (v. 65) sembrano riferirsi alle figure e ai loro contorni, senza dover necessariamente evocare il chiaroscuro.

Secondo alcuni editori, i versi 94-96 sono attribuibili a Dante, ma è più plausibile che sia l'angelo a commentare la scarsità di anime che passano attraverso quel varco. I versi 104-105 fanno riferimento a due episodi di corruzione a Firenze nel tardo XIII secolo. Il primo riguarda Niccolò Acciaioli, che fu assolto grazie a una falsa testimonianza ammessa dal podestà Monfiorito di Coderda. In seguito, l'Acciaioli, divenuto priore, manipolò gli atti del processo per cancellare la testimonianza falsa, venendo però scoperto e arrestato. Il secondo episodio coinvolge Durante Chiaramontesi, un frate della penitenza che, responsabile della vendita del sale, manomise lo staio ufficiale rimuovendone una doga e arricchendosi indebitamente. Fu condannato a morte.

Infine, l'aggettivo "scempie" (v. 133) è stato interpretato in vari modi, ma probabilmente si riferisce alle dita, con il significato di "separate le une dalle altre".

Fonti: libri scolastici superiori

Ultimi Articoli:

avatarParafrasi e analisi - divina commedia - canto XXI di dante alighieri 26-11-2024
avatarParafrasi e analisi - divina commedia - canto XX di dante alighieri 24-11-2024
avatarParafrasi e analisi - divina commedia - canto XIX di dante alighieri 24-11-2024
avatarParafrasi e analisi - divina commedia - canto XVIII di dante alighieri 24-11-2024
avatarParafrasi e analisi - divina commedia - canto XVII di dante alighieri 23-11-2024
avatarParafrasi e analisi - divina commedia - canto XVI di dante alighieri 23-11-2024
avatarParafrasi e analisi - divina commedia - canto XV di dante alighieri 23-11-2024
avatarParafrasi e analisi - divina commedia - canto XIV di dante alighieri 22-11-2024
avatarParafrasi e analisi - divina commedia - canto XIII di dante alighieri 21-11-2024
avatarParafrasi e analisi - divina commedia - canto XII di dante alighieri 20-11-2024
avatarParafrasi e analisi - divina commedia - canto XI di dante alighieri 19-11-2024
avatarParafrasi e analisi - divina commedia - canto X di dante alighieri 17-11-2024
avatarParafrasi e analisi - divina commedia - canto IX di dante alighieri 17-11-2024
avatarParafrasi e analisi - divina commedia - canto VIII di dante alighieri 16-11-2024
avatarParafrasi e analisi - divina commedia - canto VII di dante alighieri 16-11-2024
avatarParafrasi e analisi - divina commedia - canto VI di dante alighieri 14-11-2024
avatarParafrasi e analisi - divina commedia - canto V di dante alighieri 13-11-2024
avatarParafrasi e analisi - divina commedia - canto IV di dante alighieri 12-11-2024
avatarParafrasi e analisi - divina commedia - canto III di dante alighieri 10-11-2024
avatarParafrasi e analisi - divina commedia - canto II di dante alighieri 10-11-2024

Commenti:


Commenti Verificati Tutti i Commenti